Notte di mezza estate: il family drama di Netflix ha un finale rassicurante che stona

Un ottimo cast, tematiche interessanti e un finale stonato

di Chiara Poli

Midsommar. Un nome che a noi italiani appassionati di cinema dice una sola cosa: la festa svedese al centro di uno dei film horror più riusciti degli ultimi anni. Ma Midsommar è in realtà tutt’altro: una festa molto importante nei Paesi nordici. Celebra il solstizio d’estate, la festa di mezza estate che si celebra più o meno fra il 20 e il 25 giugno, a seconda degli anni, con una serie di manifestazioni allegre e colorate. In Svezia è molto sentita, tanto che viene considerata una festa nazionale.

Ed è per questo che Notte di mezza estate, su Netflix, viene scambiata da tutti per una serie svedese, quando in realtà è una produzione norvegese. Ma la matriarca della famiglia protagonista, Carina, è svedese e dice al marito - norvegese - che vuole festeggiare secondo la tradizione svedese, perché quella norvegese è… Noiosa. Ma la noia, in questa storia, non è prevista.

La trama di Notte di mezza estate


Affacciata sul mare, la casa di Carina (Pernilla August) e Johannes (Dennis Storhøi) si anima per le celebrazioni. Con le figlie Hanne (Amalia Holm) - insieme al fidanzato Darius (Peiman Azizpour), presente con i genitori e il fratello - e Helena (Sofia Tjelta) e con l’amica di Carina insieme al figlio Lysander (Kim Falck), ex fidanzato di Hanne. C’è Petronella (Maria Agwumaro), primogenita di Johannes e della ex moglie e ci sono, infine, il fratello di Carina, Håkan (Christopher Wollter), che arriva in barca dalla Svezia insieme alla giovane fidanzata Sara (Fanny Klefelt).

Mentre si gioca, si canta e si mangia, in una splendida giornata di sole, la riunione di famiglia viene rovinata, una rivelazione dopo l’altra, dai segreti che ciascuno nasconde, che emergono e sono destinati a cambiare gli equilibri fra coniugi, genitori e figli, fidanzati e cognati…

Un family drama realistico, tranne per il lieto fine


Il cast è ottimo. Le tematiche sono attualissime, come la ricerca di un nuovo inizio a 60 anni, la voglia di non accontentarsi, la paura di impegnarsi, le gelosie fra fratelli, il segreto sulla malattia...

Ma le ottime basi narrative vengono vanificate. Tutte le rivelazioni che riguardano i vari personaggi, presentate tramite flashback ambientati alcune settimane prima della festa di Midsommar, sono realistiche. Tradimenti, gelosie, desideri di libertà, amori segreti e mai svelati… Tutto ciò che, banalmente, riguarda una grande famiglia allargata.

Il modo, estremamente sincero e verosimile, in cui tutti questi elementi vengono trattati, è la ragione principale del successo su Netflix di questa miniserie, che appassiona grazie ai personaggi e agli splendidi paesaggi che ci propone. Ma c’è qualcosa che finisce per trasformare Notte di mezza estate in uno spettacolo che passa dalla verosimiglianza al finale consolatorio: va tutto per il meglio.

Ogni singolo segreto, ogni rivelazione, ogni contrasto. Tutto si risolve, in modo o diverso, riportando serenità e armonia verso un finale pensato per celebrare la tradizione dell’happy ending che stona con il realismo della storia e dei protagonisti.

Se è pur vero che di solito amiamo sapere che, almeno nella finzione, alla fine tutti vivono per sempre felici e contenti, è anche vero che siamo abituati a una modernità narrativa, soprattutto per quanto riguarda serie e film svedesi e norvegesi, che non ci culla nelle illusioni.

Il realismo tipico delle produzioni nordiche si accompagna di solito a finali in linea con quel realismo. Un Cupo, desolante, tangibile. Perfino quando è immerso nella luce accecante del Nord Europa.

Notte di mezza estate sceglie di fare diversamente, risolvendo tutto a tarallucci e vino - perché è proprio così che i conflitti si risolvono nella miniserie e forse la ragione del suo successo - scala rapidamente la classifica delle serie Netflix più viste in Italia, diretta verso il podio - risiede proprio nel preannunciare per tutto il tempo un finale amaro che, di fatto, non arriva mai.

Una consolazione per chi si aspettava una storia triste. Per quanto riguarda gli appassionati di produzioni svedesi e nordiche in generale, invece, l’happy ending arriva come un elemento che stona. Ci aspettiamo ben altra sincerità. Ma i tempi che corrono sono indicativi di scelte anche narrative, tese a rasserenare gli animi, oltre che a celebrare quella tradizione un po’ da soap che tanto ha successo sulle reti generaliste. Drammoni familiari che si trascinano per stagioni e stagioni, con intrighi sempre più inverosimili, sembrano gli unici in grado di distrarre davvero il grande pubblico dalle preoccupazioni quotidiane. Ma quando una fine c’è, e gli episodi sono limitati - 5, in questo caso specifico - allora il bisogno di una conclusione lieta e rassicurante sembra essersi fatto pressante.

Ogni produzione, del resto, è figlia del proprio tempo. E perfino il nome di Midsommar, che fa tremare al ricordo del film svedese con Florence Pugh, va associato a qualcosa di rassicurante. Il che, inutile fingere di ignorarlo, ci fa capire che la preoccupazione per l’escalation di violenza e di guerre attorno a noi continua a crescere. Ed è tutt’altro che rassicurante…