1997, il libro-game di Wudz Factory: a che ora è la fine del mondo?
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Lo sapevamo, era inevitabile. Gli anni ‘80 hanno imperversato per buona parte di questo nuovo millennio condizionando ogni aspetto (estetico) delle nostre vite dalla moda al cinema, dalla televisione ai fumetti. Ma le mode passano, anche quelle di ritorno, e quando lo fanno lasciano la porta aperta per la successiva: dieci anni avanti e il gioco può ripartire. Il momento è giunto, dunque: questo revival dell’epoca d’oro dell’opulenza occidentale si è fermato poco prima del reintegro delle pennette alla vodka nei menù, cedendo infine il passo al suo seguito, gli anni ‘90. A certificare questo slittamento del decennio modaiolo di riferimento è 1997, il libro-game dei misteriosi anni novanta, firmato dal collettivo Wudz Factory.
A spasso nel Wudz
“Wudz Factory e un collettivo di scrittori, artisti e grafici che fanno parte del team di Wudz Edizioni.” si legge sul sito della casa editrice. Wudz, che è la trascrizione fonetica del termine inglese woods ovvero alberi, nasce ad Arezzo come costola di Woodworm, etichetta musicale che si muove nella scena indipendente al di fuori delle classiche rotte commerciali. Forte di questa filosofia, Wudz si propone di essere una foresta fatta di libri, di argomenti, di idee che si interconnettono tra loro come radici. Alla prima tripletta di titoli (Io sogno per vivere di Steven Spielberg, Come costruire un essere umano di Hiroshi Ishiguro e Restare vivi di Valentina Barile) hanno fatto seguito saggi sulla riproduzione delle piante, narrativa italiana di genere, fiabe e numerosi altri volumi che compongono un variegato ecosistema.
È da questo terreno che nasce 1997, il libro-game dei misteriosi anni novanta, prima produzione interna di Wudz in cui i propositi di contaminazione si concretizzano in carta e colla. 1997 è un libro-game, ovvero un genere che probabilmente ha insegnato a leggere a buona parte dei quarantenni target del volume e che proprio nel 2024 ha compiuto anch’esso quarant’anni.
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Chi gioca con chi in 1997?
A differenza dei quarantenni, però, il libro-game è invecchiato, ha accettato la propria traiettoria sparendo per un po' e oggi si ripresenta nella nuova forma modellata per lui dalla Wudz Factory, contaminata con la Smemoranda del liceo, i sondaggi di Cioè, gli album di figurine e un look che celebra il feticcio del suo decennio più glorioso, ovvero la VHS incastonata nell’imprescindibile custodia di cartone, con tanto di immancabili ditate sulla costa..
Così, oggi, tra i due, quello maturo è il libro-game e in questo ribaltamento di ruoli finisce per essere lui a giocare coi quarantenni, mettendoli di fronte all’iconografia di un’adolescenza costruita su poster, riviste, locandine e fumetti che sopravvivono ancora nelle case di tutti (no)i quarantenni, comprati coi primi soldi guadagnati per vendicare e ricucire lo strappo con un’età mai davvero superata.
«Ci sono decenni in cui non succede nulla, e ci sono settimane in cui accadono decenni», diceva Lenin all’alba della Rivoluzione d’ottobre e i ‘90 sono stati senza dubbio il decennio in cui non accadde nulla, prima che accadesse tutto in quel 11 settembre del 2001. Ma al tempo nessuno di noi poteva saperlo, al punto da farci convincere da Fukuyama che la Storia fosse finita. E nell’immobilismo del decennio abbiamo cristallizzato le nostre adolescenze: se c’è una cosa che 1997 non fa è giocare sporco con la nostalgia, componente inevitabile in un libro-game del 2024 che ricalca dinamiche e atmosfere della letteratura per ragazzi dei ‘90, ma che la Wudz Factory manipola con riguardo e consapevolezza. 1997 ci ricorda di quanto fossero belli i ‘90 non perché fossero l’apice della Storia umana, come certe pagine social vorrebbero farci credere, ma solo perché eravamo giovani, "perché a vent’anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni è tutto chi lo sa, a vent'anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell' età”.
Perché la realtà, purtroppo, è che non erano belli gli anni andati, li percepiamo così perché erano gli anni della nostra adolescenza, dove tutto era ancora potenzialmente raggiungibile e i pesi della vita non avevano ancora schiacciato le nostre aspettative. 1997 cavalca questa sensazione, come detto senza manipolarla, ma ritengo non sia un caso che senta la necessità di farlo proprio ora. Come nei ‘90, anche oggi ci illudiamo che la Storia sia ferma, immobili sulle nostre posizioni ignoriamo l’evoluzione climatica e il tramonto dell’Occidente, fenomeni di cui fatichiamo a concepire il costante seppur lento avanzamento. E oggi come allora, balliamo sui terrazzi con i nostri cocktail e le nostre camicie a quadri, mentre la fine del (nostro) mondo albeggia all’orizzonte, un tempo spensieratamente inconsapevoli, oggi consapevolmente disinteressati.