Non piangere Barbie: la polemica sulle mancate nomination a Gerwig e Robbie distorce una storia vincente
Ritrarre Barbie come un film snobbato e uscito sconfitto dalle nomination agli Oscar 2024 rivela una scarsa conoscenza di come funzionino le cose all’Academy e una voglia d’indignarsi a tutti i costi, anche quando ci sarebbe da festeggiare.
A 24 ore dall’annuncio delle nomination agli Oscar 2024 infuria una polemica che ha superato di molto i confini del mondo cinefilo e dei Social. Una fiammata d’indignazione ha travolto quanti hanno vissuto le 8 nomination al film Barbie di Greta Gerwig come una sconfitta. Pur essendo tra i film più nominati ed entrando in categorie importantissime (due interpreti nominati, miglior film, miglior sceneggiatura), i fan e parte della stampa stanno ritraendo la pellicola come la grande sconfitta di questa tornata degli Oscar.
L’oggetto principale del contendere sono due candidature mancate: quella di Greta Gerwig alla regia e quella della protagonista Margot Robbie come miglior attrice non protagonista. C’è chi parla di misoginia, chi, come Stephen King su Twitter, sostiene che gli Oscar siano completamente scollati dai gusti del pubblico. Una posizione curiosa, dato che i due maggiori incassi dell’anno - Oppenheimer e Barbie appunto - insieme hanno superato quota 20 nomination, comparendo in tutte le categorie principali.
Spesso queste polemiche nascono da un’indignazione prevendita e arbitraria, che confonde gusti personali come preferenze e obiettivi degli Academy Award.
Facciamo dunque il punto su come si arriva ad essere nominati a un Oscar, cosa abbia favorito o meno Barbie e soprattutto spieghiamo perché questa polemica è deleteria per il film stesso, che invece ha centrato un risultato straordinario, che andrebbe festeggiato.
Gli Oscar non sono premi del pubblico o alla popolarità
Sgombriamo il campo da due fraintendimenti basilari. Come già spiegavo nelle considerazioni su vincitori e vinti tra i nominati agli Oscar 2024, gli Academy Awards sono un premio espressione di un’industria cinematografica: quella delle major statunitensi, vecchie e nuove, che vivono di cinema.
L’Academy è formata da professionalità del mondo del cinema, in larga parte statunitensi e anglofone, anche se il corpo votante sta diventando via via più internazionale. Non ne fanno parte né la critica né il pubblico né persone esterne al mondo cinematografico. Tra i votanti ci sono tutti i tipi di professionalità: registi, interpreti, direttori della fotografia ma anche rappresentanti di uffici stampa, direttori di casting, tecnici delle luci. Si entra su invito, per essere stati in precedenza nominati, aver vinto una statuetta o aver raggiunto particolari traguardi di carriera in questo ambito.
La natura del corpo votante riflette alcune sue scelte e predilezioni. Quello che per chi lavora di cinema è bello e meritevole spesso è molto differente dalle valutazioni di chi il cinema lo giudica per lavoro o lo vede in sala da spettatore. È comprensibile come per i professionisti più affermati al mondo per esempio la qualità e l’autorialità siano un valore prioritario rispetto al gradimento del pubblico, che comunque ha un suo peso. Non è illogico che tra autori si prediliga il cinema d’autore, per esempio. Per molti poi il voto è una questione di politica, d’identità e di amicizia: si vota i film che esprimono la direzione in cui si vorrebbe che si muove l’industria, per riconoscere il valore di un collega, magari in opposizione a ciò che non piace.
Spesso poi, lavorando per gran parte dell’anno, i votanti non vedono tutti i film, concentrando i loro voti sui pochi titoli visti o addirittura consigliati dai conoscenti.
Agli Oscar Hollywood celebra sé stessa, in un dialogo interno che spesso il pubblico non capisce o fraintende.
Perché Barbie esce vincitore con le sue 8 nomination
Per i motivi sopra elencati, film di chiaro stampo commerciale, usciti prima dell’autunno (quando i votanti cominciano a interessarsi dei film “da premio”) e che non esprimono alcuni valori prediletti dall’Academy hanno vita molto, molto più difficile.
I blockbuster estivi e in generale i grandi film d’intrattenimento faticano moltissimo perché l’Academy, a torto o a ragione, al di fuori delle categorie tecniche tende a premiare le opere più personali, autoriali, sperimentali. Il tono drammatico tende a prevalere sula commedia, spesso s’impongono film che si concentrano su una riflessione, che fanno denuncia, che danno visibilità a storie e personaggi meno accessibili, rispetto a chi fa puro intrattenimento.
Top Gun: Maverick, Avatar, Il cavaliere oscuro sono tre campioni del botteghino passati per lo stesso tipo di polemica.Grandi incassi, ottima critica, nomination delle categorie principali spesso sfumate. L’indignazione per Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, che mancò la nomination alla regia, fu tale da portare allo storico cambiamento nella categoria di Miglior film. Dopo quell’annata si passò da 5 a 10 nominati a miglior film, dando spazio sia a film commerciali sia a piccole opere autoriali. Spazio di cui hanno giovato parecchi film, tra cui probabilmente lo stesso Barbie.
Derubricare come fallimento 4 nomination nelle categorie regine come miglior film, miglior sceneggiatura, miglior attore e attrice non protagonista è miope e a tratti sgradevole, specie in un’annata di grande qualità come questa.
Gli interpreti di Barbie Gosling e Ferrara infatti ottengono una nomination che alla vigilia era tutt’altro che certa,spingendo fuori dalla cinquina di finalisti alcuni favoriti con grandi interpretazioni, a cui questa visibilità avrebbe giovato moltissimo. Basta citare l’esordiente Dominic Sessa per The Holdovers - Lezioni di vita, rimasto col cerino in mano, probabilmente primo degli esclusi. L’academy non fornisce i dati relativi alle votazioni, per cui siamo nel campo delle ipotesi, ma scommettitori e addetti ai lavori tengono monitorata la situazione ora per ora. Gosling è una star e ha dietro un film potente come Barbie, che sicuramente lo ha aiutato rispetto a Sessa, giovanissimo, sconosciuto, con una campagna di marketing meno imponente dietro. Ferrera ha ottenuto una nomination ancora più inaspettata, ottenuta anche grazie al traino del film.
Insomma, per una Robbie che non ce la fa, entrano in cinquina una Ferrera e un Gosling. Ogni categoria è slegata all’altra, per cui è una questione di statistiche, non di ripicche tra una categoria e l’altra. Giova poi ricordare che Margot Robbie e Greta Gerwig sono entrambe nominate: la prima come produttrice per Barbie miglior film, la seconda come co-sceneggiatrice dello stesso. Hanno concrete possibilità di vincere la statuetta.
Greta Gerwig vs Christopher Nolan: la retorica dello snobbato
Il picco dell’assurdità si raggiunge però quando si tenta di ritrarre Greta Gerwig come una paria hollywoodiana, a cui viene negata una nomination registica che sulla carta parrebbe sacrosanta.
Prima considerazione da fare in merito: nessuna nomination nella categoria Miglior regia è scontata. È una delle candidature più difficili in assoluto da ottenere, per la fortissima concorrenza interna e la difficoltà di imporsi. Ci sono registi che hanno inseguito questo traguardo per tutta la vita, plasmando carriere immacolate fatte di grandissimi film, arrivando alla nomination in età avanzata o non centrandola mai (notoriamente: Stanley Kubrick).
Indubbiamente c’è un problema con le minoranze e la questione di genere: nella quasi centenaria storia degli Oscar pochissime donne sono state nominate come registe, ancor meno hanno vinto. Se la statistica sta migliorando è perché negli ultimi anni si è posta grande attenzione in questo senso. Per quanto riguarda etnie e nazionalità minoritarie va ancora peggio: per gli afroamericani, i latini, quanti sono di discendenza asiatici e ancor di più per gli stranieri, la nomination come registi è quasi un miraggio, la vittoria una rarità assoluta. Anche in questo senso stanno cambiando le cose, ma molto, molto lentamente.
L’esclusione della caucasica e statunitense Gerwig però, da qualsiasi prospettiva la si guardi, non sembra riguardare il suo essere donna, ma il tipo di film e di regia con cui si presenta e la concorrenza che affronta.
Torniamo alla cinquina registica di quest’anno: c’è davvero qualcuno che ha “rubato” il posto di Gerwig? Da spettatrice di tutti i film nominati e dei principali esclusi, mi sento di dire che questo quintetto è rara espressione di una scelta equilibrata e fatta nel segno dell’assoluta qualità. La domanda da fare a chi lamenta la mancanza di Gerwig è: chi toglieresti?
Nolan, Lanthimos e Scorsese si muovono ai massimi livelli delle loro stellari carriere e sono registi di razza, con la visione e la personalità dei cineasti maturi. Glazer ha fatto un film tutto incentrato su scelte stilistiche estreme, il più sperimentale dell’annata degli Oscar, che meritava particolarmente questa candidatura.
Poi c’è lei, Justine Triet, la donna che è riuscita a entrare in cinquina in un’annata in cui si temeva l’assenza delle registe. Lo fa con un film autoriale - Anatomia di una caduta - ma insieme spendibile presso il grande pubblico, che ha raccolto notevole successo di botteghino e che, al pari di Barbie, porta con sé un discorso sull’essere donna di fronte a una società che ha una serie di aspettative precise verso il genere femminile.
L’implicito assunto che Triet abbia “rubato il posto” a Gerwig è particolarmente odioso dal punto di vista cinefilo e femminista. Per Triet la scalata è stata difficilissima, in quanto donna e in quanto francese, cioè straniera, cioè non forte di agganci, popolarità, familiarità con il mondo hollywoodiano.
Greta Gerwig invece è un nome potente a Hollywood. Tanto potente da centrare questa nomination con la sua prima regia gestita in solitaria, Ladybird, nel 2017. Da allora ha girato altri 2 film, che le sono sempre valsi almeno un candidatura di peso (miglior film, miglior sceneggiatura). Per il suo film d’esordio da regista, di stampo più autoriale di Barbie e dal budget indubbiamente minore, aveva già un cast stellare a disposizione, avendo tra i protagonisti Saoirse Ronan e Timothée Chalamet post successo di Chiamami col tuo nome.
Sono in pochissimi i registi ad aver centrato la nomination all’esordio. Ancor meno quelli che possono vantare una nomination per ogni film girato nella propria filmografia a meno di 40 anni d’età. Greta Gerwig è portata in palmo di mano dall’Academy, tanto da centrare, appunto, 8 nomination con un film lontanissimo dai desiderata della stessa.
Per capire il favore di cui goda basta guardare al principale concorrente della sua pellicola in questa annata: Christopher Nolan, regista di Oppenheimer. Maschio, bianco, anglofono, acclamato come il Kubrick di questa generazione, riconosciuto già tra i più grandi cineasti viventi. Nolan ha quel tipo di profilo per cui si ha il potere necessario a sfondare anche nelle categorie difficili degli Oscar. La prima nomination da regista di Nolan invece è arrivata un anno dopo quella di Gerwig. L’ha ottenuta nel 2018 con Dunkirk, alla sua decima regia, dopo anni di tentativi andati a vuoto. Per arrivare a questo risultato si è anche allontanato dal cinema più commerciale, spingendosi nel territorio dell’autorialità più spinta.
Per tirare le somme: certo che si può essere o meno d’accordo sulle nomination agli Oscar 2024. Fa parte del gioco e anche parte del divertimento, del seguire la stagione dei premi cinematografici. Tuttavia non bisogna dimenticare che sono tantissime le variabili che favoriscono o sfavoriscono un nome: conta il genere? Certo, conta però anche il passaporto, l’etnia, la carriera, il carattere, la popolarità, dove si abita a Los Angeles, quanto bene si parla l’inglese, quanto nella propria cerchia di familiari e amici si respiri aria di studios.
A 40 e 33 anni d’età, Greta Gerwig e Margot Robbie si sono già dimostrate grandi professioniste nel loro lavoro e nel navigare l’industria dello spettacolo di cui fanno parte. Ritrarle come vittime è ingeneroso, falso e soprattutto le priva della vittoria che Barbie e le sue candidature agli Oscar rappresenta per entrambe.