Locarno omaggia Ben Burtt: intervista al premio Oscar che con Star Wars ha rivoluzionato il suono della fantascienza al cinema
“George Lucas mi scelse perché ero uno studente e costavo poco”: Ben Burtt ricorda come, al fianco del regista di Star Wars, ha rivoluzionato il suono della fantascienza al cinema.
Nello spazio nessuno può sentirti urlare, ammoniva un noto film di fantascienza. Ben Burtt potrebbe non essere d’accordo. In qualità di sound designer - ovvero di responsabile della creazione del panorama sonoro di un film - ha creato un mondo di suoni così iconico che tutti noi abbiamo tentato almeno una volta di ricreare.
Il respiro affannoso e meccanico di Darth Vader, il suono elettrico e ricco di riverbero delle spade laser, i bip bip di R2D2, la frusta schioccante di Indiana Jones, la voce di E.T. che vuole chiamare a casa: queste sono solo alcune delle creazioni leggendarie del 4 volte premio Oscar, considerato il papà del metodo moderno di fare sonoro al cinema. Suoni registrati dalla realtà, più organici e naturali, mescolati e rimontati con grande creatività per dare voce a ciò che spesso nemmeno esiste.
Sul finire degli anni ‘70, in un’epoca in cui il cinema di genere era dominato da suoni elettronici e il cui lavoro del comparto sonoro era rigidamente diviso e sindacalizzato, il giovanissimo Ben Burtt venne avvicinato dall’ambizioso George Lucas. Una laurea in fisica, la scuola di cinema appena conclusa, una passione per la scienza del sonoro nata quando, da bambino, il padre gli regalò un piccolo registratore a cassetta. Invece di collezionare francobolli o insetti, il piccolo Burtt registrava e catalogava suoni.
Intervista a Ben Burtt: “sentii il suono della spada laser nella mia testa al primo incontro con George Lucas”
Anni dopo, di fronte ai bozzetti preparatori di Star Wars, sentì il suono della spada laser nella sua immaginazione nutrita a cinema di fantascienza e western. Per settimane e poi mesi lo inseguì, mentre dava voce alle astronavi, alle pistole laser, a Darth Vader e ai Wokie.
Locarno continua nella sua nobile tradizione di avvicinare il suo pubblico a leggende hollywoodiane il cui lavoro ha plasmato l’immaginario collettivo, ma il cui nome è ancora poco familiare al grande pubblico. Ho chiesto a Ben Burtt di raccontarci un po’ il mestiere cinematografico che ha rivoluzionato: quello del sound designer, che crea un mondo di suoni, voci e rumori che sembrano naturali al nostro orecchio, invece sono creati e missati con certosina cura artigianale da professionisti come lui per ogni singolo film.
Per cominciare ti vorrei chiedere di spiegarci un po’ in cosa consiste il lavoro del sound designer.
La maggior parte dei suoni che si sentono nei film non sono presenti del girato giornaliero sul set, vengono aggiunti in post produzione. Solo il parlato viene registrato sul set e comunque anche quello spesso ha bisogno di aggiunte e integrazioni. Quindi tutti i suoni che sentiamo nei film e nelle serie - i passi dei personaggi che camminano, le persone che maneggiano oggetti o gli eventi atmosferici come pioggia e vento - vengono creati e missati nel sonoro del film. Il mio lavoro consiste quindi nel creare “strati di suono” che descrivano sia l’ambiente circostante sia azioni specifiche come aprire un cassetto della scrivania e tirare fuori un pezzo di carta.
Si chiama “design sonoro” perché alla base del lavoro c’è una selezione. Un design sonoro fatto bene per un film non crea un sonoro realistico, ma lo drammatizza, esattamente come si fa per le storie che si trasformano in film. Si dà colore, si rende dettaglio un suono, si fa in modo che le parti dialogate siano molto chiare e udibili. Nel caso di una pellicola di genere fantascientifico, si ha più libertà d’azione, perché si inventano suoni che nessuno ha mai sentito, per cui non c’è un riferimento realistico a cui attenersi. È una tipologia di lavoro che dà una grande libertà e che io ho fatto per anni.
In effetti scorrendo la tua filmografia si nota una nettissima prevalenza di titoli fantastici e fantascientifici. Come è successo? Eri tu a cercare questo tipo di progetti o dopo il successo planetario della trilogia di Star Wars sei stato come vittima di un “type casting”, cioè chi aveva bisogno di un panorama sonoro per un film di fantascienza si rivolgeva a te perché “è quello che ha fatto Star Wars”?
Da ragazzino amavo i film d’avventura, i western e la fantascienza. Non avevo preferenze specifiche, mi piaceva immaginarmi di essere un astronauta, un cowboy, un bandito. Quando ottenni il primo lavoro sul set di Star Wars, ricordo di aver pensato: “ecco, questo è un film che capisco”. Ero molto giovane, mi ero appena messo alle spalle l’università. Durante gli studi avevo realizzato film ambientato nello spazio con i mostri e le pistole laser: era simile a Star Wars, sotto molti aspetti. Mi sentivo a mio agio a prendere al volo quell’opportunità, perché riguardava una storia che mi era familiare.
Dopo quel successo incredibile in larga parte inaspettato, sì, penso di essere stato “oggetto di type casting”, ma non trovo sia una cosa negativa. Semplicemente si sono rivolti a me e ho continuato a creare suoni per astronavi, viaggi spaziali e via dicendo. Dopo Star Wars sono stato coinvolto anche nel franchise di Star Trek. Negli anni ho lavorato anche per progetti in cui la richiesta è di creare un suono molto naturale, molto realistico, anche se poi di naturale nel suono che finisce nel film non c’è nulla.
Da giovanissimo hai realizzato alcuni film amatoriali con i tuoi amici del college. Non è una storia così rara tra chi poi, nella tua generazione, è diventato regista, montatore, sceneggiatore. Cosa ti ha spinto o portato verso una carriera nel comparto sonoro?
Non ho mai pensato coscientemente di voler diventare un sound editor. Come molti giovani realizzatori di film, volevo una carriera nel cinema, desideravo dirigere, scrivere, persino essere l’eroe di queste storie. La realtà poi ti colpisce quando cominci a lavorare e capisci che per forza di cose devi specializzarti. Io mi sono laureato in fisica e in generale ero un ragazzino molto interessato alla scienza, da piccolo il mio sogno era diventare un astronauta. Sin dalla tenera età però avevo sviluppato un interesse per la scienza del suono, grazie a un piccolo registratore a cassetta che mi aveva regalato mio padre. Con quel regalo cominciai a collezionare suoni che registravo qua e là. Avevo anche un forte interesse per la fotografia.
Finita la scuola, trovati un lavoretto legato al montaggio sonoro a Hollywood. Cose da poco, tipo sistemare il sonoro dei trailer, lavorare a film a basso budget. Così entrai nel mondo del sonoro, perché c’era domanda e pagavano. Scoprii che non c’erano molte persone, in particolare giovani, interessati a questo lavoro. Io invece mi appassionai e cominciai a essere sempre più richiesto. Ovviamente c’entrava anche il fatto che ero giovane e costavo poco, inoltre ero appena uscito da scuola, non avevo idee mie o nozioni pre-esistenti, potevano farmi fare quello che volevano. Così arrivò l’offerta di George Lucas. Non ho però mai perso il mio interesse rispetto al fare cinema, girare film, in generale.
Quello che mi affascina di più del tuo lavoro è che spesso ti ritrovi ad immaginare che suono generi qualcosa o qualcuno - un’arma, un’astronave, un alieno - che nemmeno esiste nella realtà. Da dove nasce il processo creativo? Quando vedi l’oggetto, la scena, senti già il suono nella testa o è frutto di sperimentazioni?
Solitamente la nascita di un suono inizia da quando vedo uno schizzo, un’illustrazione dell’oggetto o della persona che saranno nel film. Nel caso di Star Wars, per esempio, ricordo che nel primo incontro con Lucas lui mi mostrò i disegni preparatori di Ralph Angus McQuarrie e mi disse “ecco, i Wokie sono fatti così, le spade laser sono fatte così”. Quando vidi la spada laser, sentii subito un certo suono nella mia testa. Alle volte succede con i bozzetti preparatori, altre con la sceneggiatura. Dopo segue un processo inevitabile di prove, errori, rifiniture. In sostanza cerchi un suono, alle volte ci vogliono settimane, mesi per arrivare a un suono simile a quello che senti nella tua immaginazione a partire da risorse presenti nella realtà.
Tu ti facevi chiamare “sound designer” ancor prima che questa figura venisse considerata tale, ancor prima che gli Oscar accorpassero due distinti premi per il sonoro (missaggio e montaggio) in una sola statuetta. Sei stato un professionista del suono unico a Hollywood, per come ricoprivi lavori appartenenti a più ruoli differenti. Funziona ancora così oggi? O hai solo anticipato i tempi?
Il lavoro che faccio spesso viene chiamato “sound design” ed è sempre esistito da quando è stato messo a punto il modo di sincronizzare una traccia sonora al video del film, forse persino durante l’epoca del cinema muto, sotto certi aspetti. Molto è cambiato proprio grazie a Star Wars. Lucas lavorava fuori dal sistema vigente nella Hollywood dell’epoca, fuori dalla logica delle gilde e dei sindacati. All’epoca c’era chi registrava il suono sul set, chi creava suoni da zero, chi li editava, chi lavorava alla traccia finale, chi ri-registrava le parti che non si sentivano bene…erano tutti gruppi di lavoro separati, era una tradizione hollywoodiana. Lucas invece voleva una persona a presiedere tutto il processo se non a partecipare attivamente alla realizzazione di tutte le fasi. Nel caso del primo Star Wars quella persona ero io, rispondevo direttamente a Lucas ed ero il responsabile del mantenimento di una continua coerenza alla sua visione.
La tecnologia ha cambiato molto il nostro settore, perché tanti strumenti necessari al nostro lavoro sono diventati via via più piccoli fino ad essere ridotti a un’applicazione. Inoltre ora di sono delle figure altamente professionalizzate e istruite nei vari settori di questo mestiere che una volta erano ben distinti e divisi. Se c’è il tempo e il budget per farlo, un sound designer come me può presiedere a tutto il processo, dal set alla post produzione. Dipende sempre dai produttori, da come vogliono approcciare la realizzazione del sonoro.
Sei considerato il padre di un nuovo modo creare il panorama sonoro dei film di fantascienza e non, nato proprio con Star Wars. Eri consapevole di questa rivoluzione a cui stavi dando inizio?
Durante i miei anni giovanili vidi tantissimi film in TV. Mi piaceva registrare alcune parti della traccia audio e poi risentirle con le mie cuffie. Stiamo parlando dell’era precedente i DVR, i DVD. Passavo un sacco di tempo a sentire e risentire spezzoni di tracce sonore dei film. Mi divertivo molto, non mi rendevo nemmeno conto che stavo imparando come il suo venisse utilizzato per aggiungere una certa drammatizzazione al racconto del film. Mi piaceva come fantascienza, western e anche i film di Tarzan usassero la musica e i suoni per rendere più grandiosa l’azione. I suoni dei quando ascoltati con attenzione si rivelano per quello che sono: raramente realistici. Pian piano capii cosa veniva usato per riprodurre quale suono naturale. Quando mi ritrovai a lavorare su Star Wars, potevo fare riferimento a tutti i film di fantascienza precedenti, conoscevo benissimo il lavoro fatto sul sonoro di quel film e ho potuto con grande consapevolezza tracciare una nuova frontiera, dire “qui farà questa cosa che nessuno finora ha mai fatto”, riconoscendo la tradizione precedenti e costruendo a partire dalla tradizione precedente. Credo sia questa consapevolezza ad aver aiutato la mia carriera.
Immagino che tutti ti facciano un sacco di domande su Star Wars. Vorrei darti la possibilità di parlarmi di qualche progetto di cui sei molto orgoglioso ma di cui nessuno ti fa domande in merito.
Mi stai chiedendo se c’è qualche progetto di cui sono molto orgoglioso ma di cui nessuno ha mai sentito parlare? (ride)
Non proprio. Sono certa che ci sia qualche storia interessante relativa a un tuo progetto meno noto che non hai ancora avuto modo di raccontare.
Ho sempre amato i documentari. Penso sarei diventato un documentarista se avessi trovato il modo di farlo e mantenere la mia famiglia. Mi è sempre piaciuto andare in esplorazione e registrare una testimonianza della realtà. Tra gli anni ’80 e ’90 ho avuto l’opportunità di lavorare su alcuni film scientifici IMAX a carattere scientifico, realizzati su pellicola 70 mm, in formato IMAX o OmniMAX. Erano documentari sullo spazio, proiettati su questi schermi enormi. Cominciai a lavorare al sonoro di alcuni di questi documentari e alla fine riuscii anche a girarne qualcuno. È stata un’incredibile opportunità per poter finalmente lavorare a un progetto in cui era richiesta un’altissima adesione alla realtà, eppure c’era comunque una certa necessità di fondo di esagerare un po’ risultato finale per questioni espressive. Mi ricordo che una volta per le riprese di uno shuttle che rientrava sulla Terra ci venne dato il permesso di mettere alcuni registratori al suo interno, per ottenere il suono delle componenti interne sotto pressione durante le fasi d’atterraggio e i suoni delle attività degli astronauti all’interno. Quell’anno fu magico perché per un certo periodo lavorai al suono realistico delle attività nello spazio, intervellando questa commessa con titoli di fantascienza che mi portavano nello spazio ma in modo assai meno realistico. Sono molto orgoglioso di quel lavoro, che venne proiettato nei musei e richiese un grande realismo, ma non privo della capacità di meravigliare, emozionare lo spettatore, senza infrangere troppe leggi fisiche. Finii per lavorare a quel progetto per anni ed è stato davvero bello.
Vorrei chiederti qualcosa su The Signal. La tua carriera è piena di titoli blockbuster ad altissimo budget, ma hai anche lavorato a quello che è un cult del genere prodotto davvero con mezzi limitatissimi.
The Signal? Non sapevo qualcuno si ricordasse di quel film.
No, è considerato un piccolo cult nei circoli cinefili. Se ne parla molto, te lo assicuro.
Non ne ero assolutamente consapevole, sono contento! È stato un progetto affascinante e molto impegnativo: venne realizzato nel giro di 10 giorni in totale, durante le vacanze di Natale. Io e mio figlio abbiamo lavorato all’interno sonoro del film in quel periodo limitato di tempo. È stato fantastico avere questo approccio: non potevi semplicemente stare lì a rimuginare, dovevi provare e andare avanti, senza fermarti. Ripensandoci ora è quasi ridicolo che noi si sia riusciti a farlo in 10 giorni. Mi divertii un sacco perché, date le premesse, richiede una grande dose d’immaginazione. Inoltre andava in direzione completamente diversa da Star Wars, dal punto di vista sonoro. Il regista (William Eubank) voleva che il sonoro fosse bizzarro, sottile nelle sue suggestioni, ovvero l’esatto opposto di Star Wars. Quando venne da noi la prima volta per sentire qualche estratto dal lavoro che avevo già cominciato a fare ancor prima d’incontrarlo, e non gli piacque nulla. Capii che non gli piaceva il primo approccio letterale, esplicito, dalla grande magnitudo. Capii che voleva qualcosa di molto più amorfo, strano, sottile. Una volta che mi mossi in quella direzione, riuscii a trovare un risultato che lo soddisfacesse. Ne conservo un bel ricordo perché è stato un progetto in cui ho dovuto seguire l’istinto, il cuore, senza pensarci troppo. Ricordo che lavorammo molto a creare tutto un rumore di sottofondo per i lavoratori, gli spazi scientifici del film.