Rapina al Banco Central: la storia vera e la miniserie di Netflix
Fra realtà e finzione, una storia complessa
Miguel Bosé, Raffaella Carrà, Amanda Lear: la colonna sonora di Rapina al Banco Central, la miniserie di Netflix, fa sentire a casa anche noi italiani. Ma la situazione in Spagna nel 1981 era molto, molto diversa dalla nostra. E per parlare della trasposizione di questa storia vera, dal libro di Mar Padilla, è necessario comprenderlo.
La premessa storica
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Nel 1981 la Spagna stava vivendo un periodo di grande tensione e incertezza politica, in piena transizione dalla dittatura franchista alla democrazia. Il Paese affrontava una grave crisi economica, con alta inflazione e disoccupazione diffusa, che aveva generato forte insoddisfazione popolare verso il governo democratico.
Gli attentati terroristici dell’ETA, il gruppo basco-separatista, alimentavano il clima di paura e instabilità e anche una parte delle forze armate era contraria alla democratizzazione e alla regionalizzazione dello Stato, alimentando sentimenti golpisti.
Il governo dell’Unione del Centro Democratico (UCD) guidato da Adolfo Suárez era in crisi. Suárez si era dimesso da premier e presidente dell’UCD a fine gennaio 1981 e poco dopo, il 23 febbraio, durante la votazione per l’investitura del nuovo premier Leopoldo Calvo-Sotelo, che si apprestava a prestare giuramento in Parlamento, un gruppo di militari della Guardia Civil guidati dal tenente colonnello Antonio Tejero assaltò il Congresso dei Deputati.
Il tentativo di golpe, un tentativo di colpo di Stato, fallì grazie all’intervento del Re Juan Carlos I, che si oppose fermamente ai golpisti. L’esito fu un rafforzamento della monarchia, che accelerò la fine dell’UCD. Alle elezioni del 1982 vinse il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) di Felipe González, che avrebbe governato in seguito per 14 anni.
Asalto al Banco Central: il libro di Mar Padilla con la storia vera
Il libro Asalto al Banco Central, uscito nel 2023, racconta il famoso assalto alla sede del Banco Central di Barcellona avvenuto il 23 maggio 1981, esattamente tre mesi dopo il tentato colpo di Stato.
Un gruppo di uomini armati prese in ostaggio circa 300 persone all’interno della banca, chiedendo la liberazione di Antonio Tejero e di altri coinvolti nel tentato golpe.
L'assalto durò 37 ore e fu uno dei più grandi sequestri di ostaggi nella storia della Spagna. Le motivazioni degli assalitori rimangono ancora oggi poco chiare, alimentando teorie del complotto e le approfondite ricerche di Mar Padilla, che ha intervistato testimoni diretti come il capo della banda José Juan Martínez (noto come “Número Uno”), oltre a magistrati, giornalisti, ostaggi e agenti segreti, consentono al lettore di trarre le proprie conclusioni sui fatti accaduti a Barcellona.
La miniserie
Il libro di Padilla usa uno stile preciso, che combina elementi giornalistici e narrativi creando un racconto avvincente che ricorda - leggere per credere - i film degli anni ’80. E forse è proprio questo che si sarebbe dovuto realizzare per raccontare questa storia: un film.
La miniserie indugia troppo, nel corso dei suoi 5 episodi, su piste che sembrano sviare lo spettatore rispetto alle reali motivazioni dei rapinatori e sulla storia personale della giornalista Maider Garmendia (María Pedraza, La casa di carta), che indaga sugli autori e la motivazione della rapina.
Anche le implicazioni politiche che riguardano il passato di Numero 1, all’anagrafe José Juan Martínez Gómez, interpretato da Miguel Herrán (Rio ne La casa di carta).
La storia pseudo-romantica di un ragazzo che in prigione scopre la passione politica, che secondo lui si può esprimere efficacemente rapinando banche, non arriva al cuore dello spettatore: semplicemente, non crediamo alla sua copertura. Così come non ci crede Maider, che considera gli 11 uomini armati come criminali comuni. Si definiscono anarchici, si dicono prigionieri politici, ma ciò che fanno in realtà è semplicemente rubare per fare tanti soldi in fretta, e senza sforzo.
L’episodio 4, intitolato appunto “Numero 1”, racconta la storia di José ammantandola di un romanticismo avventuroso che il personaggio nella realtà non aveva. Certo, può trattarsi di una scelta stilistica come l’aggiunta del personaggio di fantasia Maider Garmendia, ma un conto è creare un personaggio dal nulla, inserendolo nella storia, un altro travisare la natura delle persone realmente esistite.
Si tratta di un’operazione rischiosa, insomma, portare in scena eventi così radicati nella storia di un Paese con la volontà di alimentare quelle teorie del complotto che il libro da cui è tratta la serie voleva smontare.
Gli attori sono bravi, nulla da dire. È l’approccio - e la lunghezza, anche - a non essere perfetto.
Flashback e complottismo a parte, la miniserie funziona. Fotografia e scenografie restituiscono l’atmosfera giusta, spingendoti a proseguire la visione..
Rating: TBA
Nazione: Spagna
Voto
Redazione
Rapina al Banco Central
Rapina al Banco Central è tecnicamente ben realizzata, indiscutibilmente. Ma non riesce a differenziarsi dalle mille altre storie di grandi rapine simili a questa. Soprattutto, non restituisce abbastanza la verità storica di un momento che sconvolse l’opinione pubblica, proprio nel momento in cui cercava di riprendersi dal tentativo di golpe. Tratto dal libro di Mar Padilla, che cerca di smontare le teorie del complotto seguite all’assalto di Barcellona (una storia vera), la serie sembra invece volerle alimentare. Il personaggio di José Juan Martínez Gómez (Miguel Herrán, Rio ne La casa di carta), viene ammantato di un fascino romantico che nella realtà non aveva. La protagonista, la giornalista che indaga sulla rapina, è invece un personaggio di fantasia.
Nel complesso, nonostante le carenze e la discutibile scelta sulle motivazioni, Rapina al Banco Central intrattiene e spinge lo spettatore a prolungare la visione