Il caso Andrea Riseborough ci insegna come si ottiene, davvero, una nomination agli Oscar
Usiamo le polemiche sull’inaspettata nomination di Andrea Riseborough agli Oscar 2023 come miglior attrice protagonista per fare luce sull’intricato sistema nascosto dietro agli Academy Awards.
Sta facendo molto discutere, anche al di fuori del mondo cinefilo, la sorprendente nomination di Andrea Riseborough come Miglior attrice protagonista agli Oscar 2023. Ad attirare l’attenzione del pubblico solitamente poco interessato a vicende di premi, di star e di Oscar noms è stata la notizia che ha dato l’AMPAS (Academy of Motion Picture Arts and Sciences), ovvero l’accademia che organizza il premio Oscar e che assegna le statuette più celebri al mondo ogni anno.
In un succinto comunicato dell’Academy è stato confermato che oggi, 31 gennaio 2023, si terrà un incontro con all’ordine del giorno anche “la conduzione di una verifica delle procedure di campaign” legate a To Leslie, il film di cui è protagonista l’attrice.
Al momento nessun membro dell’Academy sembra aver inoltrato formali reclami sul film o sulla campagna promozionale volta a ottenere la nomination. Gli insider dell’industria però raccontano di decine e decine di telefonate all’Academy all’indomani della nomination. Importante sottolineare come le proteste siano arrivate dopo e non prima l’annuncio delle nomination.
Proteste incentrate sul razzismo, perché secondo alcuni utenti sui social e alcuni membri dell’Academy che si sono lamentati in privato nella cinquina di finaliste Riseborough ruberebbe il posto a un’attrice afroamericana.
Tra le più quotate quest’anno a una nomination c’erano in particolare due donne nere, rimaste a bocca asciutta: Viola Davis per The Woman King e Danielle Deadwyler per Till. Dopo lo scandalo di #OscarSoWhite degli anni passati, l’Academy è particolarmente attenta alla tematica della rappresentazione, ma ha senso investigare su una condotta senza che ci sia un reclamo formale? C’è stata di fatto una violazione delle regole? Perché nessuno si fa avanti con un’accusa puntuale? È possibile sostenere che Andrea Riseborough sia “un’intrusa” nella cinquina?
Per fare un po’ di chiarezza, in questo pezzo vi racconterò come un’outsider come Andrea Riseborough sia riuscita a ottenere la nomination come migliore attrice, come funziona la corsa all’Oscar in questa specifica categoria attoriale, quali sono le zone grigie della sua campagna e quali le ipocrisie di una Hollywood che da sempre si assicura nomination a suon di campagne da milioni di dollari.
Come si ottiene una nomination agli Oscar? Tutto sul caso Andrea Riseborough:
- La strategia di Andrea Riseborough per ottenere una nomination
- Come funzionano le candidature “attoriali” agli Oscar
- Cosa cambia il caso Andrea Riseborough
La strategia di Andrea Riseborough per ottenere una nomination
La nomination di Riseborough è stata tutt’altro che una sorpresa inaspettata per gli addetti ai lavori e chi, come chi scrive, segue da vicino tutta la stagione dei premi cinematografici. Certo non era sicuro che l’attrice arrivasse nella cinquina delle migliori attrici protagoniste, ma era perfettamente chiaro che a Hollywood qualcuno stesse lavorando a una campaign, una campagna simile a quella elettorale, volta a ottenere la nomination. Anche le testate specializzate ne hanno parlato.
La data più significativa, quella della svolta, è stata il 15 gennaio 2023. Durante le premiazioni di Critics Choice Awards Cate Blanchett, vincitrice del premio come miglior attrice per Tár e già super favorita per vincere l’Oscar nella medesima categoria, cita proprio Andrea Riseborough. Lo fa nel momento in cui tutti la stanno ascoltando, ovvero quando sul palco tiene il suo discorso di ringraziamento per il premio ricevuto.
È il primo nome che cita (seguito da quello di Tang Wei, protagonista di Decision to Leave di Park Chan-wook). L’intento è chiaro: richiamare l’attenzione sulla collega, facendo sapere che la stima, la apprezza e non le dispiacerebbe vederla nominata.
La data, 15 gennaio, è cruciale. Blanchett dà un assist formidabile alla collega tre giorni dopo l’apertura delle prima fase di votazioni agli Oscar. Dal 12 al 17 gennaio infatti i diecimila membri dell’Academy sono chiamati a votare nelle categorie a cui hanno diritto. Dai loro voti vengono poi ricavate le cinquine di finalisti, annunciate il 24 gennaio 2023.
La campagna per portare To Leslie agli Oscar, svela Variety, comincia però molto prima. L’incontro chiave è quello tra l’insider Howard Stern, il regista del film Michael Morris e la moglie di lui, l’attrice Mary McCormack. Invitato a casa dei Morris, Stern vede il film, ne rimane impressionato e decide di parlarne in giro a Hollywood, dando il via al passaparola.
Che film è To Leslie, che ha portato Andrea Riseborough alla nomination?
To Leslie ha bisogno del passaparola: è un film minuscolo, girato in appena 19 giorni a Los Angeles, nel pieno della pandemia. La protagonista e produttrice della pellicola, Andrea Riseborough, interpreta una donna bianca texana che, anni dopo aver vinto la lotteria ed essere fuggita dallo squallore della sua vita, si ritrova a dover ricostruire la sua vita da capo.
To Leslie è un film indie, prodotto e distribuito lontano dalle logiche e dal potere economico degli studios. Nei cinema statunitensi raccoglie 27mila dollari, ma le recensioni sono davvero stellari e sottolineano in particolare il talento di Andrea Riseborough.
Chi è Andrea Riseborough?
Non è una star nota a livello mondiale, ma nemmeno un’intrusa a Hollywood, anzi. Ha già una considerevole carriera alle spalle. Inglese, 41enne, educata alle scuole private ma con una borsa di studio dai genitori lavoratori, Andrea Riseborough non fa parte dell’elite attoriale borghese inglese né dello star system hollywoodiano, ma grazie a un notevole talento, lavora con costanza, tra film indie e grandi blockbuster.
Il suo film più celebre è probabilmente Oblivion, kolossal sci-fi del 2013 in cui recitava al fianco di Tom Cruise: un flop al botteghino, di cui la critica salvò proprio l’interpretazione di Andrea Riseborough. Di recente potreste averla vista su Netflix in Matilda: The Musical, in Mandy con Nicholas Cage, in Nocturnal Animals con Jake Gyllenhaal. La sua interpretazione più celebre tra i cinefili è quella sulfurea in Morto un Stalin se ne fa un altro.
Andrea Riseborough è un caratterista e una trasformista. Anche conoscendola, non è sempre facile riconoscerla nei film. Salta dal comico al drammatico con grande facilità e nella sua carriera si è misurata con ruoli estremi per impatto emotivo, look e impegno fisico. Giunta ai 40 anni, come molte colleghe ha tentato il salto di qualità, producendo un piccolo film con sé stessa al centro, nella speranza di attirare l’attenzione di Hollywood e dare una svolta differente alla propria carriera. Lo stesso hanno fatto qualche anno fa Margot Robbie con Tonya e Jennifer Aniston con Cake, per fare due esempi delle decine disponibili. Si fa un film che fornisca all’interessata e pagante un ruolo che ne metta in luce le sue potenzialità e si spera di fare una campagna per arrivare agli Oscar e avere accesso a ruoli più importanti in film più visibili.
Ciò che abbiamo davvero imparato da questa vicenda è che, umanamente parlando, è ben voluta a Hollywood, almeno dalle colleghe bianche. Tra le prime a spendersi per lei c’è Charlize Theron, che presenta una proiezione del film per farlo conoscere ben prima dell’inizio ufficiale della campagne. Quando l’attrice ottiene una nomination agli Spirit Award, i premi del cinema indipendente, è evidente che il film abbia una possibilità di arrivare ai premi più importanti. Riseborough s’impegna in interviste e talk, ma a metterci i soldi sono il regista del film Michael Morris e la moglie di lui, Mary McCormack. Il tentativo infatti è far ottenere una nomination anche al film.
A questo punto entrano in campo due agenzie di pubbliche relazioni molto note a Hollywood, che si occupano di questo tipo di campagne: Shelter PR e Narrative PR. Anche mettendoci soldi di tasca propria, Michael Morris e Mary McCormack non possono certo competere con il battage mediatico di Universal e TriStar, che stanno facendo lo stesso lavoro per Viola Davis e Danielle Deadwyler. In realtà le candidate sono molte di più: per cinque nominate ci sono almeno una decina di escluse.
La mossa geniale di To Leslie è quella di lavorare quasi sotto traccia fino all’apertura delle votazioni, dando il massimo subito dopo. Secondo le prime ricostruzioni, pare sia stato chiesto agli amici ed entusiasti del film di postare sui social media e farsi sentire a mezzo stampa dopo il 12 gennaio, ovvero nel momento in cui tutti stavano votando. Un film come To Leslie non ha risorse per fare parlare di sé a lungo. Avendo però Kate Winslet, Martin Scorsese e altre decine di celebrità dalla propria parte che twittano entusiastici pareri sulla pellicola e sulla sua protagonista Andrea Riseborough nel pieno delle votazioni sembra aver fatto la differenza. Alcuni notano che i tweet di supporto sono spesso copincollati,riportando sempre le medesime frasi, avvallando il sospetto che non tutti i sostenitori abbiano poi visto il film.
Da dietro le quinte in queste ore giungono anche altre voci, meno positive. Mary McCormack in particolare avrebbe tartassato alcuni votanti di mail e telefonate per settimane, chiedendo di partecipare alle proiezioni del film, di spendersi in eventi pubblici, di postare sui social.
Un tempismo perfetto, una strategia social virale e il sostegno di un consistente numero di celebrità hollywoodiane sono valse a Andrea Riseborough una nomination che, nel bene e nel male, cambia tutto. Con poche decine di migliaia di dollari, l’attrice ottiene una nomination per cui studios hanno investito cifre che spesso raggiungono sei cifre, gabbando tutti.
Come funzionano le candidature “attoriali” agli Oscar
Rimane sul piatto il problema principale: Andrea Riseborough ha infranto le regole degli Oscar per ottenere la sua nomination? Prima di emettere verdetti è bene capire come funzionano le nomination agli Oscar, le specificità nelle categorie attoriali e la complessità del regolamento, unito alle convenzioni non scritte vigenti a Hollywood.
Si parte da un numero: 1302 votanti. È bene sapere infatti che non tutti gli oltre diecimila membri dell’Academy votano nella prima fase degli Oscar per le interpretazioni, ovvero nel momento in cui i voti stabiliranno le nomination. A farlo sono in particolare i membri dell’Academy che hanno diritto di voto in quanto attori. Si esprimono fino a cinque preferenze e, se un nome ottiene abbastanza voti, finisce in cinquina. La prima preferenza espressa vale più della seconda, a scalare. Insomma, anche i conteggi relativi alle nomination sono molto complessi.
Le regole degli Oscar non prevedono di rendere pubblici gli esclusi, nemmeno ad anni di distanza, quindi è importante sottolineare come non ci sia certezza del fatto che la prima esclusa fosse Viola Davis per The Woman King o Danielle Deadwyler per Till. Come già sottolineato, c’erano altre attrici in corsa per una nomination. Per esempio Cate Blanchett ha citato anche Tang Wei, nella speranza di spostare qualche voto anche in quella direzione. Nelle categorie attoriali è spuntato un nome tanto sorprendente quanto quello di Andrea Riseborough, pronosticato da pochissimi, di cui parleremo più tardi. Di fatto finché le nomination non vengono annunciate, in pochissimi sono certi di far parte delle cinquine finaliste.
La strategia adottata per la campagna di To Leslie è stata semplice: considerando 5 candidate finali e 1302 votanti, si è calcolato che se Andrea Riseborough fosse riuscita a ottenere 218 voti come prima preferenza sarebbe stata automaticamente in cinquina e si è lavorato, come in politica, per ottenere proprio quel numero di voti. Vale la pena sottolineare come non tutti gli aventi diritto votano, quindi si possono dare in partenza un certo numero di voti come “perduti”. Chi ha curato la campagna di To Leslie ha quindi lavorato per assicurarsi una soglia di sicurezza, raccogliendo 218 voti come prima preferenza tra quanti ne avevano diritto.
L’Academy però stabilisce tutta una serie di regole su cosa si possa e non possa fare per fare campagna. Due in particolare sono le regole che sarebbero state infrante in questa occasione. Per fare esempio delle vette di bizantinismo che può raggiungere questo complesso regolamento: un candidabile può spronare a guardare il proprio film e può pagare delle persone affinché spingano gli altri a votare per lui, ma non dovrebbe mai sollecitare direttamente a votare il proprio nome. Riseborough non ha mai infranto questa regola.
La prima regola teoricamente infranta in questo caso riguarda il numero di lettere in copia cartacea e email che è possibile mandare a un votante: la regola stabilisce una a settimana per entrambi i formati, ma Mary McCormack si sarebbe spinta molto oltre secondo voci non confermate.
La seconda riguarda la possibilità di nominare altri contendenti. La regola vuole che si possa sostenere un candidato senza citarne altri. Questo per non spingere alcuni votanti a preferire un candidato outsider come prima scelta, assicurandogli che nomi più blasonati siano già sicuri (in gergo locked), oltre che ovviamente per evitare campagne diffamatorie.
Frances Fisher, interprete di Titanic, avrebbe infranto questa regola in un suo post su Instagram a sostegno di Risenborough, ricordando ai follower che mi sembra che Viola, Michelle, Danielle e Cate siano già locked per il loro lavoro straordinario.
Quindi Andrea Riseborough ha barato? A quanto sappiano sinora, no. A quanto sappiamo oggi, non è direttamente responsabile delle condotte “grigie” relative alla campagna. Sia il post incriminato sia le mail vessatorie vengono da due membri dell’Academy: se sono stati loro a infrangere il regolamento, saranno loro a venire sospesi dall’accademia o a non partecipare alla cerimonia di premiazione.
L’annullamento di nomination dopo gli annunci è rarissimo: in quasi cento anni di storia ci sono appena un paio di casi. Più frequente è venire sospesi dalla possibilità di partecipare agli eventi o votare, come accaduto per esempio a Will Smith dopo aver colpito Chris Rock durante la premiazione degli Oscar del 2022. Un gesto così eclatante è valso all’attore una sospensione di 10 anni, non l’espulsione.
Andrea Riseborough può venire punita con la revoca della nomination per una campagna in corso d’investigazione? Secondo gli addetti ai lavori è improbabile, perché questo scatenerebbe una caccia alle streghe nelle campagne di tutti i film nominati. Senza dimenticare che, al momento, non ci sono prove che l’attrice abbia commesso illeciti, né denunce formali contro la sua campagna.
A questo proposito vale la pena ricordare che tra gli addetti ai lavori è risaputo come esistano agenzie di PR specializzate nella diffusione di fake news e rumors per delegittimare gli avversari, che vengono puntualmente utilizzate da studios e star. Questo è il regolare livello di scorrettezza ammesso durante le campagne per ottenere una nomination agli Oscar.
Perché nessuno ha denunciato la campagna di To Leslie, se ha infranto le regole?
Le prove le hanno proprio i votanti che hanno chiamato per lamentarsi. Sono loro ad avere le email, il registro delle chiamate ricevute. Secondo gli insider però nessuno si fa avanti direttamente perché nessuna campagna è davvero sicura di passare un esame approfondito. Le regole dell’Academy infatti vengono costantemente disattese o quanto meno ammorbidite, con azioni più o meno plateali.
C’è inoltre un potenziale conflitto d’interesse anche nel consiglio di amministrazione dell’AMPAS, a cui siede Whoopi Goldberg, attrice e produttrice in Till, il film per cui Danielle Deadwyler non è riuscita a ottenere una nomination. Goldberg può giudicare imparzialmente l’affaire To Leslie, alla luce del fatto che ha speso lavoro, visibilità e soldi per ottenere una nomination per la protagonista del film da lei prodotto?
Il problema poi, come ben raccontato dai giornalisti del settore, passa a un livello successivo. La campagna di To Leslie è particolarmente aggressiva nel riproporre quello che gli studios fanno per i loro film e attori candidati. Cene, incontri privati, proiezioni a cui seguono gli incontri coi protagonisti, disponibili a rispondere a domande, firmare autografi, fare selfie.
Non bisogna dimenticare che arrivare agli Oscar significa ottenere una visibilità e un riconoscimento senza precedenti o eguali. Significa assegni più sostanziosi per gli attori, opportunità mainstream per i registi, ma soprattutto sapere che dentro l’industria cinematografia si ha un ruolo, si hanno degli amici. L’Oscar è uno splendido riflesso della logica clientelare che vige a Hollywood, in cui la conoscenza e le connessioni contano tanto se non più del talento e della bravura, in cui sopra a tutto però regna il denaro.
Non si può comprare un’Oscar, ma si può spendere molto denaro per muoverlo nella propria direzione.
Andrea Riseborough ha ottenuto il sostegno della Hollywood bianca, scatenando le proteste della comunità afroamericana e degli attivisti, che spesso hanno dimostrato di sapere poco di questioni cinematografiche e studios. Andrea Riseborough non fa parte di un elite, né in Inghilterra né in America. Sua madre faceva la segretaria, il padre vendeva auto in una concessionaria. Non è una nepo baby, né fa parte di una famiglia ricca.
La comunità bianca hollywoodiana si è spesa per un’attrice bianca. Si può anche ribaltare la questione: la comunità di coloro che fanno parte della A list, delle stelle di prima fascia, si è spesa per una collega e un’amica che non aveva la visibilità delle rivali né un grande studios alle sue spalle. Ritrarre una Viola Davis - che il razzismo sistemico lo conosce da vicino - come vittima di una Andrea Riseborough appare sproporzionato nel 2023, considerando che la prima è protagonista di un blockbuster costato 50 milioni di dollari e, a differenza di Riseborough, non ha bisogno di presentazioni, oltre ad avere già vinto un’Oscar.
Diverso il caso di Danielle Deadwyler per Till, la protetta di Whoopi Goldberg. Come Andrea Riseborough è un’attrice in cerca di consacrazione, ma il suo film gode di una distribuzione internazionale di Universal, di 20 milioni di budget e appunto della presenza di un grande nome come Whoopi Goldberg, che in qualità di membro molto influente dei governors dell’AMPAS conosce tutta la Hollywood che conta e può spendersi direttamente per lei.
Non bisogna poi dimenticare che c’è un’altra nomination sorprendente, legata a un piccolo film, che quasi nessuno aveva pronosticato: quella di Brian Tyree Henry come miglior attore non protagonista nel film Causeway. Forte dell’interessamento e dei capitali di Apple (che l’anno scorso è riuscita a spostare abbastanza voti da permettere a un film quasi sconosciuto come CODA di vincere la statuetta come miglior film), l’attore afroamericano, una delle promesse ancora poco note di Hollywood, ha ottenuto una nomination per un film il cui scopo doveva essere riportare sulle scene da protagonista Jennifer Lawrence dopo un periodo lontano dalle scene. I pochi dettagli disponibili sulla sua campagna suggeriscono come abbia puntato sui membri afroamericani dell’Academy, con un più silenzioso e probabilmente ben più danaroso programma di cene, eventi, email e screening.
Di fatto tutte le comunità rappresentate dall’AMPAS (nazionali, etniche, continentali, divise per genere e orientamento sessuale) alla bisogna si compattano per favorire un nome di loro interesse. Scorsese per esempio spesso si spende per i candidati italiani con cene e proiezioni dedicate, in onore alle sue radici.
La campagna di To Leslie quindi fa semplicemente più rumore perché svolta almeno parzialmente da non professionisti, che si muovono in maniera meno raffinata e più palese per ottenere il proprio scopo.
Cosa cambia il caso Andrea Riseborough
In molti considerano il caso Andrea Riseborough come un punto di non ritorno. L’AMPAS sarà chiamata probabilmente a rivedere il proprio regolamento, molto complesso e farraginoso, per aggiornarlo alle logiche dell’era di internet e dei social media, che sono stati cruciali per la nomination di Riseborough. La campagna di To Leslie è stata semplicemente la prima spregiudicata o accorta abbastanza da sfruttare in maniera estensiva la finestra di votazione e il tam tam gratuito che un tweet può generare.
Non bisogna dimenticare che l’Academy intera è un’organizzazione complessa e con un bilancio interno. I cento milioni di dollari che ogni anno l’emittente Abc paga per trasmettere gli Oscar (i cui ascolti sono in costante calo da anni) sono fondamentali alla sua sopravvivenza. La credibilità del premio è intrinsecamente correlata al suo valore percepito,cruciale per battere cassa e finanziare l’AMPAS stessa.
Su questo delicato problema s’iscrive quello ancora più complesso del razzismo intrinseco a Hollywood. Vale la pena sottolineare come in questo caso specifico l’accusa di razzismo venga usata come arma per colpire un avversario senza però assumersi l’onere di metterci la faccia, rischiando così poi di sottoporsi allo stesso scrutinio. In generale fa riflettere come le star bianche siano state tacciate di razzismo per non aver scelto una non caucasica per mobilitarsi in massa, senza però tener in considerazione i rapporti di potere tra film prodotti dagli studios e titoli indipendenti.
Un fattore interessante da considerare è come in questo caso l’accusa di razzismo possa condizionare le decisioni dell’AMPAS ai danni di chi sta fuori dalla logica degli studios e dalle super-potenze streaming. Viola David per esempio è sempre molto vocale sul fatto che il suo Oscar vinto non sarebbe il solo sulla sua mensola se lei non fosse nera.
Gli Oscar però sono espressione di un altro potere: quello statunitense. Vogliono rappresentare il cinema mondiale, ma di fatto sono un premio di carattere quasi nazionale, le cui contorte regole lasciano poco più di uno spiraglio per film non statunitensi e non anglofoni.
Esiste però un vastissimo mondo cinematografico - bianco e non - al di fuori di Hollywood che fatica a essere preso in considerazione a rappresentato dagli Oscar. Andrea Riseborough, che pure è anglofona, pure è bianca e pure ha già recitato in pellicole da Oscar come Birdman, ha avuto bisogno di una mobilitazione senza precedenti da parte di decine e decine di colleghi per poter entrare nella discussione riguardante le nomination, laddove avere un santo in paradiso all’AMPAS o un passaporto americano rende tutto molto, molto più semplice.
Sarebbe forse il caso di puntare i fari su esclusioni che parlano di un altro tipo di trascuratezza, ai danni di chi bianco e americano non è. Nonostante infatti in parecchie star si siano spese davanti e dietro ai riflettori per Dolly de Leon, attrice filippina nominata ai BAFTA per il suo ruolo in Triangle of Sadness, l’interprete non è riuscita a conquistare una nomination come miglior attrice non protagonista. Il film per cui ha ricevuto recensioni stellari, forte del consenso europeo alla pellicola e della Palma d’Oro vinta a Cannes, ha sbancato in categorie difficilissime come miglior film, miglior sceneggiatura, ma soprattutto miglior regia. L’esclusione di De Leon dopo una lunga campagna però non ha portato ad alcuna indignazione al di fuori della comunità cinefila.