Terminator Zero: la serie animata di Netflix che pasticcia con le linee temporali

Un prodotto di qualità, che pecca dal punto di vista contenutistico

di Chiara Poli

Quando sentimmo parlare per la prima volta di Skynet, il tema dell’intelligenza artificiale era ancora pressoché sconosciuto. Oggi, invece, è attualissimo. Ecco quindi Terminator Zero, la serie animata (in giapponese, con sottotitoli in italiano) di Netflix in 8 episodi che introduce il tema nella saga nata dal film di James Cameron del 1984, Terminator, mettendolo al centro della narrazione. Ma nulla più.

La trama di Terminator Zero


Tokyo, 2022. Una donna, Eiko, lotta strenuamente contro un Terminator, nell’evidente tentativo di recuperare qualcosa.

Tokyo, 1997. Malcolm li lavora in un’azienda che si occupa di robotica e intelligenza artificiale. Il suo è un progetto top secret. I suoi tre figli Kenda, Reika e Hiro sono affidati alla babysitter Misaki. Ma quando un Terminator viene inviato dal 2022 a minacciare Malcolm, anche la sua famiglia si trova in pericolo…

Il trionfo del già visto, in una serie però ben realizzata e con sequenze suggestive


Dal punto di vista tecnico, (quasi) nulla da dire: Terminator Zero funziona, ci regala diverse sequenze suggestive - non le cito per evitare spoiler - e un’atmosfera che ammanta il Terminator della situazione di potere terrificante. Il che, naturalmente, è un’ottima cosa.

Il problema è la narrazione. Tanto per cominciare, non c’è praticamente nulla di nuovo.

La serie è infarcita di omaggi alla saga cinematografica, tanto da replicarne intere sequenze o eventi. Questo, però, andava unito a qualcosa di originale, un nuovo elemento che differenziasse Terminator Zero, che so, dalle numerose fanfiction che girano a tema.

È molto difficile parlarne senza fare spoiler, ma ci sono rimandi così evidenti da cancellare quasi tutto il resto.

Vieni con me se vuoi vivere.

L’iconica frase che Kyle Reese (Michael Biehn) rivolge a Sarah Connor (Linda Hamilton) nel primo Terminator è solo uno dei mille elementi che in Terminator Zero ci danno un’estrema sensazione di déjà vu.

Ed è negativo provare una sensazione come questa di fronte a un omaggio.

Tutto viene affidato al finale, in un episodio che accumula rivelazioni su rivelazioni, ma anch’esse tutte già utilizzate dalla saga (tranne una, perché è di fatto insensata).

Carenza d’idee


Non essendoci costi per effetti speciali o altro - il bello di una serie animata è poter mettere in scena qualsiasi cosa - questo nuovo capitolo della saga poteva permettersi di fare qualsiasi cosa. Esplorare il 1997 nel momento del lancio di Skynet - perché è proprio nel 1997, il 29 agosto, che il nuovo Terminator viene mandato indietro nel tempo. Uno nel 1984 per uccidere Sarah Connor, uno nel 1992 per eliminare John Connor da ragazzino, tutti quelli inviati nei sequel e prequel (in Terminator 3, Salvation, Destino Oscuro e Genisys) e ora questo, dal 2022 al 1997, per trovare Malcolm Lee.

Ovvero l’uomo che vive in Giappone e sta lavorando a un’intelligenza artificiale per proteggere l’umanità dalla presa di coscienza di Skynet.

Siamo a Tokyo e la governante di Malcolm Lee si perde tutti e tre i suoi figli, che finiscono dritto nel mirino del Terminator. Come da tradizione, anche la resistenza invia un guerriero indietro nel tempo per fermare il Terminator. Stavolta si tratta di una donna, Eiko, che secondo la Profetessa del 2022 è l’unica in grado di fermare la macchina assassina.

La sensazione è quella di un omaggio alla saga e nulla più. Non si porta avanti (o indietro) la narrazione, ci si limita a rielaborare quanto tutti abbiamo già visto prendendo una direzione molto poco probabile (e comunque parziale). Il che rende la visione abbastanza noiosa e parecchio scontata: nel momento stesso in cui la distratta baby-sitter va alla polizia, sappiamo già cosa succederà. La strage al distretto già vista al cinema. E sappiamo anche già cosa ha di strano la baby-setter. Lo capiamo dal primo incidente domestico che le capita.

Insomma: non c’è davvero nulla di imprevisto, originale, innovativo. Nulla.

Il problema della linea temporale


La teoria della veggente sui viaggi nel tempo e sui precedenti fallimenti dei Terminator non è solo assurda, è anche totalmente in contrasto con tutto ciò che sappiamo sulla linea temporale della saga.

La tecnologia del 1997 della narrazione non è coerente con quella realmente esistita all’epoca, come dimostrano le ricorrenti citazioni da I, Robot di Asimov (e, visivamente, dal film con Will Smith).

Secondo la profetessa, ogni viaggio nel tempo crea una nuova linea temporale. A meno che la traduzione dal giapponese non sia stata sbagliata, ma tenderei a dubitarne, dice che ogni viaggio nel tempo genera una nuova linea temporale e quindi chi torna indietro nel tempo si reca di fatto in un passato che non era mai esistito prima. Il che, lo capite benissimo, renderebbe impossibile viaggiare indietro nel tempo fino al giorno in cui Skynet prende coscienza, se quel passato non fosse mai esistito. Come tutti gli altri eventi passati visti nella saga.

I casi quindi sono due: o la profetessa, come la chiamano, ci manda volutamente fuori strada, o c’è un’enorme falla nella nella intera teoria temporale della serie.

La risposta arriva, alla fine. Ma per tutto il tempo ci arrovelliamo sulla questione, trovando piuttosto inverosimile quanto accade dinanzi ai nostri occhi. E questo, in un caso o nell’altro, è un errore di sceneggiatura.

La questione della  divia Trinità, con una allegoria del cristianesimo e il sentimento religioso delle macchine lo lascio da parte, altrimenti non ne usciamo.

Sappiate comunque che sì, Terminator Zero è ben fatta. Ma no, se siete fan della saga non e rimarrete contenti.