Ethan Hawke sul cinema commerciale "Se diamo priorità al denaro sull'arte, non avremo più film che sappiano provocare"
Blue Moon racconta la storia di un’artista che se la prende con “l’arte inoffesiva”: Ethan Hawke ricorda che il cinema “offensivo” va sostenuto, sennò scomparirà.

"Pressioni sul rendere questo film più accessibile o semplice non ce ne sono state, perché Blue Moon è un film a basso budget", spiega Richard Linklater, che presenta la sua ultima collaborazione con 'l'attore e musa Ethan Hawke in concorso a Berlino. In conferenza stampa ci sono anche Andrew Scott e Margaret Qualley, che completano il casti di un film biografico che ricostruisce la notte del 31 marzo 1943, l'inizio della fine per la carriera artistica e la vita privata del celebre paroliere Lorenz Hart.
Un film sperimentale e dolce amaro, che riflette anche su come l'industria dell'intrattenimento tende a sostenere i prodotti artistici più inoffensivi, perché il pubblico tende a reagire all'escapismo più che a progetti che lo mettano alla prova. "Se sostenessimo 'l'arte offensiva' - spiega Hawke - sicuramente vedremmo più film arditi sui nostri scherzi".
Da dove nasce questo progetto e soprattutto, cosa volevi ottenere dal raccontare la notte che segna l’inizio della fine per Hart?
Richard Linklater - Lo scopo superficiale e immediato di questo film è quello di raccontare il rapporto di amicizia professionale tra il paroliere Lorenz Hart e il compositore Richard Rodgers nella notte in cui il primo vede l’inizio della fine della sua carriera e della sua vita mentre l’altro celebra il trionfo del musical che lo consacrerà: Oklahoma! Tra gli obiettivi che mi ero posto, uno dei più difficili, c’era quello di rendere questo film l’equivalente di una canzone figlia della collaborazione di due personalità così differenti. Volevo che il film come la loro musica fosse interessante, invitante, ma anche ricco di spunti complessi.
Come ti sei preparato al ruolo di Lorenz Hart?
Ethan Hawke - Per prepararti a un ruolo del genere ci lavori tantissimo, è un po’ come affrontare un personaggio del corpus di Shakespeare, no? Potrei dirti che la cosa più impegnativa e rappresentativa dell’esperienza è stata, che ne so, rasarmi i capelli e farmi il riportino, ma non è vero. La sfida più grande è stata dare vita in maniera organica, naturale, apparentemente senza sforzo a dialoghi che su schermo scorrono in qualche minuto ma che nella realtà sono 37 pagine fitte fitte di copione scritto da Robert Kaplow.

Cosa ti ha convinto a entrare in questo progetto?
Andrew Scott - Quello che mi ha colpito di questo film è l’atmosfera unico del momento scelto. Il mio personaggio Richard Rodgers sta festeggiando un trionfo alla prima di Oklahoma!, un musical che ha cambiato la storia del genere negli Stati Uniti. È un contesto strano e sfidante per parlare di amore, amicizia professionale e umana come fa questo film, è una vera sfida. È molto realistico che continuino a venire interrotti mentre tentano di conversare.
Ad affascinarmi è proprio il contesto: la festa dopo la prima di un musical somiglia alla premiere di un film a un festival. In quanto parti interessate, le sensazioni sono strane. Ti senti euforico, specie se capisci che sta andando bene, ma anche stranamente esposto, vulnerabile. Tutti ti vogliono parlare, si vogliono congratulare e tu cerchi di stare sulle tue, perché senti che è anche un momento di debolezza. Questo Blue Moon lo racconta bene.
Sei la più giovane nel cast e interpreti l’unico personaggio appartenente alla generazione giovane presente nel film. Come attrice, come è stato relazionarsi a un cast formato esclusivamente da persone più grandi?
Margaret Qualley - Quando avevo l’età di Elizabeth nel film, i film che Richard ha fatto insieme a Ethan sono stati una sorta di bussola per scoprire cosa mi piacesse al cinema, certo, ma anche capire chi fossi. Per me quindi è stato un grande onore poter far parte di una loro collaborazione in quanto professionista.
Mi sono seduta, ho aperto occhi e orecchie e ho seguito le loro indicazioni, cercando di imparare il più possibile, seguendo le indicazioni che mi venivano date. Ovviamente, come mi aspettavo, ho imparato tantissimo.
Ethan Hawke - Margaret era ovviamente la più giovane tra di noi sul set, è il punto del suo personaggio, no? Credo che lei come Elizabeth non si renda bene conto di quanto abbia dato a quest’impresa. I giovani delle nuove generazioni spesso lavorano dando tutti sé stessi, senza trattenersi, senza mantenere uno spazio sicuro per sé stessi, mettendosi completamente a disposizione. Non si rendono conto di quanto sia un regalo enorme che le persone della mia età raramente fanno, perché hanno imparato quanto possa costare in termini umani e sono abituate a essere più guardinghe, a proteggersi di più.
Il film s’intitola Blue Moon, come la canzone più popolare tra quelle scritte da Hart. Che però nel film racconta come sia un compromesso semplicista al ribasso del loro che lui aveva presentato.
Richard Linklater: Hart ha avuto un’enorme fortuna: è nato al momento giusto, nel piccolo delle produzioni teatrali. Ha scritto qualcosa come canzoni per 50 show, un ritmo impesanbile oggi. All’epoca invece di musical se ne facevano tantissimi.
Eppure il suo successo più famoso viene da Hollywood, come spiega alla fine del film. Da Hollywood e dalla richiesta di un produttore di rendere meno complicati i sentimenti che racconta. Loro era professionisti, come noi sapevamo che devi trovare il modo di esprimerti dentro il tuo lavoro con abbastanza immediatezza per arrivare al pubblico, anche e ogni tanto ti fa soffrire.
Nel film si parla di “arte inoffensiva”, che conquista il pubblico proprio perché lo rassicura e gli dà poco. Difficile non pensare a Hollywood di fronte a un’affermazione come questa no?
RIchard Linklater - Temo di non avere niente di originale da dire sul tema. Se mi ponessi la stessa domanda alle 2 del mattino con qualche drink in corpo forse avrei qualcosa in più da dire. (ride) Nel caso di Blue Moon comunque pressioni non ce ne sono state di alcun tipo perché questo è un film indie a basso budget quindi sul set facevamo quello che volevamo.
Non che manchino autentiche storie dell’orrore a Hollywood in merito, specie quando l’industria cinematografica diventa una sorta di collusione tra arte e commercio.
Ethan Hawke - Nel nostro mondo tutto è dominato dal denaro, dal commercio. Se le persone vogliono un’arte sfidante, un’arte offensiva, devono muoversi di conseguenza. Se si palesasse un mercato per l’equivalente odierno della musica punk, per dire, sicuramente l’offerta comparirebbe all’orizzonte. Il problema è che si va sempre in direzione opposta no?
Come vi siete preparati a questo film? È ispirato a un corpus di lettere tra Hart e la sua “insostituibile Elizabeth” ma somiglia molto a una piece teatrale e parla tanto di teatro.
RIchard Linklater - L’abbiamo provato una volta e poi abbiamo cominciato a girare. Anche se è molto teatrale, ne convengo, è stata un’esperienza molto intima sul set. Se fosse uno spettacolo teatrale, l’avrebbero recitato dolo per me. L’atmosfera era molto intima, raccolta, come una chiacchierata tra vecchi amici.
Al cinema d’altronde non facciamo altro che questo: prendiamo una cosa “artificiale” che abbiamo costruito con le parole e renderla vera e palpitante per chi la guarderà.