Alone in the Dark: ricordando il film di Uwe Boll che avremmo voluto dimenticare
Se avete visto Alone in the Dark, vi facciamo fare un viaggio nei (brutti) ricordi
In occasione del reboot, parliamo di quell’orrore involontario di Alone in the Dark, la prima trasposizione cinematografica dell’omonimo videogioco.
Non era certo l’ultimo ritrovato in fatto di tecnologia, ma Alone in the Dark restava comunque un buon videogame. Divertente, coinvolgente, un’avventura che intratteneva. Non possiamo dire la stessa cosa del film che ne è stato tratto nel 2005, firmato - con regia e produzione - da quella iattura per l’industria cinematografica che è Uwe Boll.
La trama di Alone in the Dark
Edward Carnby (Christian Slater, che mai mi spiegherò come possa aver accettato di girare questo film) è stato in una casa per orfani gestita dalle suore e ha dei ricordi confusi del proprio passato e in particolare dell’infanzia.
Cresciuto, è diventato un investigatore specializzato in paranormale e soprannaturale. S’imbatte in un reperto per il quale viene inseguito da un uomo apparentemente inarrestabile, e poi porta la sua scoperta all’amica Aline Cedric (Tara Reid), antropologa.
Un’organizzazione chiamata Bureau 713, per la quale Edward ha lavorato, ha recuperato un antico manufatto del popolo nativo degli Abkani, ma l’ha usato per portare nel nostro mondo creature spaventose…
Uwe Boll, una iattura per l’industria cinematografica
Uwe Boll ha realizzato dei disastro, comparendo in tutte le classifiche dei peggiori film mai tratti da un videogame con questo film e con quella che probabilmente è la sua “opera” peggiore, House of the Dead. Una cosa veramente nguardabile, sconclusionata, buttata lì dall’inizio alla fine. Avesse bruciato i soldi del budget, avrebbe fatto meno danni. Non che con altri film abbia fatto meglio. Ma pare che questo non sia comunque in grado di fermarlo: continua a sceneggiare, dirigere e produrre.
Di solito non attira, diciamo così, attori di primo piano. Tara Reid, futura protagonista di Sharknado, è nota per la sua partecipazione a film trash, ma Christian Slater aveva all’attivo anche film di culto, come Una vita al massimo di Tony Scott, il Robin Hood con Kevin Costner, quel gioiello di Cose molto cattive di Peter Berg, per non parlare di Heathers, uscito in Italia con il titolo di Schegge di follia, accanto a Winona Ryder.
Insomma, non mi spiego e mai mi spiegherò la sua decisione di accettare il ruolo da protagonista in un film di basso livello come Alone in the Dark. A meno che non sia stato rapito e portato sul set senza leggere la sceneggiatura, resta un mistero.
Alone in the Dark è nettamente superiore al precedente House of the Dead. Va detto, chiaro e forte. Ed è anche decisamente più divertente, soprattutto per certi effetti speciali come quello, diventato celebre, della soldatessa con la testa divisa a metà.
Da qui a essere un bel film, ovviamente, c’è un abisso.
Probabilmente, però, le aspettative erano talmente basse che viene da salvare qualcosa. Giusto Christian Slater, e anche Stephen Dorff, nei panni del capo della divisione armata del Bureau pronta a intervenire per combattere le spaventose creature ispirate ad Alien.
Poiché la trama e la sceneggiature non bastavano a rovinarci il ricordo del gioco, ci si è messo anche un doppiaggio che sembrava essere consapevole fin dalla prima scena di lavorare per uno z-movie. Mettendoci scarsissimo impegno.
Un film con innumerevoli difetti
Purtroppo ci vorrebbe la lunghezza di un’enciclopedia per elencare approfonditamente tutti i difetti e gli errori di Alone in the Dark. Quindi dobbiamo limitarci a sottolineare l’abuso ridicolo dello slow motion, anche a casaccio, la camera che a volte traballa come se fosse l’imitazione di una camera a mano senza di fatto esserlo, le soggettive ubriache che durano pochi secondi, infilate qua e là, un audio confuso che impedisce di sentire bene i dialoghi. Ma quest’ultima cosa potrebbe in effetti non essere un difetto.
Neanche una scena di sesso sensata, nell’unica notte trascorsa da Edward e Aline insieme, Boll è capace di girare come si deve. Neanche quella.
Cos’altro aggiungere? Carnby che se ne va in giro con un pesante impermeabile lungo e scuro mentre tutti gli altri sono in maglietta forse basta a rendere l’idea della coerenza fra scenografie, costumi e storie.
La sensibilità alla luce dei mostri del film, in realtà mai dimostrata apertamente, ne fa un mix fra Alien e i vampiri, con una simpatica - si fa per dire - incursione nel regno delle lucertole. Per adeguarsi al livello, Slater stringe ripetutamente gli occhi, come per concentrarsi su qualcosa che vede solo lui. Il contratto che ha firmato, forse?
Menzione d’onore al personaggio del professore pazzo, interpretato da un Matthew Walker che sembra aggirarsi spaesato su un set su cui è capitato per caso.
L’unica su cui non ho proprio nulla da dire Tara Reid, che si limita a fare Tara Reid spalancando gli occhioni azzurri senza mai cambiare espressione mentre cambia, come in un continuo errore di montaggio, la pettinatura da una scena all’altra. Segnalo, però, la furba scelta di farle indossare gli occhiali mentre fa la scienziata e li toglie quando è pronta a buttarsi nelle braccia dell’amato.
Concluderei citando l’unica battuta meritevole di tutto il film, pronunciata da Edward Carnby:
Mi chiamo Edward… E sono qui per proteggervi dalle cose in cui non credete.
Ecco, io mi chiamo Chiara Poli e sono qui per dirvi che, se non avete mai visto Alone in the Dark, sarete più felici continuando a non farlo.