Intervista a Martin Freeman

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Dato che il film è tratto da un'opera teatrale, volevo sapere se conoscevi l'opera, se l'hai vista e se ci sono stati dei cambiamenti rispetto all'originale.

Non ho visto l'opera teatrale. All'epoca stavo girando Lo Hobbit, perciò facevo avanti indietro dalla Nuova Zelanda e lo spettacolo era in scena a Londra. Ho alcuni amici che sono rimasti terrorizzati, dopo aver visto lo spettacolo. Ma penso che sia diverso. Stando a quanto mi hanno detto Andy e Jeremy (Nyman e Dyson, registi del film e dell'opera teatrale, ndt), ci sono delle differenze fra la versione cinematografica e quella teatrale.

Considerando che il film Ghost stories è un horror, volevo sapere il tuo rapporto con il genere horror. Qui in Italia abbiamo una forte tradizione di horror.

Be', mi piacciono gli horror. Mi piacciono i film in generale e l'horror è un filone, ci sono milioni di tipi diversi di horror. Io di solito prediligo quelli psicologici. In Ghost stories, ad esempio, ci sono molti elementi. È un horror, ma non solo. Il protagonista è ben definito, ci sono elementi del thriller, del film drammatico e persino della commedia. Sì, mi piacciono gli horror. Ma penso che le cose più spaventose siano dentro noi stessi e il film mostra molto bene questa cosa.

Chiaramente c'è una componente altamente spirituale all'interno del film, però credo che il fil rouge del film sia il senso di colpa. È giusta come interpretazione? Cosa ne pensi?

Sì, penso che la colpa ricopra un ruolo molto importante. Non sto svelando nulla, abbiamo visto tutti il film. La colpa è la cosa più reale del film, è ciò che motiva Philip Goodman. Inconsciamente, lui è colpevole ciò che ha fatto o non ha fatto da giovane, come si vede nell'ultima parte. Sì, la colpa ha un ruolo molto importante per quanto riguarda i rimpianti e il desiderio di aver agito in modo diverso. Non conosco nessuno al mondo che non abbia mai avuto pensieri del genere. Magari non in modo così estremo come in Ghost Stories, però è una caratteristica molto comune nell'essere umano.

Il sacerdote retto e vendicativo

Il film sembra dire che non fare qualcosa è peggio che fare qualcosa e questo mi sembra un argomento molto adatto ai nostri tempi. Qual è la tua opinione?

Sì, forse. A seconda delle circostanze, non fare qualcosa arreca più danni rispetto al fare qualcosa. Ma penso che il film mostri anche un'altra cosa: come esseri umani, noi impariamo. Impariamo dagli errori. E non è sempre facile fare qualcosa. Se lo fosse, non accadrebbe mai niente di male. Se tutti facessimo la cosa giusta, sarebbe tutto perfetto. Ma noi non sappiamo sempre quale sia la cosa giusta o semplicemente abbiamo paura. Spesso gli esseri umani hanno paura. Non possiamo dire: «Ah, sarei stato nella resistenza». Non puoi saperlo. Perché se puntano una pistola contro tua madre, non puoi stare nella resistenza. È difficile sapere cosa si deve fare ed è una delle cose di cui parla il film. In Philip Goodman si vede molto dell'umanità. Non è una persona cattiva, ma i momenti di debolezza e di indecisione possono segnarti per tutta la vita, possono fare la differenza.

Che cosa ti fa paura? Cosa ti faceva paura quando eri bambino? Da ragazzino eri uno di quelli che si buttavano, che intervenivano, oppure no?

Avevo la faccia tosta, ero un saputello. Avevo sempre la risposta pronta, soprattutto con gli insegnanti. Non tanto con mia madre, perché non le mancavo di rispetto. Ma non ero il primo a fumare, me ne stavo a guardare, a osservare. Ero consapevole del pericolo e non volevo correre rischi inutili, ad essere sincero. Psyco mi ha terrorizzato. Avevo 7 anni quando l'ho visto, ero troppo giovane, ma sono felice di averlo fatto. Avevo paura di farmi la doccia, di salire le scale per andare in camera con la paura di trovare Martin Balsam accoltellato. Rimanevo fermo giù dalle scale anche per venti minuti o per mezz'ora, poi facevo il primo gradino e dicevo "no". Sì, ero un bambino con una fervida immaginazione. Volevo fare l'attore, perciò dovevo avere una fervida immaginazione. E Hitchcock era un ottimo regista, quindi ti rimane in testa. Sì, è ciò che mi spaventava da bambino.

Nel film si esplora molto il concetto di spiritualità e c'è uno scontro di dualismi fra credere e non credere, tra il raziocinio e la fede. Qual è il tuo rapporto con la spiritualità?

Ho ricevuto un'educazione cattolica. Non sono praticante ma è una cosa che rispetto, non l'ho persa del tutto e lei non ha perso me del tutto. La fede e il credo sono sempre stati presenti nella mia vita. Come individuo, ci sono cose con cui sono d'accordo e altre con cui non lo sono. Ci sono cose non condivido, però ce ne sono altre che sono davvero positive. È una conversazione che potrebbe andare avanti a lungo, specialmente nella cultura occidentale attuale. La ragione contro la fede. Non sono mai state polarizzate così tanto, prima d'ora. Quand'ero bambino non mi sentivo sotto pressione. Credevo sia in Dio sia nella scienza. Ho frequentato la scuola cattolica, quindi c'erano preti e suore ovunque, ma parlavamo di chimica, di evoluzione. Non c'era una guerra fra le due cose. Ora c'è ben più di una guerra. Una guerra intellettuale. La cosa più facile da dire è: se sei credente allora sei un idiota, se sei ateo sei molto più intelligente. È una molto facile da dire ma non è vera. Ci sono un sacco di medici e scienziati credenti. Andando avanti nella vita ci sono cose a cui credo e altre a cui non credo. Cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono. Non ho problemi nei confronti della fede o delle credenze altrui. L'importante è non dire alla gente che andrà all'inferno perché non crede o perché è gay, questo è un grosso problema. Penso che le credenze religiose siano una cosa bellissima, ma nessuno conosce la verità. Per me è una discussione molto interessante, ho molti amici e parenti atei, mi piace questa discussione. È molto interessante.

Li rispetti.

Sì, li rispetto. Nella nostra cultura diciamo sempre che rispettiamo le differenze. Rispetto tutte le tue differenze, a meno che tu non sia in disaccordo con me. A quel punto sei un fascista. Penso che sia un bel problema. Dovremmo prendere un bel respiro e fare un passo indietro. A meno che tu non mi dica che sono malvagio e che andrò all'inferno, ma la maggior parte della gente non dice questo. La gente cerca solo di vivere la propria vita al meglio. E allora potrai rispettare le differenze. È il grande problema dei social media. Se facciamo una discussione, non potremo essere d'accordo su tutto. Siamo tutti esseri umani, ma non appena queste cose vengono scritte, diventiamo tutti nemici. È un problema enorme. È un conflitto di destra e sinistra, e non mi piace per niente. Non esistono mezze misure, non c'è la zona grigia. È una cosa medievale, è folle. Anche con tutta questa tecnologia e queste conoscenze siamo tornati indietro di cinquecento anni.

Intervista a Martin Freeman

Viviamo in un'epoca buia?

A volte sì. Amo vivere in questo momento storico, amo la tecnologia. Ma ci siamo dimenticati che, è vero, non sempre vai d'accordo con tua madre o tuo padre, ma non per questo non li ami. Ami le persone anche se non siete d'accordo. Ma sui social network, invece, le detesti. Magari credono esattamente in tutto quello che credi tu, ma se dicono una sola frase diversa rispetto a te, allora sono nazisti. Non va bene, non va bene.

Una curiosità. Visto che uno degli argomenti è il rimorso, c'è un ruolo che hai rifiutato e di cui in un secondo momento ti sei pentito?

No. Ci sono stati dei ruoli per i quali non sono stato scelto, ruoli che avrei voluto fare. Ma non mi pento, so bene quando dico di no. So bene perché rifiuto qualcosa. Non ho storie come quelle di Hoffman e Al Pacino, che rifiutò Kramer vs Kramer. Non ho rifiutato film che hanno vinto l'Oscar. Non rimpiango nulla perché prima di dire "sì" o "no" ci penso tantissimo. Quanto starò lontano dalla mia famiglia? Sono in grado di fare questo ruolo? Ci penso molto attentamente, perciò sono molto felice quando dico di no. Mi dico: okay, volevo dire di no a questa cosa. Amo recitare, quindi se dico di no anche se sono due mesi che non recito, significa che volevo proprio dire di no. Non ho rimpianti.

Rovescio la domanda. Ci puoi raccontare una volta in cui sei stato rifiutato?

L'ultima volta che sono stato rifiutato è stata per… non posso dire per che ruolo fosse, ma era per Kramer vs Kramer.

Eri il bambino, vero? (ride)

Ero il bambino. (torna serio) Sì, pensavo che avrei ottenuto la parte, avevo incontrato il regista tre volte, c'era già la mia foto appesa nell'ufficio della produzione, c'ero io insieme a un'attrice. Era un film della BBC. E poi ho saputo che avevano scelto un altro attore. È stato circa 7 anni fa. È stata dura. Se fai l'attore sei abituato a sentirti dire di no, quindi non è stato un problema. È stato un po' come in una relazione, quando qualcuno ti prende in giro: «ti amo, ti amo, no non ti amo ».

È stato molto difficile. All'epoca stavo girando Sherlock, quindi non avevo problemi economici, non avevo bisogno di soldi ma era un lavoro che volevo. Non vedevo l'ora di farlo, mi dicevo: saranno 4 mesi meravigliosi. Poi mi sono detto: saranno 4 mesi così e così.

C'è un film che ti fa sentire bene? Un film non tuo che ti fa sentire bene e che rivedresti mille volte?

Quand'ero bambino c'era un film che amavo, si chiama Gli insospettabili, con Michael Caine e Lawrence Olivier. Quando avevo dieci anni, lo guardavo ogni giorno. È stato lì, che mi sono innamorato di Michael Caine, ben prima di capire che avrei voluto fare l'attore. C'era qualcosa in lui, nel modo in cui parlava, non parlava come gli altri attori. Era affascinante, ma non in modo convenzionale, come un supereroe o una super star. A 14 anni guardavo West Side Story ogni giorno. Ero ossessionato da quel film. Ricordo ancora ogni canzone.

Ti piacerebbe recitare nel remake di Steven Spielberg?

Di West Side Story? Lo sta rifacendo?

Sì.

Non lo so sapevo.

Devi esserci.

Sì, ma faro Doc, il settantenne proprietario del locale. Sono troppo vecchio per fare uno dei Jets o degli Sharks. Forse potrei fare Krupke. Sì, è uno dei miei film preferiti, una delle mie opere d'arte preferite. È un musical perfetto. Ci sono tanti film che amo e nei quali avrei voluto recitare.

Cosa significa per te fare parte dell'universo Marvel? Da fan di Sherlock voglio capire se il tuo personaggio e quello di Benedict Cumberbatch, cioè Doctor Strange (immagino che siate amici) si incontreranno.

Intervista a Martin Freeman

Non lo so. È la Marvel, tutto può succedere. E per quanto riguarda Doctor Strange, quello è un mondo pazzesco in cui vive ogni genere di cosa. Potrebbe incontrare anche un dinosauro, non lo so. È possibile, ma non che io sappia. Lo sapete, non posso dire tutto, sono informazioni riservate[1]. Ma da quanto ne so, farò un altro film di Black Panther, a quanto ho capito. Per quanto riguarda Everett Ross e Strange, non so dove possano incontrarsi, ma Doctor Strange costruisce il suo stesso universo.

Sherlock lo vedremo ancora?

Non lo so, davvero. Al momento, penso che Steven e Mark (Moffat e Gatiss) stiano scrivendo dell'altro. Sì. Non lo so, è la verità. Per fortuna, ora sia io che Benedict siamo entrambi impegnati, ma appena c'è qualcosa su Sherlock ci ritroviamo. Ad essere sincero, non lo so. Non lo so mai. Sappiamo tutti che è un'ottima serie, sarete d'accordo. Facciamo parte della serie, ci piace, ma ci sono sempre delle difficoltà logistiche. Vogliamo che le cose siano fatte bene - è un discorso molto british-. Non abbiamo intenzione di fare troppo episodi. Quando esce un nuovo episodio, vogliamo che sia un'occasione speciale. C'è un sacco di gente che mi dice: «fanne di più, fanne di più». È fattibile, ma non per cinque anni di seguito, perché poi vorresti averne fatti di meno, vorresti esserti fermato tre anni prima. Adoro il fatto che ci ritroviamo quando c'è qualcosa da fare, quando c'è qualcosa di speciale da fare. È ciò che amo di Sherlock, è una specie di evento.

Ricollegandoci a Dracula, dato che Gatiss e Moffat, Cumberbatch e Freeman sono coppie rodate, mi domandavo se ci fossero state delle trattative per entrare nel progetto, magari proprio nel ruolo di Dracula.

No. Adoro il modo in cui scrivono Mark e Steven, e anche Ben lo adora. Siamo davvero una buona squadra, abbiamo fatto insieme un'ottima serie, ma poi rischieremmo di ripeterci. Ognuno di noi vuole mettersi alla prova in qualcos'altro. Mark e Steven lo hanno già fatto diverse volte, sia prima sia dopo Sherlock. Ma immagino che, per un po', non vogliano vedere né me e né Ben. Ho visto Mark l'altro giorno, durante la proiezione di Ghost stories. Sta scrivendo Dracula, ma non penso che ne farò parte.

Ho letto che sei un appassionato di vinili, di jazz e soul, oltre che di uova di cioccolato. È vero o no?

Adoro i dischi. E le uova di cioccolato… sì, il cioccolato è favoloso, ma preferisco i dischi.

Quale disco sceglieresti per rappresentare la tua carriera cinematografica e da attore?

Be', è una bella domanda. Ehm… non lo so. Non lo so, sceglierei un disco che mi piace, ma non sarebbe necessariamente quello giusto. Come quando ti chiedono: «se tu fossi un animale, quale saresti?», e tu scegli un animale che ti piace. Non significa che tu sia quell'animale. O quando ti chiedono: «che auto saresti?» «Una Ferrari». Ma poi ti rispondono: «no, sei una Fiat». Non so davvero quale disco potrei scegliere, vorrei sentire cosa ne pensano gli altri, sarebbe divertente.

E allora io faccio una domanda empirica. Tu hai interpretato molti personaggi diversi che sono entrati nell'immaginario collettivo. Quando ti trovi in una stanza con persone che non sono addette ai lavori, persone comuni, quali sono i personaggi che ti vengono a chiedere? Quelli che sono più amati? Immagino che siano vari a seconda delle persone.

È un misto. Di solito, quando la gente mi ferma in giro per la strada, la scelta è fra John Watson, Bilbo Baggins… poi c'è un personaggio che ho interpretato in un film inglese, ero un maestro delle elementari. Il film (Nativity) parla di un musical scolastico, ma non è molto conosciuto fuori dall'Inghilterra,. È un film per famiglie, un film di Natale, è molto amato in Inghilterra

Per anni mi hanno riconosciuto per The Office, ogni tanto mi chiedono Arthur Dent (Guida galattica per autostoppisti). La gente ha amato molto Lesten Nygaard di Fargo. Ma il vincitore sarebbe sicuramente John Watson, in termini di numeri. Se ci fosse un'elezione, diventerebbe il primo ministro di tutti quei personaggi.

Qual è il personaggio che ti assomiglia di più?

C'è una somiglianza con tutti loro. È per quello che interpreti bene un personaggio, perché c'è qualcosa di simile.

Per esempio, in Watson?

È un'affermazione un po' presuntuosa, ma Watson è la bussola morale di Sherlock. Intendo dire, non sono la bussola morale di Ben, non sono la bussola morale di nessuno. Ma è una persona premurosa, è un dottore, quindi dovrebbe preoccuparsi della gente. Non sono Gandhi, non sono un filantropo, però una mia caratteristica è che mi accorgo se qualcosa non va, se qualcuno non è felice e voglio che stia bene.

Con il passare del tempo, quanto ha assunto la qualità di sogno il ricordo del suo viaggio in Nuova Zelanda nel mondo di Tolkien? Perché è un luogo così fuori dal mondo, anche un film fuori dal mondo, che è entrato nell'immaginario mondiale dei bambini che sono cresciuti (con questi film).

Be', è stata una parte molto importante della mia vita per due anni e mezzo e oltre. Ci sono alcune cose, nella vita lavorativa, che continueranno a vivere anche dopo di te. Quando sarò morto, la gente continuerà a parlarne, non per merito mio ma di Tolkien, ma la gente continuerà ad interessarsi a questi film. È stato meraviglioso. È un'esperienza che ho adorato. Ti trovi tutto il giorno con un gruppo di persone, alcune neozelandesi e altre non, eravamo tutti un grande gruppo, dovevamo conoscerci. Lavoravamo a qualcosa che ci piaceva molto. Sì, il mio ricordo della Nuova Zelanda è solo positivo. È meravigliosa, è un paese meraviglioso con pochissimi abitanti. Sono completamente pazzi, ma in un certo senso sono molto inglesi, sono inglesi per il tempo, per il modo in cui la gente crede di poter sistemare le cose. Hanno ancora questa caratteristica, li ammiro molto.

Parlando di fantasmi e di vita oltre la vita, della vita cinematografica che va oltre la vita…

È il bello dell'arte. Con la pittura, con la musica, hai la possibilità di lasciare qualcosa, è fantastico. Non ci sono tanti modi per fare una cosa del genere. Puoi lasciare qualcosa solo per cinque minuti e già è fantastico. E se non lo fai, va bene lo stesso. Ma sei hai un impatto sulla vita delle persone, è un vero privilegio. È facile dimenticare. Ma il fatto che la gente venga da me tutte le volte e mi parli dei miei ruoli, è incredibile. Ed è facile dimenticarlo, perché accade tutte le volte. Ma ogni tanto devi ricordarti che è il potere dell'arte e mi riguarda perché sono un attore. Ascolto i dischi, guardo i film, leggo opere teatrali. È importante, è molto importante.


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