10 verità scomode sul cinema rivelate dai Golden Globes 2025
I francesi sono inarrestabili, l’Italia si difende bene e la narrazione del grande ritorno funziona sempre: 10 verità scomode rivelate dalle nomination ai Golden Globes 2025.
Comincia un altro giro di giostra a Hollywood, s’infiammano o s’infrangono i sogni di fama e successo di coloro che hanno presentato un film o una serie nell’ultimo anno e sperano di vederla premiata nei prossimi mesi.
Con l’annuncio delle nomination dei Golden Globes 2025 si apre ufficialmente il periodo più caldo della Award Season, ovvero la decina di settimane in cui il calendario di ogni star o autore che si rispetti è costellato di appuntamenti, serate mondane e premi, fino al traguardo della notte degli Oscar 2025, prevista quest’anno per il 3 marzo 2025.
I Golden Globes, per platea di votanti, gusti e regolamento, sono molto differenti dagli altri premi cinematografici, ma la loro rilevanza è tale che sono considerati il primo, importante segnale per capire chi è sulla buona strada per puntare a una nomination agli Oscar e chi invece deve correre ai ripari e cominciare a disperarsi.
Dopo aver spulciato con attenzione le nomination di quest’anno, si può dire che alcuni verdetti siano già inequivocabili. Ecco dieci verità sul cinema del 2024 che i Golden Globes hanno rivelato impietosamente.
1 - Il pubblico non ama i musical, ma la critica sì
L’Italia non è un paese per musical e in generale a questo filone cinematografico il pubblico in sala negli ultimi anni non sembra riservare troppo amore, tanto che spesso i trailer dei film musicali vengono montati nascondendone la vera natura.
Eppure tra con le nomination a Emilia Pérez e a Wicked il genere musical si dimostra in gran forma tra i votanti della Hollywood Foreign Press. Con 10 nomination conquistate, il musical sui generis del regista Jacques Audiard è il film più nominato del 2025 e il primo titolo di questo genere a raggiungere doppia cifra con le nomination di questo premio.
Wicked si conferma amatissimo negli Stati Uniti e capace di conquistare anche la stampa straniera che lavora a Hollywood. Anzi, si sperava persino in qualcosa in più, mentre è sfumata la nomination per il suo regista Jon M. Chu. Un’amore abbastanza inspiegabile visto dal resto del mondo, tiepido sia nelle recensioni sia al botteghino. Le protagoniste Ariana Grande e Cynthia Erivo agguantano entrambe la loro nomination e sentitamente ringraziano sui social.
Senza poi dimenticare le nomination raccolte da A Complete Unknown, che proprio musical non è ma rimane pur sempre un film biografico su Bob Dylan ricolmo di esibizioni canore del nominato Timothée Chalamet.
2 - Il cinema francese è una potenza
Da qualsiasi parte la si guardi, questa tornata di nomination è la conferma di come non solo la Francia abbia una cinematografia di altissimo livello, ma che finalmente sembri anche aver capito come venderla all’estero e portare a casa premi su premi.
Il film più nominato - Emilia Pérez - è diretto dal decano Jacques Audiard, già Palma d’Oro anni fa e autore amatissimo in patria. Lo seguono a ruota la giovane collega Coralie Fargeat con l’horror cult dell’annata The Substance. Si tratta di due progetti capitanati da autori francesi ma già confezionati per il pubblico internazionale, recitati per larga parte in inglese, con star hollywoodiane che diano una mano a creare il buzz giusto per portare il titolo lontano, fino a Hollywood.
Cosa dire poi di Amore a Mumbai, co-produzione franco indiana che non solo conquista una candidatura come miglior film straniero, ma regala alla giovane regista indiana Payal Kapadia una nomination alla regia? Un gran colpo per un film amatissimo dalla critica ma un nome nel cast o dietro la cinepresa a fare da traino.
Se poi si guarda a dove sono stati lanciati questi tre film (con in aggiunta la Palma d’Oro Anora e The Substance) conviene far partire la Marsigliese: il Festival di Cannes si conferma come l’evento a cui essere per avere chance di finire ai Golden Globes e agli Oscar se non si hanno dietro le grandi major e non si ha passato statunitense. Nonostante si svolga a maggio, in teoria troppo presto rispetto alla stagione calda dei premi. Sarebbe bene imparare dal sistema cinema francese e ringraziare Alberto Barbera, le cui intuizioni sul fronte festivaliero e veneziano hanno dato una gran mano ai titoli di casa nostra.
3 - I film afroamericani fanno ancora fatica
La mancata nomination più discussa e contestata è quella all’attrice Marianne Jean-Baptiste per una performance osannatissima in Hard Truths. La si dava praticamente per certa, invece non ce l’ha fatta, così come non centra una menzione Danielle Deadwyler in The Piano Lesson.
I film che hanno deluso le aspettative e sono andati peggio del previsto sono proprio quelli legati ad artisti afroamericani e alle storie che raccontano la loro comunità: Sing Sing, The Piano Lesson e Hard Truths, senza dimenticare Nickel Boys. Sono quattro tra i film più elogiati dell’annata, che però hanno raccolto poco. L’impressione è che il cinema afroamericano faccia ancora fatica a conquistare l’attenzione, specie in annate molto ricche come il 2024, in cui le voci nere di riferimento non convergono a sostegno di un unico titolo, ma si dividono, come in questo caso, tra più valide alternative.
4 - I film chiassosi ed eccessivi s’impongono con più facilità
In generale non è stata un’annata facile per i film contemplativi, profondi, di concetto. I Golden Globes si sono lasciati sedurre da chi il suo messaggio lo urla, ricorrendo all’eccesso e al camp, senza mezze misure.
Così la sfrontata esagerazione di The Substance e l’irriverenza linguistica e musicale di Emilia Pérez e la disinibizione di Anora si sono mangiati film più rigorosi e pudici, o semplicemente dai toni più pacati. Wicked con la sua campagna promozionale dalle iperboliche dichiarazioni ha oscurato film e interpreti più misurati come The Outrun e Blitz,doppietta di film con cui Saoirse Ronan veniva data addirittura in doppia nomination. Il cinema afroamericano (e non solo) ha per esempio pagato una proposta molto giocata sulla pacatezza, in un’annata in cui, tra le grida di Anora e gli acuti di Glida, vince chi urla più forte.
5 - C’è un motivo se tutte le star vogliono lavorare con Luca Guadagnino
Tecnicamente Luca Guadagnino è un nominato ai Golden Globes, comparendo tra gli autori del brano “Compress/Repress” da Challengers insieme a Trent Reznor e Atticus Ross. Leggendo però dentro le nomination, pur non trovando il suo nome in categorie come miglior regia, si vedono tracce della sua influenza ovunque.
Challengers conquista la nomination come miglior film e piazza la sua protagonista Zendaya tra le migliori attrici non protagoniste, insieme al notevole comparto musicale del film. Daniel Craig strappa una nomination con Queer, sempre diretto da Guadagnino. È l’unica nomination che raccoglie il film, ma anche quella a cui forse puntava di più, dato che questo progetto viene da sempre prentato come “il miglior ruolo dell’ex James Bond di sempre”.
Le nomination raccontano un Guadagnino col tocco magico, capace di lanciare carriere di giovani interpreti (da Timothée Chalamet in poi) o di far arrivare il plauso critico a chi da anni cerca consacrazione. È un dono che condivide con altri stranieri che lavorano a Hollywood - vedi la nomination ad Angelina Jolie per Maria di Pablo Larraín, regista ricercatissima a attrici a caccia di rivalsa.
Dopo questa tornata, in attesa degli Oscar, Guadagnino può bussare alla porta di ogni grande star, sicuro di venire ascoltato. Indubbiamente nei prossimi mesi saranno in tanti a bussare alla sua.
6 - Anche la critica si fa irretire dai nomi delle star
A proposito di star, scorrendo la lista delle nomination si ha la netta impressione che quest’anno i votanti si siano lasciati affascinare ancora più del solito dai grandi nomi di Hollywood, penalizzando interpreti meno noti o glamour.
È un segnale in questo senso la doppia nomination centrata sia da Selena Gomez per sia da Kate Winslet (che nelle ultime settimane ha fatto un autentico tour de force per entrare in gara). Con una nomination sul lato televisivo e una cinematografico, certificano quanto ci sia poco spazio per nomi meno noti, con qualche notabile eccezione.
La presenza di una popstar come Ariana Grande, la nomination del nuovo principe di Hollywood Glen Powell con un film che non raccoglie altre menzioni, Zendaya che conquista la nomination per Challengers e il collega assai meno glamour Josh O’Connor (dato per finalista) che rimane fuori, senza dimenticare nomi pesantissimi nello star system hollywoodiano come Nicole Kidman e Demi Moore.
7 - Sebastian Stan ha fatto bene a parlare
L’altra doppia nomination attoriale è quella di Sebastian Stan, che agguanta una menzione come attore comico in A Different Man e una come attore drammatico in The Apprentice. Il 2024 è stato un anno eccezionale per l’ex Bucky Barnes, che ha segnato il suo tentativo riuscito di farsi prendere sul serio come interprete superando il suoi trascorsi Marvel.
Questa doppia candidatura però è probabilmente figlia di un’altra circostanza: quella che lo vede come possibile paria a Hollywood dopo l’elezione di Donald Trump. In The Apprentice infatti Stan interpreta il presidente degli Stati Uniti da giovane, in un film molto duro nei suoi confronti. Film che più di una voce (anonima) ha confermato aver ricevuto ingerenze da parte dell’inquilino della Casa Bianca affinché non trovasse un distributore statunitense.
Stan negli scorsi giorni ha anche denunciato come, invitato da Variety a partecipare al famoso format “Actors on Actors” (video in cui due protagonisti della Award Season s’intervistano a vicenda) abbia dovuto rinunciare. Nessuno degli interpellati era disposto a fare coppia con lui, temendo ripercussioni politiche.
8 - Il grande ritorno delle “attrici non più giovani” funziona alla grande
Demi Moore, Nicole Kidman, Angelina Jolie, Isabella Rossellini, Pamela Anderson: per ottenere una nomination come miglior attrice quest’anno bisognava tessere una narrativa da “grande ritorno sulle scene”. Sembra l’unica narrazione in grado di funzionare per interpreti over 40: prendere parte a un film che richieda loro di mettersi a nudo (spesso letteralmente), di affrontare a viso aperto temi come l’invecchiamento, la morte.
Solo che Nicole Kidman non ha mai smesso davvero di lavorare, così come Angelina Jolie e Demi Moore. Semplicemente hanno imbroccato quest’anno il film giusto per tornare sotto i riflettori e hanno adottato l’unica narrazione che sembra possibile per funzionare: quella che le presenta come coraggiosissimo esempio di donna che accetta l’avanzare degli anni, che crede in sé. Come se tutte queste donne non fossero esempio di inarrivabile bellezza, spesso in grado di prendersi così bene cura di sé da rallentare e di molto il naturale processo d’invecchiamento, magari anche con qualche ritocchino (su Kidman siamo sicuri, lei stessa ha confermato). Sono eccezioni ed eccezionali nel loro apparire bellissime, appena toccate dal tempo, non sono un esempio o un riferimento per donne che in partenza non siano benedette dallo stesso pool genetico e non hanno i mezzi o il tempo per prendersi cura di sé.
Dall’altra metà del cielo nessuno ha bisogno di giustificare in questi termini un suo “ritorno” né deve tessere una storia di coraggio per il tempo che avanza. Guy Pierce, nominato per The Brutalist, può serenamente dire di aver azzeccato dopo tempo il film giusto per tornare sulla ribalta o gli chiede conto del suo aspetto.
9 - Hollywood apre cautamente al cinema internazionale
Yuri Borisov candidato per Anora e Fernanda Torres per Io sono ancora qui confermano che qualcosa, finalmente, è cambiato. Anche per gli interpreti non anglofoni c’è la possibilità di farsi notare e arrivare alla stagione dei premi.
La condizione imprescindibile però è quella di recitare in un film che finisca nelle mani di distributori come NEON, A24, Netflix, Mubi. Veri maestri dell’arte di creare una campagna promozionale attorno ai film stranieri “da vedere”, su cui poi converge l’interesse di Hollywood.
Se poi - come nei due casi sopra menzionati - il tuo film passa a Cannes o a Venezia, meglio ancora. I Festival rimangono il vettore privilegiato per il lancio di un film verso la stagione dei premi statunitense.
10 - L’Italia continua a cavarsela
Per il secondo anno di fila il film candidato italiano centra la nomination ai Golden Globes, pur non figurando nelle previsioni della vigilia della stampa specializzata. Vermiglio di Maura Delpero conquista una nomination e ora un passaggio agli Oscar sembra davvero possibile, nonostante l’agguerritissima concorrenza nella categoria dedicata al cinema internazionale. Segno che il sistema cinematografico italiano ha capito due cose: che tipologia di film selezionare da mandare in America e come sostenere una campagna promozionale volta a raggiungere importanti traguardi.
Delpero, Rai Cinema e il distributore statunitense si sono messi all’opera il giorno stesso in cui è stato annunciato che Vermiglio era il candidato agli Oscar per l’Italia. L’impressione è che non sia un traguardo così impossibile, quello di una nomination agli Academy Awards.
Per il resto l’Italia si affida a Guadagnino, come già spiegato, e si gode lo strapotere di Isabella Rossellini. In Conclave recita per una manciata di minuti ma tantp è bastato per farle conquistare una nomination: è la prima italiana a riuscirsi da 30 anni a questa parte. L’ultima era stata...Isabella Rossellini, nel 1996.