Inside Out 2 è il successo travolgente che nessuno si aspettava: cosa è successo?
Il travolgente successo del sequel di Inside Out al botteghino italiano prova che è diventato quasi impossibile predire in anticipo il successo di un film nelle sale. Internet, i social e una certa familiarità con il franchise però aiutano.
Fare previsioni sull’andamento dei film al botteghino è passato dall’essere una scienza predittiva abbastanza accurata a un assoluto azzardo: lo prova il risultato di Inside Out 2 al botteghino statunitense e italiano durante il primo fine settimana di sfruttamento. In appena quattro giorni di programmazione, Inside Out 2 è diventato il film di maggior successo del 2024 in termini d’incassi in Italia. L’annata, per ora abbastanza fiacca, lo vede trionfare con 16 milioni di euro incassati nei primi giorni di programmazione, seguito a ruota da Kung-Fu Panda 4 e Dune 2, che hanno sforato di poco i 10 milioni di euro. Entrambi questi film però sono già arrivati al termine del loro sfruttamento, mentre Inside Out 2 sembra avere benzina per sfondare la soglia dei 20/25 milioni nel corso dell’estate.
Il fenomeno non è solo italiano. Negli Stati Uniti, per esempio, il film incassa una trentina di milioni di dollari giornalieri con una tenuta di presenze davvero impressionante. Con il passare dei giorni, infatti, è fisiologico che un film attiri meno persone e quindi incassi meno, cominciando a perdere sale in favore delle nuove uscite. Le presenze per Inside Out 2 invece sono da record, permettendo al film di rimanere su tanti schermi e quindi macinare ancora più dollari. Una boccata d’ossigeno di cui Disney aveva disperatamente bisogno: oltre 350 milioni di dollari d’incasso accumulati in pochissimi giorni e la promessa di arrivare molto, molto lontano.
Le previsioni degli analisti all’uscita del film erano buone, ma non così rosee. Si puntava su altri titoli per sbancare al botteghino estivo, ma il 2024 rivela la sua ennesima hit a sorpresa, intervallata a flop e passi falsi da cui invece ci si aspettava di più. C’è una nuova consapevolezza: che è diventato quasi impossibile intuire in anticipo se un film andrà bene o male in sala, se abbia benzina per sbancare o si riveli un fallimento. Considerando che ormai le finestre di sfruttamento (ovvero il tempo effettivo in cui un film è programmato in abbastanza sale da raggiungere il pubblico interessato) sono davvero risicate, l’anno cinematografico si popola sempre più di hit a sorpresa o silenziose, che solo a fine sfruttamento rivelano la loro efficacia.
Cosa ha reso Inside Out 2 il successo di cui Disney aveva disperatamente bisogno in un momento societario ed economico molto precario per il gigante dell’intrattenimento? Cerchiamo di capirlo insieme.
Inside Out 2: cosa ha funzionato?
La risposta a questa domanda nessuno sembra averla, altrimenti sarebbe già sul libro paga di studios e dei servizi streaming. Non si brancola però totalmente nel buio, anzi.
Sicuramente il film Disney Pixar ha alcuni innegabili vantaggi di partenza. Essendo un film d’animazione per famiglie, ha un pubblico potenziale molto trasversale. I film che coinvolgono anche l’audience più giovane prevedono almeno un accompagnatore adulto, il che aumenta esponenzialmente i biglietti staccati, mentre quelli dedicati ad adolescenti e adulti possono contare solo su chi è interessato davvero.
Il secondo posto al botteghino italiano di Kung-Fu Panda certifica la voglia di animazione tra il pubblico più vasto, quello che va in sala solo poche volte l’anno ma che fa la differenza tra un buon risultato economico e uno ottimo. Anche l’animazione giapponese, negli sparuti appuntamenti annuali nelle sale italiane, nell’ultimo biennio sta raccogliendo risultati ottimi.
Non tutti i film d’animazione però attirano le masse in sala. Come spesso abbiamo appurato, è la forza di franchise costruiti nel tempo a fare la differenza. Ci si fida di storie con cui si ha già una certa familiarità, i cui capitoli precedenti si sono amati e apprezzati. La curiosità non è uno sprone sufficiente a portare le persone in sala, poco attirate dall’incertezza e dal rischio. Meglio affidarsi all’usato sicuro di una premessa narrativa che già si conosce, di personaggi che già hanno fatto breccia nel cuore.
C’è poi la carta matta, il jolly: i social media. Nelle settimane precedenti all’uscita di Inside Out 2 TikTok è stato invaso da clip e meme dedicati, che hanno attirato anche il pubblico più giovane in sala. Disney Pixar ha curato il lancio dei film anche sui social, così come hanno fatto gli studios per tutti i titoli di rilievo dell’annata. Universal, per esempio, ha fatto una grande campagna di cui si è parlato parecchio per The Fall Guy, che però rimane tra i flop del 2024, nonostante sia uno dei film più allineati alle richieste e alle aspettative del pubblico che sta popolando le sale per Inside Out 2.. Insomma, lo studio deve metterci l’impegno, ma il passaggio da contenuto promozionale a tam-tam virale rimane appannaggio della Dea Bendata.
Inside Out 2 dimostra che Disney ha sbagliato tutto durante la pandemia
Il successo di Inside Out 2 fa la gioia di quanti accusano Disney di essersi mossa in direzione troppo “progressista e inclusiva”, focalizzandosi su storie più personali e autobiografiche scritte e dirette da autori, sceneggiatori e registi che hanno portato su schermo realtà differenti, culture lontane, storie di immigrazione e integrazione.
Pellicole come Soul, Luca e Red, acclamate dalla critica, hanno raccolto risultati disastrosi al botteghino, mentre il ritorno di Riley al cinema, una ragazzina bianca e statunitense, sta sbancando il botteghino. Il pubblico, dunque, è così conservatore? No, non necessariamente, anche se il risultato di Inside Out 2 rischia di spingere Disney Pixar in una direzione ulteriormente avversa al rischio, conservativa rispetto alle voci e alle storie raccontate.
Anzi, il risultato di Inside Out 2 rischia di dare ragione a quanti hanno accusato Disney e buona parte degli studios di aver messo in pericolo l’esistenza stessa del circuito delle sale. Luca, Red e Soul sono stati disastri annunciati al di là della storia che raccontavano, perché sono stati utilizzati per far crescere Disney+.
La loro strategia di lancio però ha abituato il pubblico a trovare il film d’animazione del momento direttamente sulla piattaforma streaming (ed eventuali derive illegali) a pochissime settimane dall’uscita in sala. Il biennio pandemico, infatti, ha spinto molti studios a testare una finestra di sfruttamento in sala breve, tentando così di incentivare gli utenti ad abbonarsi stabilmente ai propri servizi streaming. La competizione di Netflix e l’ingresso nel settore di Amazon e AppleTV+ ha spinto i produttori tradizionali a provare a recuperare il tempo perduto, costruendo una base di abbonati solida sulle proprie piattaforme in tempi record, adottando strategie commerciali aggressive e distruttive per le sale.
Una strategia che sul lungo periodo si è rivelata, come previsto, insostenibile. L’ondata di aumenti dei costi degli abbonamenti e il moltiplicarsi di proposte streaming con stacchi pubblicitari hanno suscitato un crescente malcontento e il ritorno di molti alla pirateria, senza però tradursi in un ritorno stabile in sala. Una volta convinto il pubblico che “il prezzo giusto” era quello artificialmente ribassato per entrare in un mercato in corso di saturazione, la percezione di qualsiasi aumento dell’abbonamento in streaming e del biglietto d’ingresso in sala al cinema è diventata fortemente negativa.
Per quanto riguarda l’Italia poi, va detto che a fronte di una certa vetustà di impianti di proiezione e sale, i prezzi di un biglietto del cinema rimangono scollegati dall’ondata inflattiva e davvero molto competitivi. Eppure basta farsi un giro online per leggere lamentele infinite per il costo di un biglietto d’ingresso che rimane spesso più basso di un aperitivo o di una pizza margherita e che, negli infrasettimanali o con convenzioni e sconti, spesso gravita più vicino ai 5 euro che ai 10, anche in fascia serale. La comparazione però non viene più fatta su altre forte d’intrattenimento (concerti, biglietti teatrali, ingresso ai locali e a impianti sportivi) ma all’intrattenimento streaming. Se pagando poco più di un paio di biglietti ho un catalogo infinito, allora il cinema costa troppo.
Cambiano i cinefili, cambiano le sale e la programmazione
Nei fatti dunque, al cinema oggi ci va un pubblico fedele ma limitato di cinefili che si presenta in sala più o meno tutte le settimane. C’è una grande fascia di popolazione che considera l’esperienza in sala qualcosa da concedersi saltuariamente, stagionalmente, un lusso.
Generi con uno zoccolo di fan solido come l’horror e l’animazione giapponese - che contano un pubblico affezionato che si presenta in sala sempre, quale che sia il titolo - e fasce d’età abituate all’esperienza in sala (spesso quelle d’età più avanzata) hanno cambiato la tipologia di film remunerativi per le sale sopravvissute all’ondata di chiusure post-pandemia. Lo si vede anche dalla sofferenza dei multisala, dalla scomparsa dei cinema nei piccoli centri e dal successo di realtà che puntano su contenuti di nicchia, conversando con un pubblico di riferimento appassionato, fedele, molto attivo sui social. Così chi proietta restauri, uscite in release limitata e film in lingua originale in piccole sale in città popolose tende ad avere vita più facile dei multiplex di periferia.
Nel frattempo la coperta si è accorciata per tutti, anche i per i giganti dello streaming. Qualcuno sembra essersi accorto, sempre troppo tardi, che per rendere davvero remunerativo un film prodotto con un dispendio di capitali non contenuto la sala rimane un passaggio essenziale. La sala, per funzionare, ha bisogno di una finestra di sfruttamento esclusiva, possibilmente prima che le copie piratate delle edizioni statunitensi invadano la Rete. Da qui le uscite in quasi contemporanea mondiale, i grandi tour promozionali e la dicitura “solo al cinema” stampata sui manifesti.
Gli spettatori di oggi sono un po’ pigri e molto ansiosi
Anche Disney stessa sembra essere tornata a prendere le misure delle sue finestre di sfruttamento. Ora che il fronte Marvel non è più un solido bastione su cui fare affidamento, bisogna far funzionare l’animazione e il resto dell’offerta, anche in sala. Dopo aver mandato al massacro la triade Soul, Luca e Red in sala con già al collo il cartellino con la data d’uscita in streaming, in un periodo difficilissimo come il post-pandemia, Inside Out 2 arriva nelle sale senza una data di scadenza, in contemporanea con gli Stati Uniti.
Se è vero che il pubblico è diventato molto pigro, è altrettanto vero che soffre di quella che online è nota come FOMO:fear of missing out, ovvero la paura di perdersi il titolo del momento, di non poter partecipare allo scambio di opinioni e meme online e nella vita reale, nel momento in cui tutti stanno parlando di qualcosa. O peggio, di venir travolti da un’ondata devastante di spoiler mentre si dà una scorsa quotidiana ai propri profili social.
Una volta che si è generata la FOMO, il grosso è fatto. Le sale sono piene, chi non è cronicamente online si lascia incuriosire dalle code fuori dal cinema e dagli articoli di giornale, incrementando ulteriormente il botteghino.
In tutto questo, va detto, c’è anche ampio spazio per l’autocritica giornalistica: non un fiato si è fatto su chi il cinema lo racconta e lo recensisce in questa analisi. Questa assenza dice molto sull’impatto che il giornalismo tradizionale ha nelle scelte del pubblico. Vale più un meme strategico andato virale che un coro di recensori che urla al capolavoro o mette in guardia dall’ignobile ciofeca in uscita. C’è ampissimo spazio di critica su dove, come, quando si è persa la fiducia di un pubblico che una volta aveva testate, giornali, firme di riferimento.
Oggi ci sono voci, profili e podcast di settore su cui si fa affidamento, che spesso però hanno lo stesso peso di personaggi pubblici che, dietro compenso, leggono testi pre-autorizzati o fanno domande ai protagonisti scritte dagli stessi studios. Il bisogno cronico di familiarità e rassicurazione - nelle storie che già si conoscono da rivedere in sala, nelle voci a cui ci si rivolge per consigli e direzioni ben fuori dal loro ambito di competenza - è un altro aspetto che meriterebbe di essere analizzato e che continuerà a contare per il successo e il fallimento di un film al botteghino.