Una famiglia quasi normale: trama e recensione della miniserie di Netflix
Una famiglia normale è arrivato su Netflix e ci lascia con un finale provocatorio e inatteso
Su Netflix dal 24 novembre è disponibile Una famiglia quasi normale, miniserie svedese in 6 episodi che racconta la storia di una vittima di stupro che si trova al centro di un processo per omicidio.
La trama di Una famiglia quasi normale
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I Sandell costituiscono una famiglia ordinaria. Il padre, il reverendo Adam, la moglie di Adam, l’avvocatessa Ulrika, e la figlia quindicenne Stella che, durante una trasferta con la squadra di palla a mano, subisce un’esperienza traumatica. Quattro anni dopo, quando Stella ha 19 anni, i rapporti in famiglia sono tesi. Stella sembra essere sempre arrabbiata, soprattutto con la madre. La ragazza ha abbandonato gli studi e ha iniziato a lavorare in una pasticceria. La vita della famiglia, nonostante i contrasti, sembra scorrere tranquilla, in un raffinato sobborgo residenziale ai margini di Lund, in Svezia. Fino al giorno in cui Stella viene arrestata con l’accusa di omicidio e i genitori si trovano di punto in bianco immersi in un incubo. Il dilemma li assale: cosa è successo veramente? Perché Stella è stata arrestata? Determinati ad aiutare la figlia a qualsiasi costo, i Sandell si scontrano con una realtà inaspettata. Conoscono davvero la loro stessa figlia? E, con una domanda forse ancora più inquietante: si conoscono l’un l’altra? Fra segreti, tradimenti e rimorsi, la famiglia dovrà fare i conti con tante verità, presenti e passate.
La recensione di Una famiglia quasi normale: quando un crimine colpisce tutti
Tratta dall’omonimo romanzo di Mattias Edvardsson, Una famiglia quasi normale sembra la classica storia di una famiglia apparentemente perfetta che nasconde, invece, oscuri segreti. Ma non lo è.
La storia scava attorno al crimine dello stupro raccontando in che modo affligge non solo la vittima, ma anche la sua famiglia, i suoi amici, le sue future relazioni, tutte le persone che la circondano.
Il trauma subito da Stella quando aveva appena 15 anni, ma soprattutto il modo in cui i suoi genitori hanno affrontato la cosa, ci porta a pensare che Stella sia diventata una sorta di odiatrice seriale di uomini. Una ragazza disturbata, capace di fare del male per vendicare il proprio passato. La madre di Stella, avvocato che lavora per la procura, ha scelto di non intervenire in alcun modo dopo quanto subito dalla figlia perché sa fin troppo bene come finiscono in tribunale le accuse di molestie e violenza non supportate da prove certe.
Il delicato tema della violenza sessuale viene affrontato in un modo fin troppo verosimile: una ragazzina si trova in una situazione in cui non voleva assolutamente trovarsi, ha la forza di dirlo ma non di fare altro. Rimane come paralizzata, impietrita dalla paura e dallo shock. Si tratta di una reazione perfettamente normale, e molto comune, soprattutto nelle vittime più giovani di violenza. Una donna adulta può avere la forza di ribellarsi, gridare, chiedere aiuto e provare a reagire. Una ragazzina, che è poco più di una bambina, non sa cosa fare. La paura e l’orrore prendono il sopravvento e si diventa ostaggi della cosiddetta “frozen fright”, la paura paralizzante, come la miniserie fa efficacemente spiegare alla psicologa del carcere.
La conseguenza è sempre la stessa: le vittime si colpevolizzano. Pensano che sia successo tutto per colpa loro, perché non hanno saputo reagire. Se poi, una volta tornata a casa, una vittima viene interrogata dalla madre come se fosse sotto processo, possiamo immaginare le conseguenze.
Tutto viene fatto a fin di bene, nella famiglia di Stella. Ma non sembra che sia così. Ci sono segreti, tradimenti, vizi pericolosi. C’è un passato con cui fare i conti, una crisi di fede, il bisogno di agire nel modo corretto per non mandare tutto all’aria.
La linea temporale, a partire da quando Stella ha compiuto 19 anni, non è lineare. L’impressione che manchi qualcosa, nella narrazione della notte dell’omicidio, è corretta: solo in seguito capiamo che ci viene narrata la storia del presente e del passato senza alcun cambiamento evidente, con un montaggio che non rispetta la cronologia degli eventi. All’inizio dobbiamo indovinare cosa stia succedendo, man mano che gli eventi proseguono siamo in grado di capire a che punto della storia ci troviamo e impariamo ad approfondire la psicologia dei personaggi.
Una storia drammatica sulla solidarietà
Una famiglia quasi normale ci parla di traumi, di violenza sulle donne, di crimini odiosi. Omicidio incluso. Ma lo fa mettendo in scena una famiglia che viene decostruita pezzo dopo pezzo per poi tornare a unirsi, ricominciando daccapo.
Al centro della trama c’è il sospetto, su vari tradimenti: Stella sospetta della sua amica Amica, il padre di Stella sospetta della moglie, l’opinione pubblica non solo sospetta, ha già condannato Stella…
Ma il sospetto si risolve, in tutte le varie sottotrame, grazie alla solidarietà. La madre che fa la scelta giusta per la figlia, per quanto difficile e dolorosa. Il marito che fa la scelta giusta per la moglie. La ragazza che fa la scelta giusta per l’amica…
Il messaggio è chiarissimo. Non solo ci viene mostrato quanto i crimini sessuali siano destinati ad affliggere un grande numero di persone, tutte quelle che circondano le vittime, ma ci viene anche spiegato come solo la solidarietà fra tutte queste persone sia l’unico, vero, concreto sostegno per le vittime stesse.
Mentre il mondo celebra il 25 novembre, la giornata contro la violenza sulle donne, Una famiglia quasi normale affronta il tema da un punto di vista piuttosto raro e ci apre gli occhi sulla realtà. Su un mondo che non crede quasi mai alle vittime, che le colpevolizza, che finisce per distruggere anche le vite di tutti coloro che cercano di aiutarle.
Solo la decisione di aiutarsi l’un l’altro può fare la differenza. E la fa anche in questa miniserie, in una storia che ci parla di verità, ma non di giustizia. Perché, alla fine, non viene fatta giustizia.
Il finale è amaro, ingiusto, pesante. Forse per richiamare l’inizio, la premessa di questa storia, l’avvio di un incubo.
Gli autori si arrogano il diritto di far trionfare l’odio, la vendetta, la rabbia. E questo, sicuramente, è un elemento tanto inusuale in una storia come questa quanto destinato a far discutere.
Rating: TBA
Nazione: Svezia
Voto
Redazione
Una famiglia quasi normale
Una famiglia quasi normale, miniserie di Netflix in 6 episodi, racconta la storia di una ragazzina che subisce un trauma e vede la propria famiglia crollare in pezzi dopo quell’evento. Tratta dall’omonimo romanzo svedese, la miniserie mette in scena un tema tanto importante quanto spesso ignorato dalle storie sui crimini sessuali: oltre alla vittima, anche tutte le persone che la circondano e le vogliono bene finiscono per essere afflitte dal crimine più odioso che si possa compiere contro una donna.
Il tema della colpevolizzazione delle vittime, delle donne che denunciano e non vengono credute e di una giustizia che spesso la fa fare franca ai colpevoli, viene ribaltato in un finale che non fa giustizia, lasciando spazio alla rabbia e all’odio. Sicuramente per far riflettere lo spettatore, costretto a interrogarsi sulla propria posizione a riguardo, ma anche per provocare. Una famiglia quasi normale vuole far parlare di sé, vuole mettere a confronto i due più gravi crimini che si possano compiere ai danni di un essere umano e vuole costringerci ad allargare non solo il campo dei sospettati, ma anche quello delle vittime.
La storia è efficace, la narrazione risente un po’ della confusione iniziale, poiché mescola passato e presente senza differenziarli correttamente dal punto di vista visivo, ma poi tutto scorre via liscio e gli episodi volano. Fino a quella conclusione tanto amara quanto provocatoria, che non può non lasciare il segno. A prescindere da come si giudichi il finale.