La recensione di Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menendez

La storia vera dei fratelli Menendez nella serie di Netflix

di Chiara Poli

Monsters - La storia di Lyle ed Erik Menendez è esattamente come ve la aspettate: cruda. Dura. Mai banale. Spezza il cuore, in più di un’occasione. Spaventa, a tratti. Fa riflettere, sempre.

Dopo averci raccontato la storia del serial killer Jeffrey Dahmer, con un viaggio terrificante nella mente del mostro magistralmente interpretato da Evan Peters, Ryan Murphy e Ian Brennan tornano su Netflix con la seconda stagione della loro serie antologica (proprio come American Horror Story e American Crime Story).

Dal 19 settembre con i suoi 9 episodi Monsters ci racconta la storia dei due fratelli che nel 1989 massacrarono i propri genitori a colpi di fucile.

Un’accurata ricostruzione dei fatti e delle reazioni dei media


Inizialmente non sospettati grazie all’alibi che tentarono di costruirsi e alla brutalità del delitto, che fece pensare alla malavita magari legata alle ingenti ricchezze e agli importanti affari di Josè Menendez (Javier Bardem, che accetta un ruolo difficile e non delude), Lyle (Nicholas Alexander Chavez, General Hospital), 21 anni, ed Erik (Cooper Kock, Il Natale che vorrei), 18, la fecero franca per un paio di mesi.

Il loro arresto, nel quale l’analista di Erik, il dottor Jerry Oliez (Dallas Roberts, l’ex Milton di The Walkng Dead) giocò involontariamente un ruolo fondamentale, lasciò l’America intera sotto shock.

Due ragazzi poco più che adolescenti avevano sparato in faccia alla loro mamma e al loro papà. Due ragazzi ricchi e viziati, che avevano tutto. Due ragazzi avidi che avevano ucciso per denaro. Per impossessarsi dei milioni del padre senza doverne più rispondere a nessuno.

Il colorito articolo pubblicato su Vanity Fair da Dominque Dunne (Nathan Lane, Only Murders in the Building) che inserì nella ricostruzione degli omicidi una serie di suggestioni di sua invenzione, contribuì a far vedere Lyle ed Erik come due arroganti impuniti che meritavano il massimo della pena. Che in California, per la cronaca, all’epoca prevedeva la camera a gas.

Una doppia prospettiva: quella percepita e quella reale


Gli episodi di Monsters iniziano in modo inusuale: già nel primo episodio assistiamo al duplice omicidio. Ma le cose non vanno come vedremo in seguito. I ragazzi si sbarazzano dei fucili, poi cercano di procurarsi un alibi. I ruoli sono chiari: Erik arriva a cose fatte. Ma in seguito ci saranno altre versioni della sparatoria.

Perché Murphy e Brennan hanno inserito all'inizio una versione diversa?

Per il più semplice ed efficace dei motivi: depistarci. Mostrarci fin dal principio che nessuno sa davvero come andarono le cose durante gli omicidi. Ma anche, soprattutto, che le cose non stanno come crediamo noi. Non stanno come ci vengono raccontate, e come all’epoca vennero raccontate agli americani.

È probabilmente questa la parte più cruda e difficile da sostenere di Monsters: non l’orrore dei cadaveri mutilati, bensì un semplice tavolo a cui, seduti con il loro avvocato Leslie Abramson (Ari Graynor, Surface), prima Lyle e poi Erik raccontano gli abusi sessuali subiti dal padre fin da quando avevano 6 anni. Abusi di cui, per inciso, parte della famiglia venne a conoscenza. Nessuno denunciò. Un cugino (diventata una cugina nella serie) lo disse alla madre dei ragazzi, Kitty (la sempre strepitosa Chloe Sevigny, candidata all’Oscar per Boys Don’t Cry), senza essere creduta.

Poiché gli abusi emersero solo tempo dopo l’arresto dei due assassini, e poiché a parte le testimonianze delle vittime, di un amico di Lyle e della cugina (nella realtà il cugino Andy Cano) non c’erano prove, i due fratelli non vennero creduti. Dopo la condanna per gli omicidi, il giudice fece inserire nella sentenza addirittura il divieto di menzionare gli abusi poiché ritenuti non corrispondenti al vero.

E Lyle ed Erik non ne hanno più parlato, fino al 2023.

Ora, immaginate di essere un americano nei primi anni ’90, una persona comune che lavora e ha una famiglia. Cosa pensereste di due ragazzi che sparano in faccia ai loro genitori? Esattamente ciò che l’America ha pensato di loro.

La riapertura del caso e la nascita di Monsters


I fratelli Menendez non hanno mai più parlato degli abusi subiti, dicevamo, fino al 2023. L’anno in cui il caso è stato riaperto a seguito di nuove prove, di una testimonianza di abusi da parte di José subiti da una persona esterna alla famiglia.

Poco dopo, Ryan Murphy e Ian Brennan annunciarono ufficialmente che la seconda stagione di Monster, già rinnovata ufficialmente da Netflix, si sarebbe occupata del caso di Lyle ed Erik Menendez. Era il 1° maggio del 2023. Il 29 giugno vennero confermati i ruoli dei protagonisti, gli attori Cooper Koch e Nicholas Alexander Chavez. Il 18 aprile del 2023 al Today Show venne mostrato uno spezzone del documentario in cui Roy Rossellò, ex leader della boyband portoricana dei Menudo, raccontò di essere stato abusato da José Menendez quando aveva 14 anni.

Ai primi di maggio, i legali di Lyle ed Erik Menendez depositarono i documenti per la riapertura del caso con la nuova testimonianza, chiedendo la revisione del processo. La decisione mentre scrivo non è ancora arrivata.

Al di là della realtà, su Monsters bisogna dire una cosa: non ci viene risparmiato nulla. La lunga testimonianza di Erik nell’episodio 5, esattamente a metà serie (ci sono 4 episodi prima e 4 dopo), con l’inquadratura che diventa sempre più ravvicinata fino a un primissimo piano, è qualcosa che non può non lasciare il segno. Il modo in cui Erik parla - non tanto degli abusi quanto del suo rapporto con il padre e con il sesso - ci spalanca le porte di un mondo oscuro. Quel mondo in cui le vittime di abusi, per tutta la loro vita, restano rinchiuse.

Storie parallele e musica


Oltre alla storia degli omicidi, dell’arresto e dei processi, assistiamo anche alla storia dell’incontro fra José e Kitty, nel 1962. Anche parti della vita famigliare con i figli vengono ricostruite con flashback. Ma mai gli abusi. Il rispetto per le vittime è tale che si lascia che siano loro, i loro interpreti, a raccontarli. Non c’è bisogno di vederli: fa già abbastanza impressione sentirli.

Conosciamo la storia di Kitty e di José, tramite i flashback e le grandiose interpretazioni di Chloé Sevigny e Javier Bardem. Conosciamo i ragazzi anche dal loro punto di vista quando Kitty li descrive al suo analista, dipingendo un quadro di realtà in cui finge di ignorare ciò che ha sempre saputo. Ovvero che fin da bambini hanno subito abusi da parte di José. La sua incapacità di affrontare la cosa, scegliendo il silenzio, l’alcol e le pillole, la dice lunga sia su Kitty che sulla società dell’epoca. Kitty era addirittura gelosa dei suoi figli.

Perché Kitty aveva una visone distorta della situazione e in fondo, non era che questo: succube di José. Un’altra sua vittima.

Va precisato che il processo rappresentato in TV non corrisponde alla realtà, perché il processo annullato era duplice: i fratelli vennero giudicati separatamente e nessuna delle due giurie giunse a un verdetto. Furono imputati insieme al nuovo processo, durante il quale furono condannati all’ergastolo. Anche grazie alle registrazioni che Norma Novelli pubblicò, dopo aver parlato al telefono con Lyle mentre si vantava della sua capacità di essere un bravo attore alla sbarra. Il processo Menendez era figlio del suo tempo. E fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, in pochi credevano che anche i maschi potessero essere vittime di abusi sessuali. Tristemente, tragicamente vero.

Ciò premesso, va sottolineato altro. Ogni momento fondamentale nelle vite della famiglia Menendez viene sottolineato da un commento musicale con una canzone dell’epoca, o tematica. Ancora una volta, i creatori di Glee si servono della musica come mezzo di espressione molto più efficace, diretto e inequivocabile delle parole.

Nonostante la bravura del cast - chiamato a restituire emozioni complesse magari solo con lo sguardo e perfetto nel farlo - la musica continua ad avere un ruolo fondamentale. Nelle vite dei personaggi come nelle nostre. Così come la famiglia, nel bene e nel male, continua a essere il centro delle nostre vite.

Certamente, lo è stata per Lyle ed Eric Menendez. I ragazzi portati a Beverly Hills dopo essere stati arrestati per furto - classica reazione adolescenziale ai problemi famigliari, che José non vede perché non pensa ce ne siano. I ragazzi costretti dal tribunale a seguire una terapia con un analista (il dottor Oliez, appunto), ma alla presenza dei loro genitori perché José sapeva bene cosa avrebbero potuto raccontare. E loro non lo fecero mai. Neanche una parola. Nemmeno con il dottor Oliez. Avevano troppa paura e troppa vergogna di parlarne. Monsters, invece, non ha paura né vergogna. Né ne hanno Bardem e Sevigny nel confermarci che quel Monsters, al plurale, non si riferisce a Lyle ed Erik.

I mostri, qui, sono José e Kitty Menendez. Dev’essere chiaro, ma Monsters vuole anche che sia chiaro perché lo erano. E grazie agli episodi di questa serie, che ci racconta come i mostri generino altri mostri, generazione dopo generazione, in una catena di orrore senza fine, lo è.