Padri, figli e mutanti: intervista a Thomas Cailley, il regista di The Animal Kingdom

Thomas Cailley racconta The Animal Kingdom, il film con i mutanti che ha commosso la Francia e registrato ottimi incassi al botteghino d’Oltralpe.

di Elisa Giudici

In patria è stato un successo travolgente al botteghino: The Animal Kingdom ha incassato oltre 8 milioni di euro in Francia, convincendo la critica, vincendo 5 premi César ed emozionando il pubblico. Non male per un film europeo che con meno di una decina di milioni di euro porta in vita su grande schermo dei mutanti ibridi, un po’ animali e un po’ umani, alla X-Men. E non sfigura a paragone con le mega produzioni hollywoodiane.

The Animal Kingdom racconta un mondo in cui, non si sa perché, alcune persone cominciano a cambiare, trasformandosi lentamente in animali. È ciò che è successo alla madre del giovane Èmile, che si trasferisce col padre François nel sud della Francia, in Aquitania, per stare vicino alla donna, trasferita in una struttura dedicata. Qualcosa però va storto, la donna riesce a fuggire e così padre e figlio cominciano a cercarla nella foresta che circonda il paesino dove si sono trasferiti. Tra gli alberi Èmile incontrerà creature simili alla madre, prima di scoprire che anche il suo corpo sta cambiando.


Il mondo di The Animal Kingdom sta vivendo un mutamento, ma il film non sembra piegarsi a una visione distopica, a un pessimismo cosmico. Cailley ci ha spiegato come è nato questo film e che rapporto ha con la sua adolescenza.

The Animal Kingdom è un film che racconta una mutazione. All’interno della tua storia questo cambiamento è profondamente legato al mondo naturale, alla biodiversità del pianeta, forse perfino al cambiamento climatico. Alcuni spettatori e critici però lo hanno interpretato come una metafora di altre mutazioni del nostro tempo: la transizione di genere, il disagio mentale. Qual è stata la tua idea di partenza?

Thomas Cailley - La mia prima idea è stata quella della trasmissione. The Animal Kingdom ha al centro un mistero, che non è tanto il funzionamento della mutazione in sé, quanto quello del rapporto tra genitori e figli. Il modo in cui si trasmettono e si comunicano cose tra generazioni è abbastanza misterioso, no? In un certo senso è una trasmissione simile all’interscambio che ognuno di noi ha con l’ambiente in cui vive. The Animal Kingdom parla di un mondo che cambia, ma anche del continuo scambio che c’è tra la nostra interiorità e ciò che si trova all’esterno.

Dato che hai parlato di genitori e figli, volevo chiederti dove hai trovato e come hai scelto i due incredibili protagonisti della pellicola: Romain Duris e Paul Kircher sembra davvero padre figlio…

Thomas Cailley - La mia prima cosa che ho fatto è stata cercare l’interprete per il ragazzo protagonista, Émile. Ho fatto audizioni a centinaia di giovani attori, ma devo dire che la scelta di Paul Kircher si è imposta quasi da subito. Fin dal primo incontro mi aveva fatto una profonda impressione, perché la sua persona esprime al contempo una certa fragilità ma anche una componente che ha un che di selvaggio, indomito. Una volta scritturato Paul, la scelta di Romain Duris come suo padre si è quasi imposta da sola, perché loro due hanno un po’ lo stesso sorriso, la stessa luce.


Ho letto che hai deciso di girare nei luoghi della tua adolescenza, nella regione dove sei cresciuto, ancor prima di aver ultimato la scrittura della sceneggiatura. Come mai? E dove si trova nella realtà la foresta che circonda la casa di Émile?

Thomas Cailley - The Animal Kingdom l’abbiamo girato proprio nei luoghi in cui io sono cresciuto, in Aquitania. È una regione che si trova nel sud ovest della Francia. Lì c’è una foresta che è abbastanza magica, vastissima, tra le più grandi se non la più grande d’Europa. Nella parte più esterna è stata industrializzata, gli alberi sono piantumati dall’uomo. Se ci si inoltra all’interno però si trova una foresta ancora primordiale, che non sembra mai essere stata esplorata dall’uomo. In questa parte tutto è più selvaggio, più organico.

All’inizio del film cominciamo a penetrare nella foresta, seguendo una linea retta e pian piano arriviamo nella parte più profonda, più umida.

Siamo abituati ad associare film come questo, con mutazioni ed effetti speciali, all’industria hollywoodiana. Invece The Animal Kingdom è un film europeo a basso budget. Eppure il risultato finale è davvero potente a livello visivo. Come l’hai ottenuto? Quanti effetti visivi sono serviti per portare su schermo le Creature?

Thomas Cailley - The Animal Kingdom parla di corpi, di corpi umani che mutano. Siamo quindi partiti dal corpo degli attori e abbiamo cercato di utilizzare effetti pratici il più possibile: in ogni inquadratura che vedi nel film l’attore e il suo corpo erano davvero presenti sul set, nell’inquadratura. Abbiamo utilizzato tanti metodi diversi per creare le Creature: trucco, protesi, piume. Pensa: per uno dei personaggi ogni giorno bisognava affrontare 7, 8 ore di trucco. È stato un processo molto pesante da affrontare. Nonostante tutto questo lavoro, in alcune riprese si è reso necessario implementare la scena con effetti digitali.

Penso che ciò che ha reso organico e credibile il risultato finale sia il fatto che in ogni singola scena con le Creature ci sono più elementi che si combinano tra loro: la loro somma fa funzionare il film dal punto di vista visivo.

Dopo essere stato presentato a Cannes nel 2023, nella sezione Un Certain Regard, il film ha già incontrato il pubblico in molte nazioni. Qual è stata la reazione? C’è qualcosa ti ha sorpreso?

Thomas Cailley - Devo dire che la reazione emotiva al film è stata sempre molto forte, il che è prevedibile, considerando quant’è universale il rapporto tra padre e figlio che racconta. Le creature ibride, metà animali e metà umane, invece, hanno suscitato reazioni un po’ differenti da cultura a cultura. Per alcuni inizialmente hanno suscitato un po’ di timore. Mi ha colpito la reazione del pubblico indonesiano: sono rimasti molto, molto emozionati da queste creature perché la loro cultura è animista.