Frankenstein Junior: come nacque il cult che compie 50 anni

Aneddoti, curiosità e genesi di un cult movie

di Chiara Poli

Da noi arrivò nel luglio del 1975, ma in patria, gli Stati Uniti, uscì nelle sale il 15 dicembre del 1974.

Young Frankenstein, Frankenstin Junior nella versione italiana, sta per compiere 50 anni. Mezzo secolo di cult movie che ha divertito generazioni e che ancora oggi, dopo tutto questo tempo, mantiene intatta la sua freschezza, la sua originalità e soprattutto la sua genialità.

Proprio in occasione del 50° anniversario tornerà, in versione restaurata, nelle sale italiane il 29 e il 30 ottobre.

Ma nella tradizione televisiva del nostro Paese, da decenni Italia 1 lo trasmette nel corso delle vacanze natalizie. Conquistando sempre una larga fetta di pubblico nonostante le molte edizioni in home video, le piattaforme streaming e la TV on demand: quando c’è Frankestein Junior in TV lo si riguarda. Punto.

Ma com’è nato questo capolavoro di comicità, firmato da Mel Brooks e scritto dal regista insieme al protagonista Gene Wilder?

Amici, colleghi, geni della comicità


L’autobiografia di Gene Wilder, Baciami come uno sconosciuto, che consiglio a tutti i fan del grande attore e autore, ci racconta la storia di un uomo che ha fatto della volontà di divertire e divertirsi una missione per la vita. La parte più celebre e fortunata della sua carriera cinematografica si lega alla proficua collaborazione con Mel Brooks, di cui fu grande amico.

Ormai leggendaria la litigata furiosa che i due ebbero proprio per Frankenstein Junior, perché Wilder - co-autore della sceneggiatura nonché ideatore del film - insisteva che il dottore Frankenstein e la sua creatura dovessero esibirsi in un numero musicale di fronte al pubblico, a conferma di quanto eccezionale fosse la sua creazione riportata in vita.

Mel Brooks, invece, pensava che fosse una sequenza troppo eccentrica, fuori contesto, e che avrebbe addirittura spezzato il ritmo narrativo annoiando il pubblico.

La discussione continuò a lungo, per poi finire quando Wilder fece una proposta all’amico: avrebbero girato la sequenza musicale e poi, se rivedendola non fosse stata convincente, l’avrebbero eliminata senza pensarci due volte. La frase di Brooks dopo la visione del numero musicale di Putting on the Ritz, ha fatto storia: “Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia”.

Non a caso, come accennato, fu Wilder ad avere l’idea iniziale per il film. Mel Brooks si unì al progetto solo in seguito. Sulla base del romanzo gotico di Mary Shelley, Wilder iniziò a lavorare a un copione incentrato su uno dei discendenti di quel dottor Frankenstein, l’uomo che nell’opera della Shelley aveva sconfitto la morte.

Quando inviò le prime pagine al suo agente, fu lui a consigliare a Wilder di coinvolgere Mel Brooks nel progetto: l’avrebbe aiutato a realizzare la sceneggiatura perfetta e avrebbe diretto il film nel modo più funzionale e riuscito per un’idea come quella.

Galeotto fu il West


Incredibile ma vero, inizialmente Brooks non si dimostrò entusiasta dell’idea di Frankenstein Junior. Avendo voluto Wilder come interprete sul set di Blazing Saddles, Mezzogiorno e mezzo di fuoco, Mel Brooks dovette accettare - questa era la condizione per la sua partecipazione - di lavorare con lui anche per il film successivo. Sul set di Mezzogiorno e mezzo di fuoco, durante una pausa, Gene Wilder colse il momento opportuno per parlare di nuovo a Mel Brooks della sua idea su Frankenstein, un discendente che rinnegava il lavoro dell’antenato, vergognandosene. Fu questo a convincere Brooks che l’idea aveva del potenziale: non un nipote che voleva replicare il lavoro del nonno, ma uno scienziato che lo riteneva vergognoso… Per poi farsene coinvolgere.

L’idea alla base di Frankenstein Junior era pronta. I due si misero a lavorare insieme alla sceneggiatura, coinvolgendo nel progetto gli amici di Wilder Marty Feldman e Peter Boyle e il resto, come si suol dire, è storia.

Dopo un secco “no” ricevuto da Columbia Pictures, che non voleva saperne del bianco e nero e soprattutto non voleva concedere al film il budget richiesto, Brooks contattò la 20th Century Fox, che ebbe l’occhio lungo e accettò di produrre il film così come lo volevano i suoi autori.

Omaggio ai mostri degli anni ’30


Gli storici horror della Universal degli anni ’30, pietre miliari del cinema di genere ancora oggi, avevano dedicato a Frankenstein, il film di James Whale del 1931 in cui il mostro era interpretato dal grande Boris Karloff. L’enorme successo della creatura portò a una lunga serie di sequel, ma già negli anni ’10 e ’20 c’erano stati degli adattamenti, meno fortunati e riusciti, dell’opera di Mary Shelley.

Ma dopo Whale arrivarono La moglie di Frankenstein (1935), Il figlio di Frankenstein (1939), Man Made Monster (1941), Il terrore di Frankenstein (1942), Frankenstein contro l’Uomo Lupo (1943), La casa di Frankenstein (1944) e tanti altri.

Il nipote di Frankenstein, in effetti, ancora mancava. Fu questo a dare a Brooks l’idea del look visivo del film. L’uso del bianco e nero, scelta all’epoca inusuale, l’ambientazione in quel mondo da cui il Frankenstein cinematografico aveva avuto origine, costumi e scenografie che rendevano omaggio ai grandi classici. E, come previsto, fu proprio questo a rendere Frankenstein Junior il supercult che oggi conosciamo: si ricostruiva un’epoca, un’atmosfera cara a tutti gli amanti del cinema, e la si dissacrava con una parodia divertentissima.

Brooks si mise alla ricerca degli oggetti di scena utilizzati sui set dei film di Whale, e inserì in sceneggiatura personaggi prelevati da quelle stesse pellicole - Igor, com’è noto, viene da Il figlio di Frankenstein.

La ricerca di Brooks lo portò in contatto con Ken Strickfaden, il responsabile degli effetti speciali del primo Frankenstein di Whale. Era stato lui a creare l’elaborato meccanismo che trasferiva alla creatura l’energia derivata dai fulmini e, incredibile ma vero, aveva ancora tutta l’attrezzatura usata sul set conservata in garage. Brooks la noleggiò, promettendo di restituirgliela senza un graffio, e inserì il nome di Strickfaden nei titoli, per rendere omaggio al suo lavoro geniale.

Nascita di un mito


Sono moltissimi gli aneddoti sulla realizzazione di Frankenstein Junior. A cominciare dal modo in cui Gene Hackman venne coinvolto nel progetto: giocava molto spesso a tennis con Wilder, che gli raccontò del film. Il “duro” Hackman pensò di mettersi alla prova in un genere per lui ancora inedito, un film comico, e chiese un ruolo in Frankestein Junior. Ottenne quello dell’uomo cieco che ospita la creatura.

E ancora: ci fu molta improvvisazione sul set. Molte delle battute di Inga (Teri Garr), Igor (Marty Feldman) e Frau Blucher (Cloris Leachman) nacquero spontaneamente, rivelandosi così funzionali da essere poi inserite nella sceneggiatura.

Noto è anche come gli Aerosmith, che stavano lavorando al nuovo album, andarono a vedere il film che ispirò la scrittura, il giorno dopo, di uno dei loro pezzi più famosi: Walk This Way, tratto dalla scena in cui Fredrick (Wilder) segue i passi di Igor. Nella versione italiana la scena è nota come “segua i miei passi”, con Fredrick che imita l’andatura di Igor col bastone, mentre in inglese la frase iconica che Igor pronuncia è:

Walk this way… This way.

Abbastanza per ispirare Steven Tyler a scrivere uno dei pezzi storici degli Aerosmith.

Fra le comparse che interpretano gli abitanti del villaggio c’è anche Clement von Franckenstein, vero discendente della nobile casata dei Franckenstein, da cui Mary Shelley prese il nome del protagonista del suo romanzo.

Il proverbiale “enorme Schwanzstücke” viene da un termine che si traduce, in tedesco, letteralmente come “pezzo di coda”. Ma Schwanz è un termine gergale tedesco che indica il membro maschile. Così il gioco di parole risultava perfetto.

L’attrice Madeline Kahn aveva fatto il provino per il ruolo di Inga, ma suggerì a Brooks che la sua interpretazione della fidanzata di Fredrick sarebbe stata più adatta. Anche perché la Kahn era una celebre cantante e aveva studiato canto lirico, cosa che come sapete risultò molto utile dopo il suo incontro con il “mostro”… Così Brooks si trovò a dover rifare il casting per Inga, arrivando a scegliere l’attrice perfetta per il ruolo, Teri Garr.

Il cervello che Igor viene mandato a rubare è etichettato come appartenente a Hans Delbrück “scienziato e santo”. Hans Delbrück era uno storico militare tedesco del XIX secolo, nonché professore all’Università di Berlino noto per essere andato oltre le questioni tecniche e per aver collegato la guerra alla politica e all’economia. Suo figlio, Max Delbrück, era un biochimico del XX secolo e vinse un premio Nobel. Ma il vero motivo che spinse Mel Brooks a scegliere il nome di Hans Delbrück era che, pronunciato, suonava simile a “Mel Brooks”…

L’aneddoto di cui tutti i membri del cast hanno parlato, però, sono le risate sul set. Le battute e le scene erano talmente divertenti che scoppiavano tutti a ridere, continuamente, mentre le pronunciavano e le recitavano. Era un continuo interrompere le riprese per rigirarle senza che nessuno scoppiasse a ridere. A cominciare da Wilder, colui che rideva più di tutti. Ma anche Mel Brooks non scherzava: arrivò a infilarsi un fazzoletto in bocca per evitare di scoppiare continuamente a ridere mentre girava.

Non è difficile da credere per noi che, pur conoscendo il film a memoria, ancora ridiamo riguardandolo.