Raffa, recensione: “il successo è questione di buone rotule”
Raffa tenta di riassumere in tre puntate ciò che a reso Raffaella Carrà l’icona televisiva, popolare queer che oggi conosciamo: alcune risposte che dà non sono quelle che ci aspetteremmo e sono le più belle.
A Daniele Lucchetti Raffa è stato commissionato e questo, a sorpresa, è un gran bene, soprattutto all’avvio. Al faraonico film documentario di ben 3 ore - diviso in tre agevoli puntate su Disney+ per non spaventare lo spettatore casuale - giova moltissimo l’approccio da outsider del regista, che associa Raffaella Pelloni a un istintivo turbamento che gli provocava da bambino, quando la vedeva in TV. Fosse realizzato da un fan o da qualcuno che il progetto lo ha desiderato e inseguito, Raffa non si aprirebbe con le debolezze e le mancanze di una giovane donna che siamo abituati a considerare un pinnacolo della sua professione.
Raffa è molto più di un’agiografia
Raccontato in rigoroso ordine cronologico, Raffa vuole essere più di un maxi episodio di Techetechete e di un’agiografia che esalta e idolatra il suo oggetto d’indagine. L’indagine qui c’è davvero, si sonda il mistero Pelloni: quanto dell’immagine, della musica, del corpo, dell’immaginario di Raffaella Carrà è suo e quanto è figlio del lavoro di altri, da Gianni Boncompagni al costumista di fiducia? Non è un approccio sminuente: può essere considerato tale solo da chi non vede il talento raro di sapersi fidare e affidare ad altri, di lasciarsi consigliare e guidare, di provocare sapendo come farlo.
L’altro aspetto spesso trascurato è il rigore dietro la leggerezza: fare varietà e avere successo, diceva Raffaella “è questione di buone rotule”. Di buone rotule e di grande serietà. Raffa racconta una Raffaella instancabile, professionale, seria e secchiona proprio in quel suo cercare l’intrattenimento per chi da casa la guarda. Ne racconta anche i noti sacrifici, perché come professionista, come persona e come donna Raffaella ha dovuto fare delle scelte personali e convivere con le loro conseguenze, senza drammaticità, senza ipocrisie.
Il primo episodio di Raffa è il migliore non tanto perché racconta le origini della Carrà, ma perché nel farlo ce la presenta come una Pelloni mora, insicura, priva di un talento straordinario. Nei primi minuti di Raffa viene spiegato che non avrebbe mai raggiunto i traguardi di ballerina classica che sognava, perché aveva una tecnica amatoriale. Anche la sua carriera d’attrice viene riletta alla luce di provini non semplici e di parole tutt’altro che celebrative di Marco Bellocchio. Il regista de Il traditore e Rapito racconta un incontro, una conoscenza giovanile. Fa capire che la faccia di Raffaella, nel suo cinema, non l’avrebbe mai voluta. Con sincerità quasi brutale dice che le avrebbe chiesto di dimagrire molto. La giovane Raffaella soffre in confronto di una madre bellissima e talentuosa, cresce in una famiglia matriarcale che però le insegna a immaginarsi al comando.
Raffa racconta una donna fatta per il piccolo schermo
Quelli sono gli anni dell’incertezza che Lucchetti ha il merito di far riemergere, della fuga di Raffaella da un successo facile al fianco di Frank Sinastra, dall’opulenza di una Hollywood che non le appartiene. È l’incontro con la TV che le fa trovare il suo talento: il piccolo schermo è il luogo in cui la sua danza è sufficiente, il suo corpo non cinematografico diventa sensuale abbastanza, iconico abbastanza, provocatore abbastanza. La TV e Boncompagni rendono Raffaella la donna scandalosa e provocatrice che fa parlare l’Italia, quando era una pancia scoperta a dare scandalo.
Pensando alle polemiche di queste settimane, alla predisposizione dell’opinione pubblica di ieri e oggi di misurare un’artista donna dai centimetri di pelle nuda, dal non saper distinguere una provocazione fatta ad arte da una boutade senza contenuto, si capisce l’estrema contemporaneità di ciò che ha fatto Raffaella, che entra nell’immaginario con il suo corpo e i suoi capelli.
Poi arriva la musica, i pezzi pop e poi dance irresistibili, che la portano ovunque nel mondo. Lucchetti continua a raccontarla in maniera non così convenzionale, più ruvida, più calda. Raffaella è una donna che sfugge alle situazioni facili, che sposa il suo lavoro, che incappa in errori e polemiche e ne esce con la forza della professionalità, della tenacia, della capacità di mettere da parte i sentimenti di donna e tirar fuori le considerazioni di professionista che lavorò per gran parte della vita a fianco dei suoi compagni.
Lucchetti intreccia Raffaella alla storia d’Italia
Nella seconda parte di Raffa la sua figura s’interseca a quella della storia italiana: prima i ‘60 del boom e della liberazione sessuale, poi lo stridore della sua leggerezza con i ‘70 di piombo. Raffa allora nella Spagna franchista, diventa un idolo pagano in Sud America, conquista folle oceaniche e mobilità sicurezza, polizia e alte cariche dello stato. È la Raffaella che conosciamo meno, che l’Italia pensava dimenticata e invece diventa famosa come mai prima d’ora, a livello di una rockstar statunitense, di una principessa reale inglese.
La terza parte del documentario racconta la seconda nascita di Raffaella, quando il corpo da show woman non può più seguire il ritmo delle giovani leve della TV commerciale. Sempre in sintonia con l’Italia, Carrà si lascia sedurre alla TV commerciale e berlusconiana prima che il paese lo faccia a livello politico.
Dopo gli anni di Pronto Raffaella? però Lucchetti s’inceppa, perde il mordente, non riesce più ad affondare la rama. Raffa diventa via via più agiografico, più celebrativo, smette di chiedersi se e quanto Carrà sia un tramite, il frutto di una collaborazione collettiva. Significativo è come sorvoli completamente sul Sanremo della conduttrice, quello che doveva essere la sua consacrazione e ancor oggi viene ricordato come il suo grande flop (e che poteva essere facilmente rivendicato a livello musicale). Di come da Pronto Raffaella? a Carramba che sorpresa! da provocatrice diventi gran signora della televisione, rassicurante, familiare. Lucchetti insomma si perde per strada, il dubbio, lo sguardo critico.Quello che abbiamo perso noi quando Raffaella è morta e improvvisamente è diventata da idolo d’oro a idolo intoccabile. Eppure negli ultimi anni Raffaella aveva continuato a lavorare, perdendo non il suo smalto, ma la sua capacità d’innovare. Lucchetti si fa intenerire, scivola nel ricordo dei tanti ospiti che idolatrano Raffaella amica e collega (Fiorello, Loretta Goggi, David Guetta, Tiziano Ferro) e ci sottrae il tarlo, il dubbio, il sospetto, le zone d’ombra che rendono un documentario come questo completo, vivido, definitivo.
Nonostante verso il finale perda mordente, Raffaella è molto più che un ricordo celebrativo di Raffaella Carrà: è il racconto uno e trino di una donna, un corpo e una voce che ha incarnato il cambiamento dell’Italia per almeno tre decenni e che al contempo l’hanno influenzato direttamente. È molto più di un ricordo, di uno speciale in memoria di Raffaella. Anzi, i suoi momenti più memorabili e riusciti sono proprio quelli in cui mette in crisi il nostro affetto e il nostro ricordo.