Kill Me if You Can, Alex Infascelli racconta l’italiano che ispirò Rambo: l’intervista
Scopri come è stato ricostruire la storia dell’italiano che ispirò il personaggio di Rambo dalle parole di Alex Infascelli, regista di Kill me if You Can.
Di solito si arriva all’oggetto della propria indagine dopo essersene fatti un’idea precisa. Io invece Raffaele l’ho incontrato dopo aver letto il libro di Pier Luigi Vercesi. Mi sono fatto un’idea mia durante la nostra frequentazione, pensavo di avere tre colori per dipingerlo in questo documentario, invece poi ho scoperto attraverso le storie di chi l’ha conosciuto che ci sono una miriade di tonalità e non sono più riuscito a ricomporlo in un unico raggio di luce bianca.
Alex Infascelli mi racconta così il suo primo incontro con Raffaele Minichiello, un italiano dalla vita così incredibile che ne è bastata una piccola parte per ispirare il personaggio cinematografico di Rambo.
Nel documentario Kill Me if You Can è contenuta a malapena la miriade di storie che circonda un uomo di cui vengono date tante e diverse descrizioni, spesso contrastanti tra loro. È difficile immaginarle tutte appiccicate a una sola persona, anche se dalla vita eccezionale come quella di Minichiello.
La stessa cosa si può dire anche di Infascelli, regista e montatore di Kill Me if You Can. C’è chi lo ricorda come uno dei volti chiave che resero la giovane MTV un’emittente di culto negli anni ‘90, c’è chi ha amato i suoi film noir come Almost Blue e Il siero della vanità, chi lo ha apprezzato come regista di videoclip e, più di recente, come scrittore. Nella sua vita non si aspettava di diventare documentarista, ma poi qualcosa è cambiato.
Ho incontrato Alex a Milano e mi sono fatta raccontare tutto quello che dentro Kill Me if You Can non ci è finito: storie parallele, personali e tanto potenti quanto quella al centro del documentario.
Continua a leggere l’intervista ad Alex Infascelli su Kill me if You Can.
Come sei arrivato alla storia di Raffaele Minichiello? Pur essendo una vicenda italiana, non sembra essere così nota…
Nella mia famiglia si parla molto d’aviazione, quindi in qualche modo, a tratti, conoscevo già parte della storia dell’italiano che aveva dirottato un Boeing sul finire degli anni ‘60 in America. Nel 2017 è uscito in libreria il libro Il marine. Storia di Raffaele Minichiello, il soldato italo-americano che sfidò gli Stati Uniti d'America di Pier Luigi Vercesi e ho capito la vera, enorme portata di questa storia. Quella di Minichiello poi è una vicenda che sembra davvero un romanzo e, più me la raccontavano, più ci vedevo dentro anche qualcosa di davvero cinematografico, degno di un film.
Dopo S is for Stanley e Mi chiamo Francesco Totti, Kill me if You Can il tuo terzo documentario di fila…sei diventato un documentarista, quindi?
Non pensavo di essere un documentarista. Tempo fa volevo essere un regista, girare film. Pian piano però i miei gusti sono cambiati, mi sono accorto che mi interessavano sempre di più storie vere, fatti e persone radicati nella realtà. Quando mi è capitata per le mani la storia di Emilio D’Alessandro, quella alla base di S is for Stanley, non ci ho pensato due volte. Mi chiamo Francesco Totti invece è diverso: è un lavoro che ho fatto su commissione, me l’hanno chiesto. Alla fine però ne è uscito un documentario che è il mio lavoro più personale, che racconta tanto di me, del mio rapporto con Roma, della mia famiglia, della mia vita. Così, senza starci troppo a pensare, sono diventato un documentarista.
Cosa c’è di tuo in Kill me if You Can? Se c’è qualcosa di te in questo progetto, ovviamente.
Diciamo così: mi ha fatto rivalutare un modo semplice di vivere la vita e soprattutto i propri errori. Se c’è una cosa che detesto del tempo in cui viviamo è come tagli fuori ciò che è “troppo”. Non bisogna essere né troppo felici, né troppo tristi, bisogna sempre muoversi in maniera controllata, in una certa via di mezzo…Raffaele questo non l’ha fatto. Direi che c’è questo di mio nel documentario.
È stato difficile reperire il materiale per questo progetto?
Per niente, anzi. Appena ho cominciato a scavare ho trovato ore e ore di girato a lui dedicato. Sembra quasi che nei decenni ci sia sempre stato qualcuno deciso a raccontare la sua vita: Kill me if You Can è il primo tentativo di mettere tutto insieme, il prima e il dopo il dirottamento, gli anni italiani.
A colpirmi nel documentario è come ogni persona descriva Raffaele in modo molto differente. Si fatica a trovare una quadra. Ci fossi anche tu nel film, come lo descriveresti?
Nel documentario non cerco di dare una risposta a questa domanda, mi limito a tentare di restituire l’impressione che mi ha dato Raffaele. Già al primo incontro mi ero fatto una certa idea di lui e ne ho trovato conferma in quel mistero che si porta appresso, in quelle accurate omissioni che punteggiano ogni suo racconto della vita che ha vissuto. Certo è una vita complessa: domani potrebbe arrivare un altro regista e tirarne fuori un film completamente diverso dal mio, o forse complementare.
Sai qual è un’altra cosa che mi ha colpito? Le donne presenti e assenti nella sua vita. Sono personaggi altrettanto straordinari.
È così ed è un peccato che nessuno mi chieda mai di loro, che nessuno mi faccia mai domande sull’assenza delle donne in questa storia!
Alla fine quando si parla di “un uomo che ha ispirato Rambo” uno si aspetta un certo tipo di figura maschile, invece spesso Raffaele è stato salvato da donne non un passo indietro a lui, ma al suo fianco…
Lui è un uomo che dà una forte impressione di femminile. Il suo atteggiamento verso le donne della sua vita non voglio dire sia respingente, ma sicuramente è conflittuale. Le cerca, le trova e finisce sempre in qualche modo per perderle: le due mogli, la madre, la terza figlia…è interessante analizzare il suo rapporto con loro.
Credo sia riconducibile al trauma che l’abbandono paterno gli ha causato: torna dalla guerra in Vietnam pieno di traumi e il padre se n’è andato, lasciandolo dietro di sé.
A un certo momento ogni madre ti spinge a staccarti da lei, a diventare una persona compiuta. In quel frangente per un ragazzo è cruciale la figura del padre, perché quella della madre, della prima donna nella propria vita, può essere terribile, orrorifica. Lui invece non aveva più nessuno a cui guardare.
Non solo: a un certo punto del film il figlio gli dice che deve fargli da madre e da padre, insieme.
Proprio così. Raffaele in queste donne cerca un suo doppio, un suo riflesso antitetico, come avviene per il personaggio di Tracy, l’hostess che rimane al suo fianco e sembra quasi attratta da lui.
Parliamo di Tracy…vedendo il documentario ho pensato che avrei voluto un’intera serie su di lei: una donna pazzesca. Una delle prime hostess afroamericane, una giovane decisa a rimanere a bordo durante il dirottamento per stare vicino a un uomo in cui rivede parte della sua storia…avrei voluto sapere qualcosa di più su di lei. Dimmi: alla fine sei riuscito a scovarla?
Dietro Tracy c’è una storia incredibile che purtroppo non sono riuscito a inserire nel film. All’inizio volevo che Kill me if You Can finisse proprio con Raffaele che la incontra, ma il caso ha voluto che lei sia morta proprio nel 2018, quando mi sono messo a lavorare al progetto. Per trovarla ho assoldato un investigatore privato che è diventato ossessionato a sua volta da questa storia, ho ancora il montato di lui che racconta come l’ha trovata.
Alla fine siamo riusciti a contattare la figlia di Tracy, che è nata lo stesso anno del figlio di Raffaele. Lei si ricorda che la madre le diceva che se avesse avuto una storia con Raffaele la sua vita sarebbe stata molto diversa. Alla fine queste due persone, incontratesi per poche ore, si sono amate, a distanza, per anni.
Di questa storia per certi versi assurda rimane qualcosa di positivo. Dopo le riprese di Kill me if You Can Raffaele ha conosciuto la figlia di Tracy e, dopo anni di silenzio, ha ripreso i contatti con la sua terza figlia, Caterina. Questo progetto ha avuto un impatto enorme anche sulla sua vita.
Kill Me if You Can, l’ultimo lavoro di Alex Infascelli in lizza per i Nastri d’Argento come miglior documentario, arriverà nelle sale italiane il 27, 28 febbraio e 1 marzo.