Yellowjackets: la trama, il richiamo alla realtà, le tematiche della serie
Scopriamo insieme la storia vera che ha ispirato la serie, il cast, le tematiche e perché vedere la serie
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La prima stagione era stata trasmessa da SKY, ma ora la trovate, insieme alla seconda in prima visione italiana, su Paramount+. La serie creata dalla premiata ditta, marito e moglie nella vita, Ahsley Lyle e Bart Nickerson (Narcos, The Originals) conquista con atmosfere cupe, richiami a tematiche importanti, una narrazione divisa fra presente e passato, interpretazioni straordinarie e il tabù del cannibalismo, fra i più rischiosi per la TV. La scommessa è stata vinta: Yellowjackets vi appassionerà. Ecco perché.
Yellowjackets: non chiamatela serie horror
Horror: un genere molto amato, uno dei più antichi nella storia del cinema, eppure sempre bistrattato. Considerato minore, inferiore, da snobbare nonostante il genere sia da sempre metafora di orrori più che reali, concreti, tangibili. L'etichetta di serie horror sta veramente stretta a Yellowjackets, che è un dramma umano in cui l'elemento soprannaturale interviene come paravento per nascondere il più grande tabù nella storia dell'umanità.
Alla fine degli anni '90, Buffy ammazzava i vampiri combattendo, anno dopo anno, l’orrore del liceo, la perdita dell’innocenza, l’ingresso nel mondo degli adulti e il lutto. Oggi le Yellowjackets - dal nome della squadra di calcio in cui giocavano le protagoniste - ci raccontano con una storia spaventosa un mondo in cui le ragazzine sono spesso costrette a diventare grandi troppo in fretta. Ci parlano dei traumi passati che non riusciamo a lasciarci alle spalle. Mettono di fronte ai nostri occhi i tabù di una società che nella seconda stagione - non a caso post-pandemia - ruota attorno all'assenza di valore attribuito alla cosa più preziosa che abbiamo: la vita. Con quasi 7 milioni di morti in tre anni e mezzo in tutto il pianeta accompagnati da esternazioni degne del Medioevo ("Stiamo chiudendo un Paese per i 75enni?"), l’era degli influencer ci ha insegnato che viviamo un momento storico in cui l'apparenza è l’unica cosa importante.
La storia vera dietro la serie: la tragedia delle Ande
13 ottobre del 1972. La squadra di rugby delle Università dell'Uruguay, accompagnata da diversi famigliari dei giocatori, è in viaggio verso il Cile per disputare un'importante partita. Ma mentre sorvola le Ande, l'aereo si schianta in mezzo alla neve, sulle montagne. Una parte dei passeggeri muore tragicamente nell'incidente, ma 33 giocatori e parenti sopravvivono. All'inizio tutti sperano in un tempestivo intervento dei soccorsi, ma presto la realtà appare chiara: nessuno sa dove si trovano, né che siano vivi. I soccorsi potrebbero non arrivare mai, o comunque non in tempo. Vincendo il disgusto e l'orrore, i sopravvissuti dovranno cibarsi dei cadaveri dei loro compagni di viaggio per non morire di fame. Alla fine verranno salvati in 16, e solo grazie all'eroico sacrificio di due membri della squadra, che rischiano la vita attraversando a piedi le Ande fino al Cile, per poi tornare con i soccorsi.
La squadra delle Yellowjackets è una squadra femminile di calcio, non una maschile di rugby. Con le giocatrici non ci sono parenti, solo i coach e gli assistenti. Ma il richiamo al dramma delle Ande - benché l'aereo nella serie precipiti in un territorio sconosciuto - è evidente, e confermato dagli autori.
Le tematiche di Yellowjackets
L'era degli influencer, dei soldi facili su OnlyFans vendendo il proprio corpo senza di fatto essere toccati con un dito da anima viva, come anticipato è l'era in cui l'apparenza, i filtri e l'esibizione di sé la fanno da padrone.
Mai come prima, il corpo viene considerato un contenitore, qualcosa da sfruttare in ogni modo senza per questo intaccare la propria anima.
Yellowjackets ci parla di questo: di un’anima che si eclissa per lasciare spazio all'ostentazione del corpo. Il corpo non è altro che uno strumento, un contenitore, un mezzo. Anche di sopravvivenza. Nell’era vegan, politically correct e inclusiva fino a spingersi verso la famigerata cancel culture, ecco che la sopravvivenza a ogni costo riemerge dagli inferi e ci riporta al tabù dell’uomo in testa a una catena alimentare di chi anch'egli fa parte.
Quando si muore, l’anima lascia il corpo per un’altra dimensione - o per qualsiasi altra interpretazione religiosa o filosofica si voglia - e il corpo rimasto non è che sangue, carne e ossa: una carcassa non diversa da quella di un animale da macello.
Se viviamo un’epoca in cui lo sfruttamento del corpo ha raggiunto l’apice, perché non affrontare “il” tabù per eccellenza, quello che lo sfrutta anche come mezzo per sopravvivere? Domanda vincente. Nascono così le ragazzine che fanno qualsiasi cosa per restare vive in attesa di tornare a casa. Evocando una presenza soprannaturale che in qualche modo permette loro di affrontare le loro orribili azioni. Di attribuirle a un'influenza malvagia. Di rinnegare quel lato oscuro che, dal primo morso in poi, le perseguiterà per tutta la vita.
Le Yellowjackets sono in volo, dirette verso un torneo di calcio nazionale che potrebbe consacrarle.
Sono adolescenti molto diverse fra loro, unite dalla passione per lo sport. Uno sport di squadra, in cui ciascuno deve dare il proprio contributo. Quando il loro aereo si schianta in un luogo sconosciuto e ostile, in attesa di soccorsi che potrebbero non arrivare mai, quelle adolescenti sono costrette ad affrontare quel lato oscuro, istintivo e animale che si nasconde dentro di loro. E che le terrorizza. Mentre si barcamenano fra amicizia, amore, attrazione, egoismo, sacrificio, segreti, omicidio e, naturalmente, fame.
Il cast della serie, da Juliette Lewis a Christina Ricci
Le ragazzine sopravvissute all’incidente aereo oggi sono diventate donne, mogli, madri. Lavoratrici affermate o adulte tormentate che non riescono a fare i conti con ciò che accadde in un posto in cui nulla sembrava più essere naturale. L’attribuzione delle proprie azioni a qualcosa di soprannaturale in quel passato non ha funzionato per tutte: per qualcuna è stato un salvifico strumento, utile a cercare di tenere insieme i pezzi della propria anima, per altre ha solo portato a un’ossessiva ricerca di redenzione. Così ossessiva da dirigerle verso l’autodistruzione o la materializzazione dell'oscurità da loro stesse creata.
Un cast che si può definire perfetto ci regala una doppia versione per ciascun personaggio. Giovanissime e impressionanti attrici vestono i panni delle Yellowjackets post-schianto: Jasmin Savoy Brown è Taissa, Sophie Nélisse è Shauna, Sophie Tatcher è Natalie, Ella Purnell è Jackie, Samantha Hanratty è Misty, Liv Hewson è Van, Courtney Eaton è Lottie… Un cast di giovani future star così calate nei personaggi da diventare reali ai nostri occhi. I loro corrispettivi adulti, nel presente, si trovano a fronteggiare il ricatto di qualcuno che sa e minaccia di distruggere le loro vite. O ciò che ne resta.
A dar loro vita sono attrici molto note al grande pubblico: Juliette Lewis (Natalie), Christina Ricci (Misty), Melanie Lynskey (Shauna), Tawny Cypress (Taissa), Lauren Ambrose (Van), Simone Kessell (Lottie) … Ciascuna di loro è attenta a portare sullo schermo un’adulta che sia coerente con la ragazzina che impariamo a conoscere un episodio dopo l’altro.
In un continuo gioco di flashback e flashforward, Yellowjackets ci tiene incollati alla TV, consapevoli di ciò a cui assisteremo ma ipnotizzati dalle protagoniste di quell’evento al punto di dimenticarcelo. Quasi.
Fino a quando arriva, forte come un pugno nello stomaco. Spaventoso e irresistibile come la scena di un drammatico incidente: siamo terrorizzati, ma al tempo stesso non riusciamo a distogliere lo sguardo.
Forse non crediamo a ciò che avviene davanti ai nostri occhi, proprio come le Yellowjackets all'inizio. O forse siamo già arrivati là, dove la serie vuole portarci.
La questione morale
Yellowjackets ci pone di fronte a due scomodissimi interrogativi morali. Primo: cos’avremmo fatto se ci fossimo trovati nella stessa situazione delle ragazze? Secondo: trent’anni dopo, cosa saremmo disposti a fare per far sì che quell’orribile passato venga seppellito per sempre, almeno agli occhi del resto del mondo?
La serie ci costringe a chiedercelo. Siamo costretti, attraverso i personaggi, a trovare quello in cui pensiamo di poterci identificare, o quello in cui vorremmo farlo. Il processo d’identificazione in sceneggiatura si crea in due modi: facendoci “diventare” uno dei protagonisti, quello con il quale ci sentiamo più in sintonia e a cui siamo più legati arrivando a immaginare di agire nei suoi panni - cosa che difficilmente si applica a una storia come quella di Yellowjackets - oppure facendoci “innamorare” di uno o più personaggi, al punto di sentirli vicini come amici, famigliari, personaggi reali almeno per la durata dell’episodio o del film.
Chi ama film e serie TV spesso s'innamora dei personaggi visti sullo schermo. E se la premiata ditta Lyle-Nickerson riesce a farci innamorare di Nat, Shauna, Tai e Lottie, significa che si tratta di personaggi con tutte le carte in regola, nonostante tutto. Nonostante l'orrore. Nonostante il Male che sembrano attirare o perpetrare.
Le Yellowjackets ci prendono per mano e ci portano a spasso, cercando di farsi capire perfino mentre compiono parecchie malefatte, spingendoci verso un secondo finale di stagione così pressante da costringerci a guardarci dentro. A esplorare la nostra percezione dell’anima e del corpo, il valore che noi diamo alla vita umana.
Non male, per una serie TV. Etichettata come “horror”, per giunta...