The Veil: recensione della miniserie di Disney+ con Elisabeth Moss

Quando la protagonista fa scomparire tutto il resto: ecco The Veil

di Chiara Poli

Ha firmato anche come produttrice esecutiva e ha - come sempre - dato il meglio di sé. Il che equivale a un’interpretazione magnetica, con un personaggio così forte da inglobare quasi tutto il resto di The Veil (disponibile su Disney+ con tutti i suoi sei episodi) facendolo scomparire come se fosse inghiottito da un enorme buco nero.

La sensazione che lascia la miniserie di Steven Knight, il creatore di Peaky Blinders, è esattamente questa: un vortice al cui centro c’è un’attrice che è talmente superiore a tutto il resto da confondere il risultato finale.

La trama di The Veil


Conosciuta semplicemente come “l’inglese”, la donna che si fa chiamare Imogen (Elizabeth Moss) viene inviata in un campo di rifugiati UNHCR in Siria per prelevare quella che è stata riconosciuta come una delle pochissime donne comandanti dell’Isis. Gli altri rifugiati vorrebbero farle la pelle, vendicandosi: Alidah (Yumna Marwan, Hell’s Gate) è in pericolo, e Imogen sembra determinata a proteggerla da tutto e da tutti, inclusi i suoi stessi datori di lavoro. In un viaggio dalla Siria alla Francia e all’Inghilterra, le due donne mettono a confronto la cultura occidentale con quella mediorientale, il colonialismo e le stragi taciute, lo sfruttamento e la redenzione. Mentre il mistero sulle vite di entrambe si fa sempre più profondo.

Imogen è il centro di un universo narrativo che lei fa scomparire


Prendete Carrie Mathison, con l’interpretazione pluripremiata di un’eccezionale Claire Danes, in Homeland. Pensate a lei e provate a immaginare un personaggio, una donna, anche lei bionda, anche lei occidentale, che possa arrivare a eguagliarla. Per intelligenza, capacità, emotività. Troverete Imogen, e tutto il resto accanto a lei risulterà sfuocato.

Creata, scritta, diretta e prodotta - mancava solo che suonasse e cantasse la colonna sonora - da Steven Knight, The Veil è una serie americana che vuole sembrare inglese. O vuole fingere di farlo. Una produzione che mette a confronto i sistemi di intelligence di diversi Paesi, criticando - apparentemente - i metodi americani e nella gestione delle delicate crisi internazionali, soprattutto quando c’è di mezzo il terrorismo internazionale.

The Veil fa cadere quel velo, appunto, che cela la realtà, molto più complessa di quella che ci viene raccontata dai media, nell’intricato gioco politico-economico del terrorismo. Ma anche l’ipocrisia dei prodotti americani che qui, magistralmente rappresentati da Max (Josh Charles, The Good Wife), sono coloro i quali si dipingono come gli eroi ma di fronte a un Modigliani vedono solo “una donna con una strana testa”.

Non è tutto, naturalmente. Perché Cesare vuole ciò che gli spetta, quindi “gli americani sanno di più perché hanno più soldi e un equipaggiamento migliore”.

Ed Elizabeth Moss, quella di The West Wing, di Mad Men, e naturalmente di quel capolavoro che è il suo titolo più conosciuto, di Handmaid’s Tale, non accetta di recitare in qualsiasi serie.

Già questo dovrebbe bastarvi per iniziare The Veil e, se siete stati scoraggiati da qualche recensione negativa poco accorta, sappiate solo che chi si lamenta lo fa perché non capisce la prospettiva, e sta a guardare tutto ciò che ruota attorno a Imogen. Sbagliando. Perché se vi lascerete trasportare da lei, lasciandovi guidare dal suo - e solo dal suo - sguardo, vivrete un’esperienza memorabile. E tutto ciò che non è alla sua altezza passerà in secondo piano. Lo dimenticherete subito dopo la conclusione, ricordando - com’è giusto - soltanto lei.

The Veil è piena di personaggi enigmatici, ma solo i sorrisi ambigui di Imogen, quelli sì, sono il sale di questa miniserie.

Il ritmo cresce episodio dopo episodio, dalle montagne innevate a Istanbul, Parigi e Londra, mentre Elizabeth Moss si conferma una delle migliori attrici in circolazione da quello sguardo così azzurro da risultare quasi trasparente della sua prima inquadratura a un finale barocco pensato appositamente per esagerare, per mostrare capacità e limiti, per sottolineare come soldi e potere, alle fine, facciano la differenza solo in quello “stato profondo” (il deep state) che è sempre un passo avanti alla realtà che noi comuni morali viviamo e vediamo.

E a proposito di contenuti "profondi" o "nascosti": benché abbia seguito ogni episodio con attenzione, non ho proprio colto il senso del divieto ai minori di 18 anni che troneggia sulla classificazione ufficiale americana della serie (e dunque è riportata sul sito di Disney+). 

Sì, c'è un certo grado di violenza. Scene di nudo o di sesso non se ne vedono. Mi vien da pensare che il problema sia il delicatissimo tema del terrorismo, ma se così fosse allora anche tutte le altre numerose serie a tema dovrebbero avere la medesima classificazione. Così non è.