Non è la solita Storia: M. il figlio del secolo è pronta a conquistare il mondo. La recensione della serie Sky.
Sky ha realizzato una delle miglio serie del 2025 con M. Il figlio del secolo, facendo dialogare la rigorosa ricostruzione storica con il presente politico e seriale più attuale.
“Io sono come le bestie, sento il cambiamento che arriva” dice a più riprese il Mussolini di Luca Marinelli in M. Il figlio del secolo. Lo dice trionfante quanto sente la sua ascesa diventare inarrestabile, lo mormora sconsolato quando si sente braccato come un’animale da una sorte avversa, pronta a negargli i suoi sogni di gloria.
Il Duce della serie Sky è davvero un animale da palcoscenico, un mostro da farsa, mai persona e sempre personaggio. È un bene, perché come ampiamente anticipato Luca Marinelli non ha i tratti somatici giusti per ingannare il nostro sguardo, pur replicando le pose mento in fuori e pugni poggiati sui fianchi che ricordiamo dai libri di storia. È però del tutto in grado di adulare e far rabbrividire nei panni di un uomo pavido e trasformista, un buffone che la Storia e le inquietudini democratiche renderanno un crudele capopopolo.
L’approccio vincente di Mussolini è quello di trasformare la storia in farsa
Il primo colpo di genio degli sceneggiatori Stefano Bises (Gomorra – La Serie) e Davide Serino (1992, 1993, Il Re, Esterno Notte) è quello di usare l’autorevolezza storica e letteraria dei romanzi di Antonio Scurati come una sorta di legittimazione per fare altro: serialità. Non è un polveroso adattamento in cui ogni suppellettile e fraseggio è certificato come storicamente accurato. M. è una farsa, una boutade, che legittima il suo racconto con l’autorevolezza dell’imponente quadrilogia letteraria a cui si rifà. Sembra dirci: la versione ufficiale la trovate nei romanzi di Scurati, qui va in scena lo spettacolo della morte della democrazia, con i suoi pagliacci, i picchiatori, i saltimbanchi. È la scelta rischiosa ma assolutamente vincente che permette a tutto il resto di diventare e risultare facile, quasi fosse una naturale conseguenze.
Il figlio del secolo si apre con Mussolini che parla a noi, il suo pubblico seduto sul divano nel 2025. Figli, nipoti e pronipoti di quell’Italia che prima l’ha amato e poi odiato, ferocemente, disperatamente. Ci parla convinto che saprà conquistarci, che alla fine lo ameremo anche noi. Non ha torto: dentro questo Mussolini si sentono chiaramente altre voci di altri capipopolo, del recente passato, del presente politico italiano e internazionale, amatissimi, odiatissimi. Per questo motivo chi scrive è convinta che la serie che lo racconta saprà sedurre anche il pubblico internazionale, perché è quello che la televisione migliore fa oggi.
M. presenta un Mussolini che ricorda Berlusconi e Trump
Sulla carta Il figlio del secolo è la prima di quattro parti che raccontano ascesa e caduta del Duce, ripercorrendo il ventennio nero italiano. In sette episodi seguiamo la scalata di un giovane Benito, già sposato, già padre, già fondatore dei fasci di combattimento, verso la vetta della scena politica italiana. È un racconto tortuoso, ricchissimo d’inciampi e contraddizioni, perché più che la genialità del protagonista Il figlio del secolo ritrae impietosamente l’incapacità del paese che lo ospita di opporre la giusta resistenza alla sua ascesa.
Il Mussolini di M. il figlio del secolo è un animale politico. Non propriamente geniale, ma capace di scegliere i consigli e le amanti giuste, di lusingare e minacciare, d’infiammare i reduci della prima guerra mondiale, di soffiare sulle paure della borghesia, di blandire il suo padre letterario e politico Gabriele d’Annunzio. Le figure d’autorità (la chiesa, il parlamento, i compagni comunisti con cui un tempo militava) le demonizza finché non ha bisogno della loro protezione, finché non riesce a sedurre anch’esse. Non è un genio politico, ma è un’abile trasformista, capace di cambiare casacca (nera)all’inseguimento di un potere da cui è totalmente sedotto.
Questo Mussolini è e non è il personaggio storico. Dentro Luca Marinelli ci mette una spruzzata di Silvio Berlusconi, un riferimento diretto a Donald Trump: è il calco di tutti i blanditori e seduttori dei votanti democratici venuti dopo di lui, è il primo di questi scalatori sociali e politici ad aver messo la sua marcia, il suo marchio nell’immaginario collettivo nel sfruttare le debolezze del processo democratico per demolirlo dall’interno. Il racconto della serie è particolarmente avvincente perché gli eventi storici raccontati in presa diretta ritraggono un Duce sempre a un passo dalla sconfitta,sempre impegnato a contenere i danni di una frase detta o un gesto non fatto.
Smitizza e sbeffeggia la grandiosità, l’ineluttabilità e la faciloneria di eventi storici come la marcia su Roma, l’ingresso dei fascisti in Parlamento, l’organizzazione dell’assassinio di Matteotti. Il vero merito di Mussolini sembra essere quello di calcolare male la traiettoria della sua uscita di scena, dando ampia corda ai suoi nemici per impiccarlo, salvo poi ritrovarsi ad assistere al loro suicidio politico.
M. è il contraltare di L’ora più buia di Joe Wright
La vera forza della serie è l’impostazione narrativa attualissima scelta dagli showrunner, a cui si affianca la rutilante, incalzante, energica regia di Joe Wright. Il riferimento diretto ed esplicito qui è il suo film L’ora più buia, film in cui il regista inglese raccontava negli stessi termini - spregiudicati e tutt’altro che elogiativi - uno degli avversari più formidabili del fascismo: Winston Churchill. M. il figlio del secolo è ancor più scevro di retorica, ancor più vertiginoso nel suo dinamismo. Fin da subito la rottura della quarta parete si affianca alla voce fuori campo del protagonista. Marinelli ci fa l’occhiolino, alza gli occhi al cielo quando un collaboratore che medita di ammazzare fin dall’inizio si rivela ancora utile. È tronfio, borioso, pieno di sé: ne capiamo il fascino e i limiti e, in ultima istanza, la superficialità dei suoi ideali, della sua partecipazione alla sua stessa creatura.
Quello raccontato in M. insomma è un’affarista politico di rara meschinità, pronto a tutto pur di avere una poltrona, un mistero, un’amante, un briciolo di potere in più. La regia di Joe Wright fatta di fotografia scura, di set fatti da schermi di sfondo che videoproiettano immagini e foto, di montaggi serrati al ritmo della colonna sonora trascinante di Tom Rowlands donano grande carisma e personalità a una serie che, per qualità tecnica, meriterebbe di essere vista su grande schermo.
Anche il cast per larghissima parte italiano è davvero indovinato, pieno di facce abbastanza familiari per chi bazzica il cinema e le serie Sky nostrane ma che, forse, sfonderanno proprio grazie a questo progetto. Data la notoria fama di seduttore del Duce, preme sottolineare quanto bene la serie gestisca le donne che gravitano nella sua vita, creando personaggi talvolta persino più forti del protagonista, sfaccettati, acuti, sempre sottovalutati dal blando maschilismo del politico. Su tutti e tutte merita una menzione la fantastica Barbara Chichiarelli nei panni della lady nera Margherita Sarfatti, l’amante che vede in Benito il diamante grezzo, che raffina e lo introduce, curandone personalmente l’ascesa politica.