The Program: lo scioccante documentario su Netflix sull’industria degli adolescenti ribelli
Abusi di ogni genere, in una storia di sette create per spillare soldi alle famiglie sulla base di menzogne continue.
Libri proibiti. Espressioni sul viso proibite: mai sorridere a qualcuno, mai guardare qualcuno, mai volgere lo sguardo di fronte ai responsabili. Visite al bagno programmate. Divieto di stringere amicizia e di parlare con chiunque si conoscesse già prima di entrare nel programma. Perquisizioni corporali degne dei peggiori carceri, ai danni di ragazzine spaventate e messe - letteralmente - a nudo.
The Program inizia esattamente come un classico film horror: un gruppo di ragazzi, armati di torce, entrano in un edificio scolastico abbandonato. Ma quella non era una scuola come tutte le altre, benché lo sembrasse. Quella era l’Ivy Ridge Academy, un istituto di rieducazione in cui - di fatto - si “raddrizzavano” gli adolescenti ribelli a suon di abusi.
Se avevamo pensato che quello di Hell Camp e Steve Cartisano fosse un programma duro, era solo perché non avevamo idea di ciò che accadeva in istituti di rieducazione come l’Ivy Ridge Academy, nello Stato di New York.
Il classico, idilliaco spot TV mostra i ragazzi all’aperto, con i libri in braccio, che svolgono attività fisica e sorridono, era solo uno strumento di propaganda. Katherine, una delle ex partecipanti al programma, conduce questo documentario intervistando gli ex responsabili del controllo, mostrando la documentazione trovata nell’edificio abbandonato, tenendo le fila di un racconto comprovato dagli altri ex alunni, da giornalisti e da membri delle forze dell’ordine. Maltrattamenti certificati su carta, firmati dai responsabili come se fossero davvero stati metodi educativi. Tutto veniva filmato e conservato. E, vedendo i filmati di alcune delle punizioni più crudeli inflitte ai ragazzi, alcuni di loro non reggono. Così come noi, spettatori, veniamo avvisati della presenza di materiale che può turbarci. E ci turba. Eccome, se ci turba. Bambini presi per il collo, sbattuti contro il muro, buttati a terra, picchiati. Quasi sempre lontano dalle telecamere, nella cosiddetta “stanza cieca” in cui i ragazzini venivano torturati. E i loro ex compagni del programma piangono, vedendo quelle immagini. Le peggiori, per fortuna, a noi vengono risparmiate.
Regole, regole, regole
Le regole erano così tante che ci volevano tre giorni, subito dopo l’arrivo, per impararle tutte. E venivano ripetute ossessivamente. Pensare che posti come questi siano esistiti davvero, con tanto di accurata documentazione di tutto, fa paura.
Chissà quanti ex teenager ci sono, nel mondo, traumatizzati da esperienze come quelle. Vite rovinate, distrutte, spesso spinte - al contrario di quanto previsto - verso il crimine e la delinquenza. Verso la violenza che hanno imparato e subito anche per anni. Quattordicenni massacrati a cui venivano rifiutati antinfiammatori per curarsi. Ragazzini a cui veniva negato il cibo se avevano guardato nella direzione sbagliata.
Ci sono ragazzi che sono rimasti anni in quella struttura. Uno, due, tre, quattro anni.
Il programma prevedeva dei punti. Ne guadagnavi comportandoti correttamente, ne perdevi per ogni infrazione al rigidissimo regolamento. Grazie al punteggio, potevi salire di livello e, arrivato al quarto, completavi il programma. Ma il programma era pensato per essere di fatto impossibile da completare. Il sistema a punti era stato accuratamente studiato affinché i punti sottratti fossero sempre superiori a quelli che i ragazzini potevano conquistare.
Nella sezione femminile, dove non c’erano telecamere, una delle responsabili prendeva sotto la propria ala le nuove arrivate, mostrandosi materna ne loro confronti per poi, senza motivo e senza preavviso, ignorarle completamente. Dopo averle molestate sessualmente. Ed ecco spiegata l’assenza di telecamere. Abusi di ogni tipo, a cominciare da quelli psicologici fino a quelli sessuali che, anche dopo anni, fanno sgorgare lacrime in chi li aveva subiti anni prima.
Poiché era vietato lamentarsi del programma con i genitori e raccontare cosa succedeva realmente, una volta usciti i ragazzi - ormai cresciuti - non venivano creduti. Nessuno credeva a ciò che raccontavano di aver subito. Così, molti si rifugiavano nell’alcol e nelle droghe, paradossalmente tornando a ciò che, magari, li aveva portati all’Ivy Ridge Academy.
La libertà impossibile da raggiungere
Vicino al confine con il Canada, da cui la separava un fiume, l’Ivi Ridge Academy era spesso considerata inviolabile. Appena entravano, i ragazzini sentivano la serratura chiudersi alle loro spalle e capivano di essere in trappola. Rinchiusi per anni in un ambiente ostile e terrificante.
Psicologi, avvocati, sociologi e scrittori - tutte persone che hanno indagato sui fatti avvenuti all’Ivy Ridge - ci raccontano le conseguenze di un’esperienza così traumatica sulla psiche di ragazzini abbandonati a loro stessi. Non c’era nessun tipo di assistenza. Non c’erano seri programmi scolastici. Non c’era nulla, solo una continua punizione e un isolamento forzato.
Nemmeno il sogno di fuggire, attraversando quel fiume pieno di correnti forti.
Senza dimenticare il modo in cui i ragazzini venivano portati in quel posto. Strappati dai loro letti nel cuore della notte, prelevati da energumeni - perlopiù ex guardie del corpo - sotto lo sguardo dei genitori, che non intervenivano.
Naturalmente, però, non c’era solo l’Ivy Ridge Academy. Un istituto identico si trovava in Messico. E ce n’erano altri, sparsi per tutti gli Stati Uniti.
Le “ragioni” per finirci erano infinite. Ribellione, uso di alcol o droghe, segnali di comportamenti omosessuali non graditi.
E l’unica risposta a questi “problemi” lamentati dalle famiglie era la repressione. I ragazzini venivano sottomessi, costretti - fino allo sfinimento - a cedere in una struttura che molti studiosi hanno definito come una setta.
The Program è articolato in 3 episodi. Il documentario mostra immagini e racconta esperienze sempre più dure, un episodio dopo l’altro. Se credete che già dal primo otterrete una panoramica della situazione, non avete davvero idea di che cosa vi aspetta negli altri due. Ma doveste continuare a guardare. Perché sapere è sempre la cosa migliore. Anche quando ci parlano di programmi di annientamento del pensiero, perpetrati ai danni di quattordicenni strappati alle loro case, ai loro affetti e alle loro vite.
Per decenni, con la storia di questi “programmi di rieducazione” ricostruita da The Program, un documentario che squarcia il velo sull’industria degli adolescenti problematici che ha sfruttato i teenager per tanto, troppo tempo.
La manipolazione dei genitori
Si parla ripetutamente di industria degli adolescenti problematici perché era esattamente questo: un modo di spillare denaro, molto denaro, a famiglie disperate.
Di conseguenza, tutto partiva dalla manipolazione dei genitori. Si illustravano programmi didattici inesistenti, risultati mai ottenuti, spot idilliaci e brochure pieni di menzogne.
Così, i genitori erano sinceramente convinti di fare la cosa giusta, di dare ai loro figli ribelli, - o semplicemente adolescenti - la chance per cambiare vita e conquistarsi un futuro brillante. Poiché chi partecipava al programma non poteva parlare ai genitori di ciò che accadeva all’interno di una vera e propria prigione, i genitori erano convinti che andasse tutto bene e che i loro figli stessero migliorando, anziché subire continui traumi.
Di conseguenza, felici e soddisfatti, convinti che i loro figli fossero in ottime e capaci mani, i genitori pubblicizzavano il programma. Il passaparola diventava lo strumento di propaganda più efficace e gli iscritti - come i profitti - aumentavano a dismisura.
Nessuno vorrebbe che al proprio figlio venisse fatto del male, che subisse abusi, che venisse traumatizzato, giusto? Per questo gli adulti venivano tenuti all’oscuro di tutto, non potevano entrare nella struttura, non potevano vedere i figli ma solo comunicare per telefono, sotto controllo, e per lettera, con la posta controllata come ai detenuti di un carcere.
I genitori dei ragazzi venivano spinti a partecipare a seminari, in cui li si convinceva ulteriormente che stavano facendo la cosa giusta e li si motivava a diffondere il verbo. E, soprattutto, a non credere alle finte lamentele dei loro figli.
Tutto era pensato fin nel minimo dettaglio. Quando i genitori venivano lasciati entrare per visitare l’istituito, i ragazzi venivano spinti a fingere spudoratamente di stare benissimo. Gli incontri di persona erano rari, ma bastavano a convincere i genitori che andasse tutto come previsto. Alla perfezione. Pagando per far di fatto torturare i loro figli.
E scoprendo, col senno di poi, di aver rovinato loro la vita. Sentendosi in colpa per il resto dei propri giorni dopo aver scoperto la verità.