007: Spectre
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Un mito cinematografico senza tempo come James Bond, nato nel 1962 con Licenza di uccidere e giunto tra alti e bassi all'imminente Spectre, ha dovuto giocoforza cambiare pelle nei decenni per mantenersi immortale. Ad oggi, quando si cominciano a registrare segni di stanchezza di Craig (ma non di deflazione del suo successo) sono cinque gli attori che hanno interpretato l'agente con licenza di uccidere. Ovviamente questa alternanza suscita grandi dibattiti tra gli appassionati, sempre pronti a sostenere il proprio Bond del cuore. Quindi, qual é la miglior incarnazione di 007? La verità é che c'é un Bond per ogni gusto e ogni stagione. Ripercorriamo insieme le metamorfosi della spia che ci amava.
SEAN CONNERY
La prima incarnazione e forse la più immediata nell'immaginario collettivo, la preferita dalla vecchia guardia, che Licenza di Uccidere e gli altri sei lungometraggi (tra cui l'apocrifo Mai dire mai del 1983) li ha visti al cinema.
Scozzese come l'alter ego letterario, già allora dotato di toupé e vanitoso al punto di depilarsi il petto con un disegno preciso che lo avrebbe reso più virile, Sean Connery divenne la sintesi del perfetto gentleman, sexy, ironico e impeccabile donnaiolo. Sean Connery é stato per il suo alter ego lettario quello che la cinematografica é stata per Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle: un ritratto così memorabile (e coinvolto in almeno un paio di film diventati classici del cinema) che i tratti creati nella versione cinematografica vengono attribuiti erroneamente al protagonista di Fleming.
GEORGE LAZENBY
Australiano subentrato a Connery nel 1969, incarna il prototipo dell'uomo anni '70: alto, magro, una virilità più istintiva e meno affettata del predecessore. Il Bond dimenticato: incarnò l'agente con licenza di uccidere per un solo film, ottenendo discreto successo di critica e pubblico. I produttori però posero fine alla sua ascesa richiamando Connery. Il suo momento cult é la battuta che rompeva la quarta parete: subito prima dei titoli di testa, si Lazenby si volta verso lo spettatore ed esclama "This never happened to the other fellow!"
ROGER MOORE
Il Bond più longevo, con all'attivo sette film in successione, Moore traghetta l'agente segreto in due decenni agli antipodi, i '70 e gli '80, e attraverso lo scontro legale che portò nel 1983 all'uscita di due film bondiani. Onde evitare il scarso gradimento di Lazenby, l'arrivo di Moore corrisponde a una grande operazione di rinnovamento del personaggio, ora più improntato all'ironia inglese e alla leggerezza ad oggi associata al ruolo. Moore, che interpretò nonostante la stanchezza l'agente fino all'età di 58 anni, ha donato una seconda vita al ruolo, diventato così iconico da dare il via a una serie di parodie, che si rifanno quasi sempre al suo Bond. Il grande scontro tra lui e Connery continua nel cuore dei fan. Nell'anno dei due Bond invece la battaglia venne vinta da Moore, di misura, al botteghino. L'attore ha il grande merito di aver consolidato la saga e di averle donato un successo globale.
TIMOTHY DALTON
Forse il Bond più disprezzato, subentrato a Moore sul finire degli anni '80 e all'inizio della profonda crisi che ha vissuto il personaggio. Scartato ai tempi di Al servizio segreto di sua maestà perché ancora troppo giovane e chiamato dopo che Brosnan aveva rifiutato per precedenti, inscindibili legami contrattuali, Dalton é il primo, grande fan di Fleming a interpretare l'agente doppio zero e ha regalato una perfomance vituperata dal grande pubblico ma molto amata dai lettori, che lo ammirano per aver preso la non facile scelta di mettere da parte l'ironia pop che stava uccidendo Bond in favore di un agente più spigoloso e non sempre entusiasta del proprio lavoro. Vittima della reazione dei fan, ancora molto attaccati a Moore, Dalton ha segnato la via che avrebbe poi intrapreso con grande successo Craig.
PIERCE BROSNAN
Il Bond più impeccabile ed elegante, forse persino anacronistico nei quattro film che hanno traghettato l'agente segreto nel nuovo millennio. Se Dalton ha fatto perdere l'innocenza a James, Brosnan ha saputo dargli un versante emotivo più definito (e meno razzista e sessista) mantenendo la leggerezza amata dal pubblico. Goldeneye segna la resurrezione del mito con ottimi incassi e buone critiche, ma a distanza di vent'anni i film di Brosnan sembrano essere invecchiati molto più dei predecessori. L'uomo che piaceva alle donne, il più rassicurante e impomatato, ma sempre più fuori tempo massimo con il passare dei film.
DANIEL CRAIG
Con soli quattro film all'attivo, Daniel Craig incarna nell'immaginario collettivo James Bond in maniera così profonda da eguagliare la mimesi di Sean Connery. Frutto di una scommessa coraggiosa da parte dei produttori e inizialmente oggetto di attacchi anche piuttosto pretestuosi (chi si lamentò della sua fisionomia farebbe bene a rileggersi Fleming), ha saputo sintetizzare le varie anime dell'agente in un distillato che ha aperto un nuovo importante capitolo nella mitologia bondiana. Assistito da un cast di primo livello e da un clima generale più cupo che mancò a Dalton, Craig ne ha portato a termine l'opera, riavvicinandosi al canone letterario, ma con una profonda attualizzazione del personaggio. Finalmente protagonista di storie compiute, complesse e radicate nella contemporaneità, il Bond di Daniel Craig ha imparato la lezione di Bourne e di Austin Power, tornando ad essere il punto di riferimento di un genere in piena salute, a cui tutti si rifanno.
SEAN CONNERY
La prima incarnazione e forse la più immediata nell'immaginario collettivo, la preferita dalla vecchia guardia, che Licenza di Uccidere e gli altri sei lungometraggi (tra cui l'apocrifo Mai dire mai del 1983) li ha visti al cinema.
Scozzese come l'alter ego letterario, già allora dotato di toupé e vanitoso al punto di depilarsi il petto con un disegno preciso che lo avrebbe reso più virile, Sean Connery divenne la sintesi del perfetto gentleman, sexy, ironico e impeccabile donnaiolo. Sean Connery é stato per il suo alter ego lettario quello che la cinematografica é stata per Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle: un ritratto così memorabile (e coinvolto in almeno un paio di film diventati classici del cinema) che i tratti creati nella versione cinematografica vengono attribuiti erroneamente al protagonista di Fleming.
GEORGE LAZENBY
Australiano subentrato a Connery nel 1969, incarna il prototipo dell'uomo anni '70: alto, magro, una virilità più istintiva e meno affettata del predecessore. Il Bond dimenticato: incarnò l'agente con licenza di uccidere per un solo film, ottenendo discreto successo di critica e pubblico. I produttori però posero fine alla sua ascesa richiamando Connery. Il suo momento cult é la battuta che rompeva la quarta parete: subito prima dei titoli di testa, si Lazenby si volta verso lo spettatore ed esclama "This never happened to the other fellow!"
ROGER MOORE
Il Bond più longevo, con all'attivo sette film in successione, Moore traghetta l'agente segreto in due decenni agli antipodi, i '70 e gli '80, e attraverso lo scontro legale che portò nel 1983 all'uscita di due film bondiani. Onde evitare il scarso gradimento di Lazenby, l'arrivo di Moore corrisponde a una grande operazione di rinnovamento del personaggio, ora più improntato all'ironia inglese e alla leggerezza ad oggi associata al ruolo. Moore, che interpretò nonostante la stanchezza l'agente fino all'età di 58 anni, ha donato una seconda vita al ruolo, diventato così iconico da dare il via a una serie di parodie, che si rifanno quasi sempre al suo Bond. Il grande scontro tra lui e Connery continua nel cuore dei fan. Nell'anno dei due Bond invece la battaglia venne vinta da Moore, di misura, al botteghino. L'attore ha il grande merito di aver consolidato la saga e di averle donato un successo globale.
TIMOTHY DALTON
Forse il Bond più disprezzato, subentrato a Moore sul finire degli anni '80 e all'inizio della profonda crisi che ha vissuto il personaggio. Scartato ai tempi di Al servizio segreto di sua maestà perché ancora troppo giovane e chiamato dopo che Brosnan aveva rifiutato per precedenti, inscindibili legami contrattuali, Dalton é il primo, grande fan di Fleming a interpretare l'agente doppio zero e ha regalato una perfomance vituperata dal grande pubblico ma molto amata dai lettori, che lo ammirano per aver preso la non facile scelta di mettere da parte l'ironia pop che stava uccidendo Bond in favore di un agente più spigoloso e non sempre entusiasta del proprio lavoro. Vittima della reazione dei fan, ancora molto attaccati a Moore, Dalton ha segnato la via che avrebbe poi intrapreso con grande successo Craig.
PIERCE BROSNAN
Il Bond più impeccabile ed elegante, forse persino anacronistico nei quattro film che hanno traghettato l'agente segreto nel nuovo millennio. Se Dalton ha fatto perdere l'innocenza a James, Brosnan ha saputo dargli un versante emotivo più definito (e meno razzista e sessista) mantenendo la leggerezza amata dal pubblico. Goldeneye segna la resurrezione del mito con ottimi incassi e buone critiche, ma a distanza di vent'anni i film di Brosnan sembrano essere invecchiati molto più dei predecessori. L'uomo che piaceva alle donne, il più rassicurante e impomatato, ma sempre più fuori tempo massimo con il passare dei film.
DANIEL CRAIG
Con soli quattro film all'attivo, Daniel Craig incarna nell'immaginario collettivo James Bond in maniera così profonda da eguagliare la mimesi di Sean Connery. Frutto di una scommessa coraggiosa da parte dei produttori e inizialmente oggetto di attacchi anche piuttosto pretestuosi (chi si lamentò della sua fisionomia farebbe bene a rileggersi Fleming), ha saputo sintetizzare le varie anime dell'agente in un distillato che ha aperto un nuovo importante capitolo nella mitologia bondiana. Assistito da un cast di primo livello e da un clima generale più cupo che mancò a Dalton, Craig ne ha portato a termine l'opera, riavvicinandosi al canone letterario, ma con una profonda attualizzazione del personaggio. Finalmente protagonista di storie compiute, complesse e radicate nella contemporaneità, il Bond di Daniel Craig ha imparato la lezione di Bourne e di Austin Power, tornando ad essere il punto di riferimento di un genere in piena salute, a cui tutti si rifanno.