Su Disney+ è arrivata la terza stagione di The Bear: la recensione

Scopriamo insieme pregi e difetti di The Bear 3

di Chiara Poli

La seconda stagione di The Bear infila una serie di episodi-capolavoro uno dietro l’altro. Oggettivamente parlando, la qualità delle storie del pranzo di Natale della famiglia Berzatto, dell’esperienza di Richie (Ebon Moss-Bachrach) all’Ever, di una semplice omelette e della nuova avventura lavorativa di Carmy (Jeremy Allen White) è innegabile.

Interpretazioni sublimi, qualità di scrittura che ti tiene incollato allo schermo, anche quando non vorresti perché ti dà (volutamente, vista la quantità di dialogo e i toni usati dai personaggi) fastidio, storie che lasciano il segno anche nella loro semplicità.

Un pranzo di famiglia, un lavoro temporaneo, una omelette… Tanto semplici quanto, grazie a cast e autori, memorabili.

E poi arriva l’attesissimo seguito. La terza stagione.

The Bear 3: l'inizio


Il secondo finale di stagione ci lasciava dopo il primo servizio al nuovo ristorante.

Anziché immergerci subito nelle conseguenze di in quel momento, lasciate in sospeso, la stagione 3 parte dalla fine. Dal momento in cui Carmy, in un appartamento che ancora non conosciamo, guarda e tocca la cicatrice che ha sulla mano destra. La storia di quella cicatrice ci verrà poi raccontata, ma prima torniamo indietro. In una lunga ricostruzione dei ricordi di Carmy, lenti e inequivocabili.

Partiremo dal trauma successivo a quel primo, maledetto servizio, pensiamo. Ma tarda ad arrivare. Dilatazione. Fin dal primo momento.

Restiamo in attesa. In attesa di The Bear, quello vero, il ristorante che rappresenta una scommessa sia per Carmy, Sidney (Ayo Edebiri, anche dietro la macchina da presa in veste di regista), zio Jimmy (un meraviglioso Oliver Platt) e tutti gli altri, sia per noi spettatori.

Il primo episodio è il naturale prosieguo del precedente finale di stagione, ed è piuttosto in linea con la sua qualità. Ma qualcosa non torna, nei primi minuti. Si mescola tutto, dilatando i tempi. Un’abitudine a cui non eravamo abituati.

E da quel momento, tolti gli episodi su Tina (Liza Colón-Zayas) e su Nat (Abby Elliot), intitolato Cubetti di ghiaccio, la sensazione è quella di aver dovuto per forza dilatare i tempi. In attesa di una quarta stagione già confermata e annunciata per il 2025. Il risultato? Una stagione stiracchiata, in cui si perde tanto tempo. Soprattutto, una stagione i cui episodi più riusciti sono ambientati fuori dalla cucina. Capite bene che, in una serie come The Bear, questo rappresenta un po’ un problema.

C’è di più. Il modo in cui la seconda stagione ci aveva raccontato la storia di Carmy e Claire (Molly Gordon) era stato pura poesia. Qualcosa di così lontano dalle “solite” serie TV che ci sembrava di entrare nei loro cuori e nelle loro menti. Almeno quando si trovavano insieme.

Questa mancanza, nella stagione 3, si sente davvero tanto. Non tanto per la ben minore presenza di Claire, quanto per la perdita di quell’atmosfera così unica che la avvolgeva.

“Non sto parlando di lei”


Il primo episodio - con quella telefonata che non sistema nulla, anzi - e gli altri due, tutti già citati, dimostrano che The Bear ha ancora le idee chiare sulla direzione da prendere, ma in qualche modo è stata sviata. Come se questi 10 episodi dovessero arrivare solo fino a un certo punto della narrazione, costringendo gli autori - capeggiati dal creatore e produttore Christopher Storer - a dilatare il tutto.

L’uso di quei flashback prima attribuiti solo a Carmy e poi via via allargati a tutti gli altri personaggi, con alcuni dei momenti più significativi/traumatici delle loro vite, risulta francamente eccessivo.

Vanno bene l’ansia e la preoccupazione, ma da qui a i flash da reduci del Vietnam ce ne passa.

Infine c’è Sidney. Il suo crollo - non dico altro per evitare spoiler - risulta quasi offensivo nel paragone con i personaggi che hanno problemi ben più seri dei suoi.

Il futuro fa paura, certo. Soprattutto quando sei giovane e ti giochi il tutto per tutto. Ma le tematiche di The Bear sono sempre andate in profondità, molto più di così.

Cosa sta succedendo? Sembra proprio che tutti i problemi di questa stagione siano riconducibili a quella necessità di produrre un certo numero di episodi senza far progredire davvero la storia.

Quella sensazione di forzatura, di “stiracchiatura”, appunto, che riguarda la maggior parte dei 10 episodi disponibili su Disney+ per la terza stagione lascia un senso di parziale delusione.

Attenzione, però: non perché The Bear 3 sia una stagione disastrosa, no. Semplicemente perché, venendo da quel capolavoro della stagione 2, le aspettative erano altissime.

Le tematiche e quella strana citazione


Aspettative alle stelle, si sa, portano spesso a una delusione, almeno parziale. The Bear 2 è una stagione che si merita un 9 pieno. The Bear 3 arriva al 7 grazie a tanti elementi, a cominciare dalla bravura dei suoi interpreti (ode a Jamie Lee Curtis, Olivia Colman e tutti gli altri), ma quando ti aspettavi un altro 9 quel 7 suona un po’ come una sconfitta.

Ed è un peccato, perché con l’episodio Cubetti di ghiaccio, The Bear si è spinta dove molte altre serie che hanno solo sfiorato l’argomento non hanno osato spingersi: nel racconto di come la malattia mentale, di fatto, non impedisca alle persone che ne sono afflitte di amare. Di amare davvero. Pur con tutti i problemi del caso.

La tematica - che ricorda la vicenda della madre di Abby in E.R. (madre interpretata dall’eccezionale Sally Field) - torna prepotentemente a raccontarci non tanto l’infanzia dei Berzatto quanto l’impatto di quell’infanzia sulle loro vite di adulti. Cosa che funziona benissimo.

Resta da capire perché, nell’economia generale di una stagione piena di citazioni riuscite, si vada a inserire qualcosa senza una chiara spiegazione.

Vado dritta al punto, non servono spoiler: nella carrellata di celebri chef che hanno fatto la storia, viene inserita la foto di Bradely Cooper, chiaramente riconoscibile, nei panni dello chef del film Il sapore del successo. Un film dal risultato nella media, riuscito ma non certo eccelso, la cui citazione lascia un po’ perplessi. Perché si omaggia proprio quel personaggio? Per quale motivo? Ci verrà spiegato nella stagione 4 o si tratta semplicemente di una scelta personale di Storer?

Ai posteri l’ardua sentenza. Noi, intanto, restiamo qui a sognare di tornare ai fasti della stagione 2 e degli episodi meglio riusciti della 3.