The Penguin: recensione della serie che trasforma Gotham City

Una lenta discesa all'inferno, da cui non possiamo distogliere lo sguardo

di Chiara Poli

Ci sono cose peggiori della morte. Di gran lunga. Cose che i malvagi, i veri malvagi, quelli d’animo crudele, infliggono ai loro nemici.

Il pinguino è uno di loro. Un uomo malvagio, ma non in modo superficiale. No.

The Penguin, la serie HBO che rivoluziona l’approccio ai cattivi targati DC Comics, ci racconta il modo in cui il nemico di Batman diventa il mostro di crudeltà che conosciamo.

The Penguin debutterà il 20 settembre in contemporanea con gli Stati Uniti in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW, e dalla seconda settimana di programmazione andrà in onda tutti i lunedì sera su Sky Atlantic.

Un appuntamento imperdibile. Non aspettatevi fantasie come bambini caduti nel fiume e cresciuti dai pinguini, però. Qui non ci sono superpoteri: esattamente come Batman, il supereroe umano in tutto e per tutto, anche il suo acerrimo nemico è umano. Semplicemente, imperfettamente, spaventosamente umano.

La trama di The Penguin


Seguendo l’ordine cronologico della saga cinematografica, The Penguin ci racconta la storia dell’acerrimo nemico di Bruce Wayne/Batman Oswald Cobblepot (Colin Farrell), noto come Il Pinguino. Dopo The Batman (2022), di cui questa serie viene definita uno spin-off, Matt Reeves firma per HBO 8 episodi che ci mostrano la vita di Cobblepot, con flashback del suo passato e il percorso che l’ha trasformato nel Re del crimine di Gotham City.

Un viaggio nella storia e nella mente di Oswald Cobblepot, dall’infanzia alla scalata della vetta criminale di Gotham City, che lo trasforma nel nemico numero uno dell’uomo pipistrello.

Oz si trova nei guai quando il suo carattere impulsivo lo porta nel mirino della criminalità locale. Dopo aver usufruito dell’aiuto del giovane Victor (Rhenzy Feliz), Oz inizia a pensare al suo ambizioso piano di diventare colui che dà gli ordini, anziché colui che deve ubbidirvi…

La famiglia e la “famiglia”


Come Tony Soprano in quel capolavoro di HBO - non a caso - che ci regala un film lungo 6 stagioni, anche Oswald Cobblepot - un irriconoscibile Colin Farrell - si divide fra due famiglie.

La sua famiglia, quella d’origine, con il legame tanto stretto quanto complicato con la madre (un’eccezionale …) e la “famiglia”, quella criminale, i Falcone.

Da sempre, Oz lavora per loro. È partito dal basso, come tutti, e ha scalato la gerarchia fino alla vetta.

The Penguin ci racconta questa scalata, in un parallelismo evidente (con tanto di omaggi inconfondibili) con Scarface, nel remake di De Palma interpretato da Al Pacino.

Perché il crimine paga, in denaro, ma tutti sappiamo quanto sia alto il prezzo da corrispondere per raggiungere la cima di una montagna affollata e piena di traditori, spie, bugiardi, assassini spietati e psicopatici.

Oswald Cobblepot paga quel prezzo un episodio dopo l’altro, dai flashback che ci raccontano il suo passato e la sua storia fino a un finale in cui la città di Gotham capisce di non potercela fare. L’intera città. Perché ora, a Gotham, tutti sanno con chi hanno a che fare. E lo sappiamo anche noi, meglio di come l’abbiamo mai saputo in passato.

La famiglia di Oz e la “famiglia” del Pinguino camminano su binari paralleli, destinati a incontrarsi e poi di nuovo a separarsi. In un gioco delle parti che spezza il cuore, fa male, nasconde indicibili segreti. Indicibili.

Pensate al peggio che i genitori possano fare ai figli e al peggio che i figli possano fare ai genitori. Poi, moltiplicate quell’idea per cento volte. Solo allora sarete vicini a ciò che The Penguin ci racconta sule relazioni famigliari.

Ricordando sempre, costantemente, come in un incubo senza risveglio, che ci sono cose ben peggiori della morte.

Una nuova Gotham


Gotham City è la città più dark di tutto l’universo narrativo dei fumetti. L’abbiamo sempre vista com’è: grigia, tetra, sporca, squallida, spaventosa. L’abbiamo sempre vista al buio, sotto una luce fredda che ce la rende ostile. La Gotham di The Penguin, come tutto il mondo narrativo che la riguarda, è diversa.

La fotografia è calda. Gotham non è più grigia e nera. È color sabbia, polverosa, con una luce torbida che filtra quella del sole. Ma ne ha i colori. Per la prima volta, è una fotografia che ci ricorda il mondo come lo conosciamo. Un mondo in cui non può sempre piovere, non può essere sempre buio, non può non esistere quel cambiamento climatico che fa ansimare Oswald Cobblepot a ogni passo, per la sua disabilità e per quella deformità dell’anima che lo contraddistingue.

Perché The Penguin è una storia fortemente ancorata ai nostri giorni. Al nostro mondo. E per questo è ancora più spaventosa, e più coinvolgente al tempo stesso.

Il mondo di The Penguin è un mondo di guerre, soprusi, noncuranza per chi e cosa ci circonda. Un mondo di egoismo e primedonne, di ambizione e potere, di denaro che può comprare tutto. Esattamente come nel mondo di oggi, il nostro.

Il Pinguino non si chiama così perché, come il Danny DeVito di Batman - Il ritorno, ne ricorda l’aspetto e ne ha frequentato l’habitat. Non si chiama così perché, come la versione femminile di Batman: Caped Crusader. Il Pinguino si chiama così perché la staffa metallica che indossa su una gamba per la sua disabilità fisica lo fa camminare con un’andatura che ricorda quella di un pinguino. Come un soprannome crudele affibbiato dai compagni di scuola, di nuovo come nella realtà.

Oswald Cobblepot


Colin Farrell è su AppleTV+ con Sugar, la serie in cui interpreta un affascinante investigatore privato appassionato di cinema in una Los Angeles che sembra quella degli anni ’60 e lo sembrerebbe in tutto e per tutto, se non fosse per la tecnologia e le altre persone. John Sugar è bello, elegante, in forma.

Oswald Cobblepot è pesante, con il volto segnato, pieno di cicatrici e con i noti problemi di deambulazione.

Sotto quell’aspetto c’è lo stesso attore che dà vita a Sugar, Colin Farrell, che fa sentire - anche con i respiri - quanto sia difficile e faticoso muoversi sotto quel peso in più, quel muoversi con difficoltà, quello sbirciare il mondo attraverso una maschera di trucco e protesi pesanti.

Un trucco che però non può cambiare lo sguardo. E quegli occhi, dallo sguardo incredibilmente profondo, inquietante, attento e indagatore, sono quelli di Colin Farrell in quella che è senza dubbio l’interpretazione televisiva della sua vita.

Oswald Cobblepot è un criminale ambizioso. Fin da piccolo sogna di conquistare tutto ciò che vuole, per sé e per la sua adorata madre. Forse proprio la sua determinazione, fin dall’infanzia, lo rende così determinato da un lato e insensibile alla violenza dall’altro. E di violenza, in The Penguin, vi avverto, ce n’è tanta. Scene a tratti difficili da sostenere, proprio perché la Gotham in cui si consumano potrebbe essere una qualsiasi delle nostre città.

Il realismo e la verosimiglianza di The Penguin colpiscono dritto al cuore. E a volte sono più come un pugno in faccia. Senza nessun Batman a bloccare a mezz’aria quel pugno prima che si abbatta su di noi.

Questa non è una serie con eroi o supereroi. Questa è la storia dei criminali che hanno fatto di Gotham la città che ha bisogno di Batman.

Fra malvagità e malattia mentale


Il confine fra la malvagità e la malattia mentale è sottile. Questo ci racconta The Penguin, mentre esplora il modo in cui il sistema, paradossalmente, crea dei mostri. Mostri che affollano le case dei protagonisti, mostri di cinismo e crudeltà. Mostri incapaci di mettere i propri figli al di sopra di se stessi. Mostri che non sono dissimili dai mostri che uccidono, massacrano, torturano in nome di qualcosa che forse nemmeno esiste.

Sono questi i mostri di Gotham City.

E tutti questi mostri sono riconducibili a una famiglia. E a una “famiglia”. La culla dell’esperienza e della personalità. Per qualcuno la famiglia è tutto, il motore che spinge ad andare avanti. La motivazione ultima. Per altri, la famiglia è la peggiore delle debolezze. Il punto debole da scrollarsi di dosso.

I punti di vista sulla famiglia, quella di sangue e la “famiglia” criminale in The Penguin sono due.

Sono i punti di vista di Oswald Cobblepot, che parla spesso della propria storia, raccontando la sua vita al primo sconosciuto senza tanti complimenti, e di Sofia Falcone (l’attrice Cristin Milioti, già vista in Fargo e The Wolf of Wall Street e qui pronta a dimostrare di avere talento da vendere e, ci auguriamo, da dispensare con tanti nuovi ruoli).

La “famiglia” Falcone è quella che domina incontrastata Gotham City dopo aver vinto la guerra (o forse solo una serie di battaglie?) contro i rivali, i Maroni.

Il ruolo delle donne sia nella famiglia criminale Falcone che nella famiglia d’origine di Oz è fondamentale. Ma non per questo scevro da rischi.

Tutti i luoghi comuni sul modo in cui i capi delle famiglie della criminalità organizzata vedono e trattano le donne sono presenti in The Penguin. Come in Scarface, del resto, e in tutte le altre gangster-story simili.

Ma vengono puntualmente combattuti dalle donne della serie.

Sofia, Nadia Maroni (Shohreh Aghdashloo, la Dina Araz di 24), Francis (Deirdre O’Connell, Cuori in Atlantide, Se mi lasci ti cancello), la donna che ha dato la vita a Oswald Cobblepot. E che, probabilmente, prima o poi è destinata a pentirsene.

Le donne sono poche, hanno ruoli rilevanti ma sono sempre poche. Perché il mondo del crimine di Gotham, come il mondo criminale di Scarface, è un mondo maschile.

Le donne danno la vita, non possono essere dei mostri come gli uomini. A meno che non siano gli uomini a renderle tali.

Una discesa all’inferno


Dal primo, instintivo e irrefrenabile gesto di Oswald che dà il via alla serie di eventi destinati a portarlo sulla vetta del crimine in poi, assistiamo a una discesa all’inferno.

Proveremo la paura, tangibile, fin dall’episodio pilota. Entreremo ad Arkham, il famigerato manicomio criminale di Gotham City, per vivere l’inferno e scoprire che ci sono davvero tante cose peggiori della morte.

Vedremo tradita la nostra fiducia, vivremo quel momento emotivo che sapevamo sarebbe arrivato, sebbene per tutti gli 8 episodi speravamo ci venisse risparmiato.

Ma The Penguin non ha intenzione di risparmiarci niente. Ci prende a schiaffi, ci spaventa e ci tradisce.

La tensione è palpabile. Cancella il mondo esterno, mentre ci immergiamo nel mondo di Oz. E non è quello dell’omonimo mago.

Qui non c’è niente di soprannaturale, lo ripeto. Come Bruce Wayne è un uomo, lo è anche Oswald Cobblepot. Un semplice, imperfetto, crudele essere umano. La specie più feroce e spietata del pianeta.

Oswald Cobblepot arriva a gestire il traffico di droga per la famiglia Falcone in città. E aspetta un carico molto, molto speciale. Qualcosa che rivoluzionerà il mercato e farà guadagnare ai Falcone milioni di dollari.

Ma ai Falcone non importa: non siamo in una libera impresa, qui non viene apprezzata l’iniziativa imprenditoriale. E così, Oswald capisce che il suo posto non è quello di un uomo che obbedisce a ordini che non gli piacciono. Il suo posto è quello dell’uomo che gli ordini li dà.

Guidando un gruppo di personaggi e di attori straordinari.

Il grande Mark Strong (Tàr, 1917, Kingsmen). Clancy Brown (Le ali della libertà, Billions). Michael Kelly (House of Cards, L’uomo d’acciaio). Carmen Ejogo (Animali fantastici e dove trovarli, Selma - La strada per la libertà). E tanti altri. Tutti eccezionali, eppure quasi oscurati dalla bravura di Farrell e Milioti, che vi terranno incollati allo schermo per 8 episodi. Garantito.