Siviglia 1992: recensione della serie spagnola di Netflix

Un ritmo altalenante risollevato da un buon finale

Siviglia 1992 recensione della serie spagnola di Netflix

Dal 14 dicembre su Netflix è disponibile la miniserie spagnola Siviglia 1992. Fra azione, suspense e crime drama, un’insolita coppia di investigatori indaga su una serie di crimini legati all’Expo del 1992.

La trama di Siviglia 1992

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Richi (Fernando Valdivielso) è un ex poliziotto con un dramma familiare alle spalle. Alcolista, ripiomba nell’incubo del bere dopo la morte dell’amico Álvaro (Álex Gadea) in un’esplosione. La vedova di Álvaro, Amparo (Marian Álvarez) è determinata a scoprire la verità sulla morte del marito: una serie di omicidi, incluso il suo, sembrano infatti essere legati all’Expo di Siviglia del 1992. Insieme a Richi, Amparo forma un’inedita coppia di investigatori che, con l’aiuto di un commissario di polizia, arriverà a scoprire la verità…

Un mix di generi

Siviglia 1992: recensione della serie spagnola di Netflix

Siviglia 1992 mescola tanti generi diversi: il classico crime drama, l’avventura, un pizzico di romance, e una punta di horror che richiama un po’ il genere alla Se7en: situazioni raccapriccianti legate al misterioso killer.

Col passare del tempo, il mistero attorno agli omicidi inizia a dipanarsi per poi inserire nella trama un colpo di scena che cambia l’intera prospettiva proprio nell’ultimo episodio.

La coppia di protagonisti si muove con disinvoltura - lei ricorda molto Vera Farmiga sia per il modo di recitare che per le espressioni - e l’intensità di lui si lega perfettamente alla sua condizione di alcolista dipendente dal bere tanto da iniziare a soffrire di delirium tremens in un brevissimo tempo di astinenza.

Ricordando la trovata all’epoca innovativa di Un lupo mannaro americano a Londra, Richi riceve la visita dell’amico morto, con il cadavere completamente sfigurato. E man mano che i morti aumentano, aumentano anche le visite. La spiegazione più ovvia è che siano allucinazioni causate dall’alcol, ma anche una manifestazione del senso di colpa che lo spinge a continuare a indagare sui fatti.

Una storia di vendetta con difetti

Siviglia 1992: recensione della serie spagnola di Netflix

Fin dal principio, e dal modo in cui si muove il serial killer ustionato che usa il fuoco e le esplosioni per uccidere, in una sorta di vendetta per quanto evidentemente gli è successo, Siviglia 1992 mescola il tema dell’assassino vendicativo con quello della corruzione.

L’edizione del 1992 dell’Expo a Siviglia, con la celebrazione dei 500 anni dalla scoperta dell’America, fu un enorme successo. Oltre 42 milioni di persone visitarono l’esposizione, con i padiglioni ora ridotti a un luogo abbandonato come vestigia di un glorioso passato che non esiste più.

La storia, che si snoda fra Madrid e Siviglia, ci mostra paesaggi incantevoli ma anche flashback in cui il mondo era profondamente diverso da quello di oggi.

Gli episodi ci mettono un po’ a ingranare: nonostante la partenza col botto (letteralmente), il ritmo narrativo poi rallenta decisamente, per accelerare improvvisamente verso il finale e regalarci un episodio conclusivo degno di nota. Ottima anche la scelta finale, di non dare seguito a sviluppi scontati fra i personaggi.

Va però anche detto che ci sono tante piccole cose che non tornano, e che sono disseminate lungo tutti gli episodi. Il fuoco del lanciafiamme si spegne sempre da solo, spontaneamente, senza mai far sviluppare un incendio (in modo piuttosto inverosimile), per non parlare della mania di Amparo e Richi di introdursi sui luoghi di incendi ed esplosioni subito dopo i fatti, entrando indisturbati (quando il fuoco, appunto, si consuma spontaneamente).

Poco credibile anche il viaggio fino negli USA, dall’altra parte del mondo, per verificare un’informazione che poteva essere controllata tranquillamene dalla Spagna. Per non parlare di una caduta di schiena da almeno 30 metri a cui il malcapitato sopravvive.

Tutto è piuttosto strumentale alle esigenze della sceneggiatura, piegato alle necessità narrative ignorando bellamente le norme più logiche e basilari.

Un ritmo altalenante

Siviglia 1992: recensione della serie spagnola di Netflix

Ciononostante, la rivelazione finale che si tratti non di vendetta ma di altro funziona risollevando le sorti dell’intera miniserie. Uno o due episodi in meno avrebbero certamente contribuito a non spezzare il ritmo così spesso e in modo così marcato. Un ritmo che alterna scene dilatate fino all’inverosimile e momenti topici ridotti a pochi secondi, affrettati, con il salto di passaggi logici importanti (vedi un caso che compare sulla testa del fuggitivo dal nulla e tanti altri dettagli simili, che non vi racconto per evitare spoiler).

Particolarmente interessante una delle sottotrame, in cui un ladro (perché questo è stato) fugge all’estero con la somma sottratta ma, innamorato di una donna americana, va a vivere proprio negli Usa. Dove le cure si pagano e la malattia - in una sorta di karma compensatorio - gli costerà tutto.

Si poteva approfondire il discorso, accentuando la cosa, ma come molto altro anche questa viene lasciata alle riflessioni dello spettatore.

Tutto sommato, grazie al finale, Siviglia 1992 funziona. Ma ci sarebbe parecchio da sistemare nella sceneggiatura.

Siviglia 1992

Rating: TBA

Nazione: Spagna

6.5

Voto

Redazione

Siviglia 1992jpg

Siviglia 1992

Siviglia 1992 è la miniserie spagnola di Netflix in cui una donna appena rimasta vedova e un ex poliziotto alcolizzato formano un’insolita coppia di investigatori che batte la polizia sul tempo dando la caccia a un serial killer. Nonostante un ritmo altalenante - scene eccessivamente dilatate con momenti importanti condensati in una manciata di secondi - e una serie di soluzioni davvero poco verosimili, con la sceneggiatura e la realtà che si piegano alle esigenze narrative, la conclusione della storia risolleva il tutto, raccontandoci una storia di vendetta che in realtà è qualcosa di inaspettato. Molto bravi i due protagonisti, ma in generale tutto il cast. Suggestivo l’ex sito dell’Expo a Siviglia, abbandonato e desolato in un richiamo allo spreco che domina il presente.

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