Cannes 74: Matt Damon racconta Stillwater e le tante anime di un'America sempre in cambiamento

Presente in Croisette per presentare fuori concorso Stillwater, l'attore statunitense ha raccontato come è stato scoprire un'America diversa dalla sua Boston, ma non per questo meno accogliente.

Cannes 74 Matt Damon racconta Stillwater e le tante anime di unAmerica sempre in cambiamento

Grande sorriso e abbigliamento elegante ma estivo, Matt Damon sulla Croisette sembra totalmente a suo agio. È la sua quinta volta al Festival di Cannes, ma la sua prima dopo il grande stop causato dalla pandemia.

L'emozione si è fatta sentire: a fine proiezione della prima mondiale del suo nuovo film, Stillwater di Tom McCarthy, Damon si è sciolto in un pianto liberatorio. Più che la tensione per l'accoglienza del film, a commuoverlo è stato il ritorno alla vita cinematografica internazionale.

Cannes 74: Matt Damon racconta Stillwater e le tante anime di un'America sempre in cambiamento

Ieri eri molto emozionato alla fine della proiezione di Stillwater.

Dopo essere stato negato - a me e a tutti gli altri - di andare ai festival, di vedere i film al cinema, mi sembrata come la prima volta in cui sono stato a un evento cinematografico. Ero commosso, questo ritorno a Cannes mi ha colpito nel profondo. Sono venuto a Cannes cinque volte, ma ritrovarsi qui quest'anno ha un significato più profondo delle precedenti. Tornare sul red carpet mi è sembrata la parte della vita di qualcun'altro, qualcosa d'impensabile qualche mese fa.

In Stillwater interpreti un uomo molto differente, uno che non si commuove facilmente. Il tuo personaggio fa un lavoro fisicamente massacrante in Oklahoma, una realtà molto differente dalla tua Boston. Come ti sei preparato a questo ruolo?

Stillwater racconta un lavoro massacrante che si fa sulle piattaforme e negli impianti petroliferi. Il protagonista del film, Bill Baker, è una persona nata e cresciuta in una parte molto specifica dell'America: l'Oklahoma. Non è solo uno stato, è anche un'attitudine alla vita, una mentalità. Quando ho fatto le mie ricerche e ho conosciuto alcuni di questi lavoratori del settore petrolifero mi sono reso conto di una cosa: sono tutti fortissimi, hanno tutti un specifico tipo di fisico. Per forti non intendo tartaruga definita come gli eroi di Hollywood, no: sono ben piantati, tozzi, massicci.

Come è stato immergerti in questa realtà? È un'America completamente differente da quella in cui sono cresciuto, ma non per questo meno ospitale. Spesso mi ha colto di sorpresa.

Una volta siamo andati a casa di uno di questi lavoratori che ci aveva invitati per un barbecue. Dal nulla la figlia ha tirato fuori la sua chitarra e ha cominciato a cantare delle canzoni religiose, di quelle che si cantano in chiesa...e poco più tardi siamo andati a sparare con i fucili in un campo dietro casa. Di certo hanno una cultura molto diversa da dove dono cresciuto, ma sono davvero ospitali.

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Raccontaci un momento che ti ha colpito su questo set.

C'è questa scena in cui siamo a un match sportivo, io e dei bambini presenti nel film. L'abbiamo girata durante una vera partita, approfittando delle "comparse naturali" e della location, poi abbiamo fatto due giorni di riprese aggiuntive per avere tutto quello che ci serviva. Io li chiamo "giorni in cui non bisogna recitare": me ne stavo lì a godermi la partita con questi bambini adorabili, divertendomi. Alle volte mentre giri capitano anche situazioni di questo tipo ed è molto bello.

L'Oklahoma è davvero diverso da Boston.

Decisamente, ma anche Boston è in continuo cambiamento. Come noto, ho una forte connessione con questa città, penso sia stata e per certi versi sia ancora molto sottovalutata. Qualcosa però sta cambiando, quella di oggi non è certo più la città in cui girai Departed con Scorsese. Lo spirito della città dipende dalle persone che la abitano e Martin Scorsese è riuscito a capire l'anima bostoniana, anche se è newyorkese nel midollo. All'inizio mi ha chiesto di dargli una mano, di fargli da guida, ma è riuscito a capirne la mentalità molto in fretta. Da allora Boston è diventata anche una città molto utilizzata come set, mentre all'epoca si vedeva su schermo raramente.

Tu sei molto amico di Steven Soderbergh, con cui hai girato parecchi film. Durante la pandemia il suo Contagion ha subito una rivalutazione generale. Un film su una fantomatica pandemia di cui all'epoca molti avevano detto fosse poco credibile.

Vero? Per me è pazzesco come venne criticato all'uscita. Quando Sodenbergh ha scritto quel film si è rivolto a degli esperti virologi per sapere il più possibile sulle modalità di sviluppo di una pandemia, per capire come si sarebbe svolto nella realtà un evento di questo tipo. La realtà ha poi provato la sua serietà. Quando è scoppiata la pandemia non riuscivo a credere a quanti dicevano che non era un evento prevedibile...dieci anni fa il film di Steven l'aveva "predetto" in maniera abbastanza chiara, perché gli esperti avevano già un'idea di come sarebbe potuto succedere.

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