La grande bellezza vinse l'Oscar esattamente 10 anni fa: ecco come Sorrentino conquistò la statuetta
Esattamente 10 anni fa, Paolo Sorrentino vinceva l'Oscar per La Grande Bellezza. In pochi sanno che la Francia contribuì, involontariamente, a questo traguardo.
Nella notte del 2 marzo 2014, di domenica, Paolo Sorrentino vinse l'Oscar come miglior film straniero per La grande bellezza. Sono passati 10 anni da quando Ewan McGregor e Viola Davis annunciano l'ultima vittoria di categoria italiana - prima che venisse rinominata "miglior film internazionale" - in una sezione in cui l'Italia detiene ancor oggi il record di vittorie, tallonata dalla Francia. Quella magica notte losangelina la ricordano in molti. Sorrentino che ringrazia emozionato e cita Maradona, i Talking Heads, Federico Fellini e Martin Scorsese sul palco dell'allora Kodak Theatre, Toni Servillo raggiante al suo fianco, il ringraziamento a Roma e Napoli, l'inquadratura alla moglie raggiante che lo guarda dalla platea con un Oscar in mano.
Dieci anni sono passati, La grande bellezza si è rivelato un film all'altezza di quella vittoria. Sono entrati nell'immaginario nazionale il personaggio di Jep Gambardella, le feste romane con in sottofondo il remix di A far l'amore di Raffaella Carrà, le passeggiate lungo il Tevere, i completi sartoriali dai colori vibranti, l'odore delle case dei vecchi e le stilettate linguistiche del protagonista ("io non volevo solo partecipare alla feste, io volevo avere il potere di farle fallire!"). In quello internazionale è entrato Sorrentino, che ha consolidato la sua allure con The Young Pope e con una seconda nomination con È stata la mano di Dio, ridando vitalità all'immagine di felliniana di Roma, culla di bellezza e degrado, altissimo e bassissimo, sacro e profano. Un'immagine di cui l'intero cinema italiano sembra non riuscire a fare a meno. Sorrentino incluso.
La storia la scrivono i vincitori, per cui a 10 anni di distanza la vittoria di La grande bellezza pare quasi inevitabile, più che pronosticata. Invece Paolo Sorrentino vinse un Oscar che avrebbe potuto facilmente finire in altre mani. Oltre a un testa a testa finale con un altro film nominato - il danese Il sospetto di Thomas Vinterberg - Sorrentino si portò a casa la statuetta grazie a un enorme, involontario regalo dei cugini francesi. Esattamente come avvenuto nel 2024 con la mancata nomination di Anatomia di una caduta (e quella sorprendente di Matteo Garrone con "Io capitano"), la Francia anche nel 2014 riuscì a farsi sfuggire una nomination certa e una vittoria molto, molto più probabile di quella italiana.
Ecco come Paolo Sorrentino vince il suo primo Premio Oscar, grazie all'insperato aiuto del cinema francese.
La grande bellezza: l'eterno secondo che divenne primo
Proprio come avviene nel 2024, i film più forti nella categoria miglior film straniero nel 2014 erano stati lanciati dal Festival di Cannes. La carriera stessa di Sorrentino è germogliata a Cannes. Quando ancora in Italia era invisibile al pubblico e poco seguito dagli addetti ai lavori, le sue prime opere suscitavano l'attenzione della kermesse francese.
Va riconosciuto che è stata la Mostra del cinema di Venezia nel 2001 a ospitarlo con il primo lungometraggio, L'uomo in più nella sezione Cinema del Presente. La visibilità internazionale arriva però nel 2004, quando Cannes decide di piazzare il suo Le conseguenze dell'amore in concorso. Il film, pur non diventando un successo commerciale, accende i riflettori su Sorrentino e sul suo attore feticcio, Toni Servillo, allora poco noto al di fuori del circuito teatrale. I successivi film finiscono sempre in concorso a Cannes, cementificando l'amore della critica internazionale per il regista italiano.
Nel 2008 arriva Il Divo, sempre in concorso a Cannes. Sorrentino centra il premio della Giuria, ma alcuni puntavano su di lui per la vittoria della Palma d'Oro. Il film finisce anche agli Oscar con una nomination per il trucco che trasforma Toni Servillo in Giulio Andreotti. Complice l'argomento incendiario del film - una biografia caustica del celebre uomo politico - e le critiche entusiaste dalla Francia e dal tutto il mondo, Sorrentino comincia a esistere anche per il grande pubblico italiano.
Dopo un paio di film non esaltati, arriva il 2013 e Sorrentino torna a Cannes con un film ambizioso, fortissimo, perfetto per il pubblico statunitense che mai ha dimenticato Federico Fellini: La grande bellezza. Stavolta Sorrentino è tra i favoriti alla corsa alla Palma d'Oro. Il responso critico, per lui e per Servillo, è trionfale. La delusione è grande quando prevale l'altro favorito della competizione, il francese La vita di Adele (La Vie d'Adèle) di Abdellatif Kechiche. Sorrentino rimane senza premio, l'Italia si lecca le ferite.
La Vita di Adele è un film fortissimo, che lanciò dieci anni fa le carriere di due attrici come Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux, diventata una star anche negli Stati Uniti. La rivediamo in questi giorni in Dune: parte due, ma è stata anche più che una semplice Bond Girl in No Time to Die. Nel 2014 come nel 2024 avere una Palma d'Oro in tasca era un grande aiuto nella strada verso la statuetta come miglior film internazionale. Vincere Cannes rende più facile ottenere visibilità, portare il pubblico in sala (almeno in teoria) ma soprattutto trovare un distributore statunitense.
Per i film stranieri è fondamentale avere una buona distribuzione negli Stati Uniti, avere un partner commerciale che organizza proiezioni, incontri col pubblico, passaggi ai festival locali e feste in cui incontrare i votanti dell'Academy. In una corsa a un Oscar che allora vedeva più di 70 film inviati dalle rispettive nazioni e oggi sfiora il centinaio, la visibilità è tutto. All'epoca de Il divo, l'Italia non credette in Sorrentino: si preferì inviare Baarìa di Giuseppe Tornatore. La motivazione della commissione italiana per questa scelta fu proprio un mero fattore di visibilità e fama. Tornatore aveva già vinto un Oscar per Nuovo Cinema Paradiso, per cui era noto ai votanti dell'Academy. Inoltre Il Divo, a torto o a ragione, venne considerato troppo "italiano", raccontando una storia infarcita di personaggi famosissimi in Italia ma sconosciuti a livello internazionale.
Sorrentino vinse perché l'Italia non sbagliò nulla e la Francia tutto
Nel 2013 però, al momento di scegliere di nuovo quale film mandare a rappresentare l'Italia agli Oscar, la musica è cambiata: Sorrentino è diventato l'uomo su cui puntare. Una scelta strategica: stavolta il film racconta un'Italia, una Roma che gli statunitensi amano. La grande bellezza è un aggiornamento di quella Dolce Vita felliniana a cui ancora tanti votanti all'Academy associano il cinema italiano.
L'Italia si muove compatta e stavolta non lascia niente d'intentato. Il film trova un distributore, Sorrentino e Servillo presenziano a feste in cui viene mostrato il film. Dà un mano anche il fronte italoamericano dell'Academy, che riconosce la sua Italia nell'Italia di Sorrentino. Martin Scorsese appare spesso al fianco di Paolo Sorrentino, lascia a intendere tutto il suo apprezzamento per la pellicola. La notte prima della premiazione, Giorgio Armani organizza un scintillante party losangelino per la pellicola. L'Italia tutta fa sistema, ci crede.
Questo grande sforzo comune però sarebbe servito a poco se la Francia avesse potuto, voluto giocare il suo asso nella manica: La vita d'Adele. Torniamo al 2014, al periodo di Award Season: gli scommettitori e e la stampa americana sostengono che ci sia spazio per una nomination del film francese come miglior film. Non miglior film straniero, miglior film. Anche Léa Seydoux, grazie alla sua grande performance nel film e al potentissimo nonno produttore, è considerata una possibile candidata come miglior attrice protagonista. Dieci anni fa era molto, molto più difficile di oggi per un film straniero conquistare questo tipo di buzz. La vittoria storica del film coreano Paradise (un altro figlio di Cannes) era ancora di là da venire. Gli statunitensi dell'Academy erano molto, molto più restii a vedere "film internazionali".
Succede però che i francesi, come spesso accade quando si parla di Oscar, sbagliano tutto. Già all'indomani della vittoria della Palma d'Oro, il regista Abdellatif Kechiche comincia a litigare con le sue due muse, Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux. Il litigio è mediatico: le attrici lo accusano di averle portate allo stremo per girare le scene erotiche tanto chiacchierate nel film, lui risponde per le rime. Ci si mette pure il produttore del film, che definisce l'Oscar "un premio di poco valore, a differenza della Palma".
Con una decisione che ha del clamoroso, la Francia sceglie come suo candidato agli Oscar il biopic Renoir di Gilles Bourdos. Passato a Cannes in una sezione minore, il film non ha il pedigree del vincitore della Palma, né tantomeno gode della stessa popolarità. È un decisione di ripiego. L'orgoglio francese infatti porta il distributore di La vita di Adele a non anticipare l'uscita al cinema in Francia entro settembre, condizione necessaria per rendere il film candidabile. Così il film non è nominabile come miglior film straniero. La Francia si dà insomma la zappa sui piedi: tra le polemiche, le critiche agli Oscar e la mancata nomination nella categoria passepartout di Miglior film internazionale, La vita di Adele rimane del tutto a bocca asciutta.
La grande bellezza invece centra con facilità una nomination nella cinquina dei finalisti. C'è però ancora un avversario da battere e uno parecchio ostico: anche la Danimarca è a caccia di un Oscar. Lo fa con un film davvero strepitoso: Il sospetto di Thomas Vintemberg, storia di un insegnante d'asilo la cui vita viene stravolta da un'accusa (infondata) di aver approfittato del suo ruolo per fare avanche sconvenienti a una bambina. Nel ruolo del protagonista c'è l'immenso Mads Mikkelsen, che già allora era molto popolare a Hollywood. Film che, ancora una volta, lanciò il Festival di Cannes: anche Il sospetto infatti era in concorso e vinse proprio per l'interpretazione dell'attore danese, divenuto una star internazionale grazie al ruolo del cattivo in Casino Royale, il primo 007 di Daniel Craig. In altre competizioni fu Vinterberg a prevalere su Sorrentino: il suo film vinse un Bafta e un EMA (European Movie Award), confermando il suo status di film "importante" del 2012.
Alla vigilia degli Oscar per gli scommettitori era testa a testa tra Sorrentino e Vinterberg, tra felliniano e movimento cinematografico danese Dogma 95, di cui il regista fu uno dei fondatori. Dato che l'Academy non pubblica mai le statistiche di vittoria, anche ad anni dalla consegna delle statuette, non sapremo mai se Sorrentino la spunto per pochi o molti voti. Così come non sapremo mai cosa sarebbe successo se la Francia fosse riuscita a candidare La vita d'Adele, che era molto popolare ma, secondo alcuni, troppo erotico e queer per conquistare davvero un Academy sorprendentemente pudica.
Quello che sappiamo, dieci anni dopo, è che La grande bellezza è un film che è rimasto, che Sorrentino ha confermato il suo status di regista italiano "internazionale" con una seconda nomination. A dieci anni di distanza, l'Italia è riuscita a piazzare un altro suo regista, Matteo Garrone, in una cinquina che può cambiare le sorti di una carriera cinematografica. Non male davvero, nella speranza di poter avere presto altri cineasti (e cineaste) italiani in grado di centrare questo risultato.