Slow Horses è la serie più bella che vedrai questo Natale, grazie a Gary Oldman
Ciò che separa Gary Oldman dall’agognata pensione è Slow Horses, la serie tutta spie e intrighi internazionali di cui è assoluto protagonista per AppleTV+. Oldman l’ha dichiarato di recente, durante un giro d’interviste per il lancio della seconda stagione di una delle novità seriali più solide e appassionanti nel 2022. Non desidera arrivare a 80 e più anni recitando, sente che è arrivato il momento di fare altro nella sua vita. Il ruolo di Jackson Lamb gli sembra perfetto per il suo (presunto) addio alle scene.
Slow Horses quindi è l’unica cosa che ci separa da un Gary Oldman pensionato che non ci regal più grandi performance; questo già non è un merito da poco. L’attore inglese ha ragione nel dire che quello di Lamb è il ruolo perfetto per dire addio alla recitazione: è una grande parte, oltre che coerente con l’arco recitativo che ha disegnato negli ultimi 20 anni con le sue scelte attoriali migliori.
Non è certo un caso che Apple sia andata a cercare proprio lui per interpretare Jackson Lamb. Oldman infatti ha già incarnato la spia delle spie, George Smiley, nel film tratto dal classico di John Le Carré La talpa. Un ruolo in cui ha regalato una performance storica, capace di riveleggiare con quella di Alec Guinness, che interpretò la stessa parte nello sceneggiato BBC del 1979.
Se non fosse offensivo verso l’evidente impegno che Oldman mette nelle sue continue schermaglie con la collega e amica Kristin Scott Thomas e verso la maestria con cui insulta, tormenta e annichilisce i suoi sottoposti al Pantano, verrebbe da dire che l’attore con i panni sporchi e le calze bucate di Lamb ci è nato.
Sporco, bugiardo e leale: Gary Oldman in Slow Horses è da antologia
Tratta dal ciclo dei romanzi di Mick Herron, Slow Horses porta lo spettatore nel dietro le quinte dei servizi segreti inglesi del nuovo millennio, eredi appunto della malinconica aura dei romanzi di Le Carré. Come George Smiley, Lamb si muove entro e fuori i confini di un MI5 che è anti-bondiano per eccellenza. Le spie qui non sono aitanti, affascinanti e infallibili, anzi: il gruppo dei “ronzini” che danno il titolo alla serie si trova ai comandi di Lamb perché hanno commesso errori clamorosi.
Jackson Lamb infatti opera in una sezione distaccata non solo geograficamente dalla sede principale del MI5, il Park. In Pantano è un edificio diroccato e grigissimo, un Purgatorio in cui discendono gli agenti che hanno dimostrato tale imperizia e inettitudine da finire nell’anticamera del licenziamento. Lamb sembra volersi assicurare che ognuno di loro finisca per cedere. In particolare il protagonista, River Cartwright (Jack Lowden) è il suo bersaglio preferito: figlio di una ribelle hippie e nipote di un alto papavero del Park, River è convinto di essere stato incastrato al Pantano e scalpita per ristabilire il proprio onore. La missione di Lamb sembra invece quella di farlo desistere per sempre.
Slow Horses e le cicale della stagione 2
Dopo aver sventato un attentato terroristico e aver evitato l’annientamento della squadra da parte della potentissima “Lady D” (la seconda scrivania del Park, interpretata da Scott Thomas), nella seconda stagione appena inizia su AppleTV+ il gruppo di Lamb s’imbatte in un ricordo scomodo della Guerra fredda. Una sola parola: cicala, il termine con cui i russi si riferivano ad agenti dormienti impiantati nella società occidentale, in attesa di essere attivati. Una leggenda che corre trasversalmente nel genere dello spionaggio: The Americans ci ha costruito un’intera (bellissima) serie sopra, il già citato La Talpa s’ispirava a una spia realmente esistita che passò informazioni ai russi dai massimi vertici del MI5.
Spie russe a Londra, che raccolgono informazioni da talpe e traditori ai massimi vertici del governo di Sua Maestà. Certe leggende sono dure a morire, certi dubbi impossibili da fugare. Per fortuna o destino Slow Horses scegli i russi come oggetto dell’indagine della sua seconda stagione in un momento storico in cui in Occidente il ruolo di cattivi se lo sono ripresi e difficilmente se lo scolleranno di dosso. È affascinante vedere come la storia scritta da Herron e adattata dallo showrunner Will Smith (un omonimo, non quel Smith) riesca al contempo a far rivivere vecchie ombre russe sui servizi inglesi e insieme smitizzare quell’epoca, con il suo umorismo nerissimo.
Slow Horses infatti si presenta quasi come una comedy nerissima, intrisa del pungentehumour britannico, che sterza bruscamente nel thriller quando lo spettatore meno se l’aspetta, con colpi di scena che mozzano il fiato. Forse fanno spuntare qualche lacrima, perché la cosa che riesce meglio a Smith e Herron è farci affezionare all’umanità dietro l’inettitudine o il cinismo dei ronzini, che anche nei momenti migliori non smettono mai di essere fallaci o dei falliti. Lo stesso River è al contempo un ottimo agente e un inguaribile ingenuo, che talvolta dei pasticciacci brutti li combina davvero.
Il master of puppet, il master mind della situazione non poteva che essere Lamb e non poteva che interpretarlo Gary Oldman, capace di tenere insieme le contraddizioni di una mente affilatissima che nessun vizio o trascuratezza auto-indotte riesce davvero a scalfire. Questa è palesemente la sua più grande maledizione; la capacità di vedere il poco buono c’è nei pessimi elementi che comanda e il ricordo di tutto il pessimo che ha visto nei buoni che il Park l’hanno comandato e lo comandano ancora.
Disilluso, cinico, misantropo, tenacemente fedele verso ideali e compagni ormai perduti nella fine della Guerra fredda, Lamb l’altra faccia di Smiley, l’ennesima spia inglese fuori posto, incapace di lasciare i servizi, seppur intrisa dal disgusto verso gli stessi. L’epoca finita però non è più quella della Grande Inghilterra, bensì quella degli anni ‘90. Seppur scritte una decina di anni fa, le trame di Slow Horses raccontano i servizi moderni, che tengono insieme vecchi rancori che vengono da lontano e nuove modalità di operazione.
Nella seconda stagione si continua a raccontare la zona grigissima che unisce le ambizioni dei politicanti e del mondo degli affari della City londinese. Difficile non vederci dentro l’incipit dei vizi e degli ideali distorti che hanno portato l’Inghilterra dentro il periodo tormentatissimo che sta vivendo e la Russia a rinchiudersi nella sua paranoica contrapposizione all’Occidente, con continue purge radioattive agli oligarchi oppositori.
Slow Horses è una delle migliori serie del 2022
Non che Slow Horses si muova sui massimi sistemi, almeno non apparentemente. È una solida serie d’intrattenimento, che come spesso accade sia nelle produzioni inglesi sia nei titoli prodotti da Apple, più che ostentare il denaro (molto) che ha a disposizione, lo mette a frutto nel modo migliore possibile. Non ha bisogno di draghi, Oscuri signori e continue pugnalate alle spalle per sorprendere lo spettatore, salvo poi scivolare su dialoghi imbarazzanti e parrucconi posticci.
È una serie vecchia maniera: scritta a prova di rewatch (dove invece cresce moltissimo), con momenti intensi, interpretati da un cast eccellente in ogni sua componente, anche in personaggi di contorno e gregari. I soldi che ha li usa in effetti speciali poco visibili ma molto funzionali e in quello più speciale di tutti: una regia e una fotografia eccellenti,che rendono semplicissima la lettura visiva di quanto succede. Che bello sarebbe se anche i competitor ripartissero da qui, dal fare molto bene cose semplici e non approssimativamente progetti megalomani.
Quando un progetto è così curato non ha bisogno nemmeno di un nome di richiamo per funzionare, ma Slow Horses non si nega neppure quello. Tanto che chiede a Mick Jagger di comporre la sigla d’apertura, che magari avrete sentito in radio quest’estate.
Al centro c’è poi c’è lui, un Gary Oldman gigantesco nella sua disperazione e malinconia, che potrebbe tener su uno show ben più modesto da solo. Invece duetta in punta di fioretto con Scott Carr, nasconde appena negli occhi l’orgoglio per River e la rabbia territoriale con cui difende la sua squadra di brocchi da tutto e da tutti, in un mondo in cui la regola di Mosca (guardati le spalle) si scontra spesso con quella di Londra (parati il culo). Chi è più minaccioso, i nemici conclamati o gli amici che non sono tali? Da chi bisogna davvero guardarsi le spalle?
Alcune delle risposte se ne stanno lì, in una serie di cui si parla pochissimo e che AppleTV+ ha il lusso di potersi permettere di produrre anche se quasi nessuno la vede, senza troppo scalpore. La speranza è che possa continuare a farlo, perché con questa seconda stagione Slow Horses si conferma ampiamente come uno dei titoli migliori del 2022.