Scream torna al cinema: l’eredità della prima serie horror “meta” un quarto di secolo dopo il suo esordio
Ghost Face sta per tornare nelle sale e, a 25 anni dal suo esordio sul grande schermo, si può ben dire che la lama del suo coltello abbia lasciato segni indelebili sul horror mainstream di ieri e oggi.
Correva l’anno 1996 quando Drew Barrymore sollevava il cordless bianco di casa dopo aver messo i pop corn sul fuoco, rispondendo a una delle telefonate più celebri della storia del cinema. La stessa scelta di un’attrice così popolare, originariamente assoldata per interpretare la protagonista Sidney e poi dirottata verso un ruolo molto contenuto, mise subito in crisi le certezze del pubblico. Perché chiamare la Barrymore, avvolgerla in un caldo maglione bianco e in uno sbarazzino caschetto biondo, renderla quindi la ragazza ideale (anticipandone la carriera da protagonista di commedie romantiche) per non farla sopravvivere fino ai titoli di testa del film? L’intento del film era cristallino: far capire al pubblico che poteva aspettarsi di tutto e nessuno era davvero al sicuro.
Oggi il pubblico non solo è abituato a questo discorso “meta”, iper-consapevole com’è di quanto accade dietro le quinte, ma se lo aspetta, ha un’atteggiamento sempre scettico, guardingo. Quando Scream fece il suo debutto in sala, creò quasi dal nulla in ambito horror e mainstream questo sottile dialogo tra il film e il pubblico, tra la pellicola e il suo genere di appartenenza, tra gli interpreti e i personaggi che incarnano. Difficile comprendere davvero la portata quasi sconvolgente che ebbe quel film per chi lo vede per la prima volta oggi, così com’è difficile capire davvero cosa sia stato il cinema senza l’home video e lo streaming per chi è nato con un televisore un lettore DVD o una smart TV in casa.
Scream: se l’horror non ha paura di parlare di sé stesso
Sono molteplici le eredità del film divenuto prima trilogia, poi saga. Neve Campbell è divenuta eroina e scream queen, David Arquette (che nei piani iniziali sarebbe dovuto morire nel primo film) e Courteney Cox co-protagonisti e beniamini del pubblico, coppia su schermo e nella vita. Il volto più iconico del film rimane però quello di Father Death, la maschera ufficiale dietro cui si nasconde ogni volta un assassino differente. Il suo nome “Padre Morte” è quello di un costume di Halloween e della relativa maschera in plastica di scarsa qualità (nelle scene ben illuminate si può apprezzare la bassissima qualità dei tessuti in poliestere), appare di sfuggita nel primo film, sulla confezione in cui viene venduto. Quello con cui è noto però - Ghost Face, faccia di fantasma - prende ben presto il sopravvento: uno dei tanti fatti su cui è costruita la complessa, stratificata mitologia della saga è che la creatrice del costume si sia ispirata al celeberrimo dipinto L’urlo di Edvard Munch.
La complessità di Scream coesiste in un meraviglioso equilibrio con la sua natura mainstream. Il duo formato dallo sceneggiatore Kevin Williamson e dal regista Wes Craven non sembra mai ambire a dare lezioni o ad ammantarsi di una pretesa d’autorialità, eppure conduce sin dal primo film un controllo quasi maniacale sul prodotto finito, nonostante un budget non esorbitante. Tanto che a distanza di anni ancora emergono occhiolini nascosti, rimandi, abilissimi accenni sulle identità e le intenzioni dei primi assassini.
Scream: il capostipite del meta universo narrativo
Di certo Scream non è stato il primo film a riflettere sul suo genere di appartenenza e a fare dell’ironia a riguardo, sottolineandone impietosamente limiti e difetti. Si può però tributare a Williamson e Craven l’onore di essere stati i primi a farlo nel genere e in ambito mainstream con così tanto successo. L’approccio auto-riflessivo diventa sistemico in Scream, portando un livello tale di meta-narrazione da spingere i propri protagonisti a riflettere sulle “regole per rimanere vivi in un horror”, dialogare con i caposaldi del genere e perfino confrontarsi con un fantomatica saga specchio dei film in cui si muovo, intitolata Stab.
Rivisti oggi gli Scream del passato hanno forse un po’ perso quella capacità di essere spiazzanti, perché da Matrix Resurrection a ogni singolo cinecomic uscito negli ultimi anni, nessuno riesce a resistere alla meta-tentazione di parlare di sé stesso con il proprio pubblico, arrivando a picconare la quarta parete.
L’operazione Scream - che valse a Williamson, Campbell e a Craven un Saturn Award ciascuno - rimane però più sferzante e incisiva, perché il punto non è mai autocompiarcersi dei propri risultati o nascondere una povertà d’idee deleteria. Lo scopo di Scream è piuttosto quello di mettere in luce stereotipi e idiosincrasie rispetto alle formule collaudate (consumate?) degli horror da cassetta, a partire dagli stessi lavori di Craven, ampiamente citati (e talvolta ridicolizzati) nei film della saga.
L’identità di Scream è così marcata che il suo titolo originario - Scary Movie - è stato poi utilizzato per una fortunatissima serie di film parodici che puntavano su una rilettura della storia in chiave demenziale e che danno un’idea della profondità dell’impatto di certe scene e certe scelta di trama della trilogia lungo il corso degli anni ‘90 e ‘00.
Scream: è ora di passare il testimone
Un testimone che non sarà semplice raccogliere nel 2021, con Ghost Face orfano sia di Wes Craven (scomparso nel 2015) sia di Williamson, che non scrive la sceneggiatura di questo nuovo capitolo. Ghost Face riuscirà ad essere tagliente e letale come nel suo recente passato nel quinto capitolo della saga, quello del passaggio di testimone?