Mufasa sarà differente da Il re leone - in meglio: nella Savana con il papà di Simba

Ho visto in anteprima mezz’ora di montaggio del film Disney che racconta la storia di Mufasa, il padre di Simba ne Il re leone: eccome cosa aspettarsi da questo prequel.

di Elisa Giudici

Mufasa sarà abbastanza differente da Il re leone di Jon Favreau, il film che ha fatto muovere, parlare e cantare in tre dimensioni i personaggi del classico animato Disney. Pur essendo il prequel di quella pellicola, il film diretto da Barry Jenkins promette di avere una marcia in più rispetto al suo predecessore, o almeno questa è l’impressione che se ne ricava dopo aver visto i primi 39 minuti della pellicola mostrata in anteprima da Disney.

Mufasa è un titolo su cui la Casa del Topo punta molto: in uscita in Italia il 19 dicembre 2024, sarà uno dei titoli del Natale al cinema, vicino al tradizionale pubblico delle famiglie e dei bambini che attendo il tradizionale appuntamento al cinema con le storie di Disney. La sorpresa più grande - e la migliore - è che la mano del regista premio Oscar Barry Jenkins si sente eccome e spinge questo prequel in una direzione inaspettata e potenzialmente molto promettente.


Mufasa non è solo una costola di Il re leone

Quando si parla di Simba, di Mufasa e di Scar esistono due percezioni differenti, in genere dettate dall’età anagrafica dello spettatore. Per i trenta-quarantenni di oggi, per la generazione dei millenials, Il re leone è il classico animato del 1994 che hanno consumato in videocassetta o che spesso sancisce la prima uscita al cinema con mamma e papà. Sono queste le storie che per esempio hanno raccontato Luca Marinelli ed Elodie, due delle voci italiane del cast di doppiatori di Mufasa.

Per i piccoli di oggi invece Il re leone è quello del 2019, che magari hanno visto durante la pandemia sul divano con mamma e papà su Disney+. Diretto e prodotto dal regista Jon Favreau, è un remake invero molto pedissequo del film animato con tecnica tradizionale, tradotto spesso scena per scena, dalla regia alle musiche.

Il suo punto di forza, il suo carattere distintivo (e l’unica novità di rilievo introdotta) è il fotorealismo delle animazioni. Stavolta infatti i leoni sono ricreati con tecniche digitali così avanzate da avvicinare una dimensione quasi documentaristica, alla National Geographic, per intenderci. Un approccio che ha creato una serie di sfide tecniche e contrasti visivi non da poco: come dare l’impressione che per esempio che un leone apra le fauci per cantare, se non è una versione semplificata, a due dimensioni e con un character design vicino al mondo dei cartoni animati ma un modello così simile alla realtà da ingannare l’occhio umano a tratti?

Mufasa riparte da qui e, per molti aspetti, è più vicino al film del 2019 che al classico del 1994, almeno sulla carta. Nei primi 39 minuti mostrati alla stampa però si capisce che, pur essendo un prequel, funziona quasi da ponte tra i tre titoli cinematografici di casa Disney, creando connessioni e rimandi solidi.

L’incipit e la trama di Mufasa

La cornice qui è quella fiabesca delle storie della buonanotte, che fa da raccordo tra Il film del 2019 e una storia che inizia molti, molti anni prima. Simba e Nala hanno lasciato la Rupe dei Re per il parto imminente della leonessa e la loro primogenita, Kiara, si ritrova da sola, impaurita dal temporale, senza mamma e papà al fianco.

Come babysitter d’eccezione ha Timon e Pumbaa, che tentano di allietarla raccontando una versione decisamente ritoccata della battaglia finale tra il suo papà e il malvagio zio Scar. Arriva a sorpresa Rafiki, dalle cui parole prende il via una storia molto differente, che punta a riscrivere la nostra percezione del nonno di Kiara e di una delle figure paterne più iconiche dell’universo Disney: Mufasa.

Il classico del 1994 lo ha impresso nella memoria collettiva come una figura nobile nell’animo e nel portamento, severo ma anche affettuoso nei confronti del figlio. Un re carismatico e forte, tradito da chi gli era vicino: shakesperiano, per ispirazione (Amleto) e per toni.

Vent’anni dopo Rafiki ci racconta i suoi inizi umili, perché la nobilità d’animo di Mufasa non è accompagnata da alcun diritto di nascita, ma da una genesi da vero personaggio Disney, crudelmente separato dai suoi genitori. Mufasa in un certo senso ribalterà la nostra percezione del padre di Simba: non un re che discende da re, ma il carismatico fondatore di una dinastia. Sin dall’avvio però il film in un certo senso rimarca e conferma l’eccezionalità del suo personaggio, contraddistinto da una grande nobiltà d’animo, dalla capacità di dimostrare apertamente il suo affetto a chi gli sta accanto e da un grande coraggio.

Taka sarà un personaggio chiave di Mufasa

C’è una citazione come unica concessione al film originale, ma che funziona, a sorpresa. Introduce un personaggio chiave della pellicola: Taka, un leoncino che salva il piccolo Mufasa in un momento di difficoltà e che lo proclama suo fratello, suo consigliere e amico, nonostante la contrarietà del padre, che teme sopra ogni cosa la dispersione del sangue reale, l’attacco di traditori al suo branco.

Taka è il contraltare di Mufasa: è ugualmente nobile d’animo, altruista, ma al contempo manca del coraggio del protagonista. Taka è destinato a diventare re, ma a differenza di Mufasa è ancora inconsapevole del fardello che questo ruolo comporta. Mufasa, mal accettato dal capobranco e costretto a crescere con le leonesse, non dimostra l’ambizione a diventare re, ma nei momenti cruciali finisce per rendere palese quanto sarebbe all’altezza del compito.

Il legame tra Mufasa e Taka avrà una svolta decisiva nella prima mezz’ora del film, quando entreranno in scena i cattivi della pellicola: un gruppo di leoni bianchi di grandi dimensioni, decisi a sfidare i capobranco del territorio. Feroci e spietati, sono preceduti da leggende circa la loro crudeltà. Un attacco a un gruppo di antilopi di entrambi i gruppi di leoni - quello che ha adottato Mufasa e quello dei leoni bianchi - finisce per essere il casus belli dello scontro e dei futuri affanni di Mufasa.

Taka si ritrova quindi a condividere il destino di Mufasa - lontano dalla propria famiglia, il destino da re cancellato e da qui sembra avviarsi la trama principale del film.

Il concetto di Milele

Il film è ovviamente accompagnato da una ricca colonna sonora, con tanti brani inediti cantati dai protagonisti e firmati dal compositore Lin-Manuel Miranda. Tra i tre pezzi sentiti all’anteprima occupa uno spazio rilevante (più narrativo che musicale, bisogna ammettere) quello dedicato al Milele.

Milele significa "per sempre" ed è un concetto di natura spirituale che sembra essere centrale nella narrazione di Mufasa. Come spiegano i genitori al piccolo, Milele è una sorta di paradiso che sta oltre i confini delle terre baciate dal sole. La famiglia sta migrando per sfuggire a una siccità tale che il piccolo Mufasa non ha mai visto la pioggia. Il Milele però è una sorta di condizione mentale, una fantasia rifugio attraverso cui vedere un mondo più accogliente e gentile, anche laddove è desolante.

In questa sequenza si vede in particolare il tocco di Barry Jenkins, il regista premio Oscar per Moonlight. Una scelta registica fortemente voluta da Disney e inaspettata, ma che dà a Mufasa quel tocco in più, quell’approccio fresco di cui una costola di un franchise già oggetto di remake ha disperatamente bisogno.

In questa sequenza in cui i genitori di Mufasa lo aiutano a immaginare un mondo differente, più armonioso e bello, ci sono numerosi elementi immaginifici e onirici. Jenkins, che ha dovuto imparare a dominare un mondo come quello del cinema d’animazione che non gli è familiare, si dimostra in grado di introdurre in una storia così tradizionale e mainstream quella sensibilità romantica e quella delicatezza familiare e intima che ne contraddistinguono il cinema autoriale.

Spinto da una storia originale di cui conosciamo il finale (ma non l’evoluzione) e dal tocco del suo regista, Mufasa convince proprio perché spesso sa di qualcosa di nuovo e fresco, almeno per quanto possa farlo un film così inserito in una logica prettamente commerciale d'espansione di un franchise. L’impressione è che il film sia scritto e diretto in maniera solida e abbia davvero per le mani una storia che vale la pena di ascoltare.

Non mancano poi inserti allineati al gusto del cinema contemporaneo, portati per lo più da Timon e Pumbaa che (esattamente come nel film degli anni ‘90), ogni tanto rompono la quarta parete con frecciatine intertestuali rispetto al successo della loro hit Hakuna Matata, tanto da citare avvocati e copyright. In questi passaggi si sente, fortissima, l’influenza del cinemato contemporaneo, mentre il resto della storia è più classico e tradizionale, attento a introdurre tematiche attuali ma senza farvi riferimento diretto.

Così come Twisters infatti il film in avvio affronta una tragedia scatenata non da uno bensì da due eventi climatici davvero estremi, guardandosi però da collegarli in alcun modo al discorso sul cambiamento climatico. È un modo per tenere il piede in due scarpe: affrontare l’attualità ma senza accarezzare in contropelo chi legge in queste tematiche una connotazione politica forte.