Wilderness: fuori controllo, recensione della minsierie di Prime Video
La recensione di Wilderness: fuori controllo, miniserie con Jenna Coleman e Oliver Jackson-Cohen, per scoprire punti di forza e debolezze di una storia universale
Firmata da Marnie Dickens (Gold Digger, Thirteen), Wilderness: Fuori controllo è una miniserie in 6 episodi tratta dall’omonimo romanzo di B.E. Jones. La frase di lancio di Prime Video, che la distribuisce in tutto il mondo, è perfetta per riassumerla: “Guarda come una storia d'amore "per sempre felici e contenti" si trasforma rapidamente in un incubo vivente”.
La storia è infatti quella di Liv (Jenna Coleman, The Serpent) e Will Taylor (Oliver Jackson-Cohen, Hill House), una giovane coppia di sposi che stanno apparentemente vivendo il loro perfetto sogno d’amore. Solo apparentemente.
Lei, gallese, si trasferisce a New York per seguire la carriera di lui, inglese, rinunciando a tutto per dedicarsi al marito anima e corpo. Ma lui non fa altrettanto: quando Liv scopre di essere stata tradita, lo sbatte fuori di casa. Ma lui le giura che è successo una volta sola, che non succederà mai più e che la ama alla follia. Le propone una vacanza: due britannici in un giro da sogno attraverso gli Stati Uniti, per ricominciare daccapo, e Liv accetta. Ma le cose andranno di male in peggio.
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Il tradimento: non vissero mai felici e contenti
Wilderness è costruita in modo molto furbo: narrata dal punto di vista di Olivia, la moglie tradita, spinge il pubblico a simpatizzare con lei, vittima del marito egoista e bugiardo, ma le cose sono destinate a cambiare.
L’intento è quello di mostrare cosa si può arrivare a fare quando dedichiamo tutta la vita a qualcuno - sbagliando, senza riservarci un piano B - e quel qualcuno manda a farsi benedire i nostri piani.
Ma c’è anche un altro intento narrativo: dimostrare che tutti possiamo fare tutto. Magari siamo già i “mostri” che diventeremo, o magari la nostra delusione è talmente grande da trasformarci in freddi calcolatori di punto in bianco. Fatto sta che la conclusione della miniserie vuole raccontarci che non sapremo mai - almeno per questa storia - come sia andata davvero.
In effetti il vero punto di forza di Wilderness è proprio questo: ci lascia senza darci una vera spiegazione della natura di colei il cui sguardo ci ha condotti lungo tutto il cammino, per 6 episodi. La citazione finale da Terminator (impossibile non ricondurre la sequenza alla conclusione del film di James Cameron) è stata costruita per lanciare due messaggi: quello di trovarsi di fronte a una donna che ancora non abbiamo conosciuto davvero, perché non sapremo mai qual era la sua natura, e il messaggio più importante, ovvero che il futuro non è scritto. E che ogni nostra azione, più o meno pianificata, può dirigere la nostra vita in una direzione opposta a quella che avevamo pianificato.
In Wilderness, passiamo da un “e vissero felici e contenti” a cui, in effetti, non crede nessuno, a “vissero un incubo che li ha trasformati per sempre”. E a questo possiamo credere.
Tuttavia, la verosimiglianza di alcuni passaggi narrativi, soprattutto dopo che migliaia di film e serie TV ci hanno fatto conoscere nel dettaglio gli strumenti investigativi made in USA, viene decisamente a mancare.
Pur accordando una discreta dose di fortuna a una parte dei personaggi, manca davvero il contraltare di affermazioni facilmente verificabili. Fin troppo facilmente. Per non parlare del discorso intercettazioni…
Wilderness funziona, ma ha anche tanti punti deboli
In ogni caso, Wilderness alla fine funziona. E ci offre due personaggi davvero interessanti e capaci di catturare la nostra attenzione. Ma no, non sono i due protagonisti. Mi riferisco infatti alla madre di Liv, Caryl (Claire Rushbrook, Segreti e bugie, Whitechapel) e alla detective Rawlins (Marsha Stephanie Black, Orange is the New Black).
Sono loro a regalarci i ritratti delle due donne più interessanti della miniserie, ed entrambe surclassano la protagonista. Il che, certamente, non è voluto.
La trasposizione televisiva del romanzo ruota attorno alla curiosità dello spettatore, in particolare nella sua immedesimazione in una delle due “parti” in gioco nella coppia. Che, per esperienza o semplici timori, ci si identifichi nel tradito o nel traditore, poco importa: il coinvolgimento emotivo è presente.
Ci chiediamo se il traditore verrà scoperto, e cosa gli succederà. Ci chiediamo se il tradito scoprirà il tradimento, e come reagirà. Siamo curiosi, quando ci troviamo nei panni di Liv o di Will, perché le esperienze che vivono - incidenti e aggressioni a parte - sono esperienze universali.
Chiunque sia (stato) sposato sa che il tradimento è il timore che affligge ogni coppia, soprattutto nel momento in cui si è felici e si teme che la felicità potrebbe finire da un momento all’altro.
Wilderness costruisce la sua “fame” di sapere come finirà la storia su tutto ciò che riguarda sentimenti condivisibili dalla stragrande maggioranza delle persone. Situazioni in cui magari ci si è trovati o si teme di trovarsi.
Il problema è la già citata verosimiglianza. Se ambienti una storia in modo che parli di sentimenti e situazioni universali, e lo fai scegliendo un’ambientazione “normale” e non, per esempio, fantascientifica ambientata nel futuro, a maggior ragione l’attenzione alla verosimiglianza dovrebbe essere fondamentale. Qui, invece, ci sono dei passaggi logici che proprio non tornano e delle forzature - non è necessario scendere nei dettagli e inserire rivelazioni, lo capirete guardando gli episodi - che rendono il tutto artificioso. Ed è un peccato: sarebbe bastata qualche attenzione in più per rendere la storia davvero efficace.
E poi ci sono i personaggi. Oliver Jackson-Cohen è perfetto nei panni di Will: discretamente affascinante, ma anche con quella faccia da “cattivo ragazzo” che rende credibile il suo continuo mentire. E i patetici tentativi di convincere la moglie a credergli pur sapendo che mente anche in quegli istanti. Jenna Coleman, invece, è poco credibile. Le manca il famoso physique du rôle : è talmente adorabile (e piccina, non dimentichiamolo) che non solo sembra inadatta alle prove fisiche che coinvolgono il suo personaggio, ma è anche poco credibile quando si tormenta fra sensi di colpa e inadeguatezza.
Personalmente avrei messo al suo posto un’attrice bella e adorabile ma anche capace di sembrare diversa. Una come Anya Taylor-Joy o Cara Delevingne, per fare dei nomi: bellissime, adorabili ma anche capaci di trasformarsi velocemente davanti agli occhi dello spettatore, risultando sempre credibili.
Ciò premesso, grazie anche al resto del cast - senza dimenticare Eric Balfour, ex “prezzemolino” delle serie TV visto in moltissimi titoli di rilievo, che qui rientra alla grande - come dicevo, Wilderness fila via abbastanza liscio. Forzature politicamente corrette (anche qui, capirete facilmente) a parte.
Prendetelo com’è: puro intrattenimento su tematiche universali, e già ampiamente sfruttate - meglio - da cinema e TV.
Voto
Redazione
Wilderness: fuori controllo, recensione della minsierie di Prime Video
Wilderness, miniserie in 6 episodi di Prime Video tratta dall’omonimo romanzo di B.E. Jones, costruisce tutto attorno alla nostra curiosità. Parlando di una tematica universale ampiamente sfruttata da cinema e serie, il tradimento, ci spinge a voler scoprire cosa succederà: il tradimento verrà scoperto? E come reagirà chi lo subisce? Davvero il dolore si trasformerà in furia vendicativa?
L’attrice protagonista non ha il physique du rôle necessario per scavare in profondità dentro al personaggio, ma chi la circonda funziona alla grande. Ecco quindi che, passando sopra a certi passaggi logici un po’ forzati, la storia scorre via velocemente. Con il punto di vista che ci spinge a identificarci in una situazione sentimentale universale.
Interessante l’uso della musica: si tratta sempre di fonti diegetiche - cioè che provengono dall’interno della narrazione, fonti presenti in scena - scelte dalla protagonista Liv per accompagnare i suoi momenti emotivi più difficili, o per distrarla dalle preoccupazioni, o per offrirle quel momento d’evasione fondamentale per mantenere la lucidità.
Wilderness si fa vedere, giocando sul quel voyeurismo insito nello spettatore che si affeziona alle storie sentimentali altrui e che fa funzionare perfino programmi trash che ne parlano. Ecco quindi che qui, con la patina lussuosa e la cura per fotografia e costumi, l’amo viene lanciato a dovere. Difficile non abboccare.