Clint Eastwood: Perchè si
Mentre Hollywood si prepara alla serata più scintillante e American Sniper supera la soglia dei 300 milioni di dollari al botteghino americano, risultato così inaspettato e importante da rendere la Warner Bros meno vulnerabile alla catastrofe annunciata e rinviata il più possibile di Jupiter Ascending, c'é già un grande vincitore del 2014 cinematografico americano: Clint Eastwood.
All'indomani delle nomination American Sniper si é rivelato un successo inaspettato anche agli Oscar, rastrellando più nomination del previsto e inserendosi in alcune categorie di peso pur senza godere del sigillo di prestigio del cinema autoriale o di un'interpretazione memorabile e magistrale dei suoi protagonisti.
I più malevoli hanno subito evidenziato come un film tanto americano, nel senso più rassicurante e acritico del termine, fosse destinato a incontrare il favore della fetta di Academy più conservatrice. Difficile dare torto a queste voci, ma sta di fatto che Clint Eastwood si rivela ancora una volta un nome affidabile ed inossidabile nella corsa agli Oscar.
Prima come attore, poi come regista, il grande vecchio del cinema americano non ha rivali sul piano della longevità. La sua carriera di regista ha ovviamente conosciuto momenti più o meno brillanti, certo, ma é figlia di un'incredibile capacità di rinnovarsi rimanendo fedeli a se stessi.
Prendiamo American Sniper, bollato da molti come un film di propaganda, retorico, conservatore e repubblicano, la storia di un grande eroe americano battuto dai suoi fantasmi più che dal nemico arabo.
Questa però é una lettura riduttiva, che non tiene conto della capacità di Eastwood di confrontarsi ogni volta con le tematiche più sentite nel circuito cinematografico americano. I racconti di guerra dei Navy SEALS ormai fanno categoria a sé e non hanno mancato mai l'appuntamento agli Oscar degli ultimi anni. Truppe d'elite tra leggenda e masochismo, capaci d'imprese impossibili eppure incapaci di evitare l'inevitabile, ovvero la sconfitta nella guerra in Iraq e Afghanistan, sono il paradosso evidente della debolezza di una nazione che vuole sentirsi forte, in cui il cinema continua a specchiarsi.
Confrontandosi su un tema di così stretta attualità i grandi nomi della regia americana hanno espresso se stessi; c'é l'inquietudine e la durezza di Zero Dark Thirty, l'eroismo patriottico e patinato di Lone Survivor e ora la voce di Eastwood, che ancora una volta riconduce tutto il presente e il futuro della sua nazione al grande spirito originario degli Stati Uniti.
Il Chris Kyle interpretato da un taurino Bradley Cooper é un americano senza compromessi e sfaccettature, tutto d'un pezzo, creato, forgiato e distrutto lontano dal fronte, nella sua terra natia.
Il fronte é la causa esterna che lo rende un eroe, il suo paese quella interna che gli dà una direzione nella vita ma che poi esige che ne paghi un tributo. Tutto questo é l'essenza stessa del cinema di Clint Eastwood, un miscuglio quasi sempre infallibile di durezza e purezza americana, capace di essere rassicurante senza perdere la propria durezza.
All'indomani delle nomination American Sniper si é rivelato un successo inaspettato anche agli Oscar, rastrellando più nomination del previsto e inserendosi in alcune categorie di peso pur senza godere del sigillo di prestigio del cinema autoriale o di un'interpretazione memorabile e magistrale dei suoi protagonisti.
I più malevoli hanno subito evidenziato come un film tanto americano, nel senso più rassicurante e acritico del termine, fosse destinato a incontrare il favore della fetta di Academy più conservatrice. Difficile dare torto a queste voci, ma sta di fatto che Clint Eastwood si rivela ancora una volta un nome affidabile ed inossidabile nella corsa agli Oscar.
Prima come attore, poi come regista, il grande vecchio del cinema americano non ha rivali sul piano della longevità. La sua carriera di regista ha ovviamente conosciuto momenti più o meno brillanti, certo, ma é figlia di un'incredibile capacità di rinnovarsi rimanendo fedeli a se stessi.
Prendiamo American Sniper, bollato da molti come un film di propaganda, retorico, conservatore e repubblicano, la storia di un grande eroe americano battuto dai suoi fantasmi più che dal nemico arabo.
Questa però é una lettura riduttiva, che non tiene conto della capacità di Eastwood di confrontarsi ogni volta con le tematiche più sentite nel circuito cinematografico americano. I racconti di guerra dei Navy SEALS ormai fanno categoria a sé e non hanno mancato mai l'appuntamento agli Oscar degli ultimi anni. Truppe d'elite tra leggenda e masochismo, capaci d'imprese impossibili eppure incapaci di evitare l'inevitabile, ovvero la sconfitta nella guerra in Iraq e Afghanistan, sono il paradosso evidente della debolezza di una nazione che vuole sentirsi forte, in cui il cinema continua a specchiarsi.
Confrontandosi su un tema di così stretta attualità i grandi nomi della regia americana hanno espresso se stessi; c'é l'inquietudine e la durezza di Zero Dark Thirty, l'eroismo patriottico e patinato di Lone Survivor e ora la voce di Eastwood, che ancora una volta riconduce tutto il presente e il futuro della sua nazione al grande spirito originario degli Stati Uniti.
Il Chris Kyle interpretato da un taurino Bradley Cooper é un americano senza compromessi e sfaccettature, tutto d'un pezzo, creato, forgiato e distrutto lontano dal fronte, nella sua terra natia.
Il fronte é la causa esterna che lo rende un eroe, il suo paese quella interna che gli dà una direzione nella vita ma che poi esige che ne paghi un tributo. Tutto questo é l'essenza stessa del cinema di Clint Eastwood, un miscuglio quasi sempre infallibile di durezza e purezza americana, capace di essere rassicurante senza perdere la propria durezza.