Oppenheimer è davvero il miglior film del 2023 o l'Oscar è andato al titolo sbagliato?
Gli Oscar hanno sancito che il film di Christopher Nolan è il migliore
Christopher Nolan ha vinto finalmente il suo primo Oscar da regista, ha visto il suo primo lavoro vincere la statuetta più ambita degli Academy Award: quella di miglior film. L’Oscar a miglior film ogni anno racconta quale sia il titolo che, a parere di chi il cinema lo fa a Los Angeles e dintorni, abbia segnato in maniera più incisiva l’annata di cinema appena trascorsa. Come noto infatti, gli Academy Awards sono assegnati da un’organizzazione che dà diritto di voto ad alcune migliaia di persone che lavorano, a vario titolo, nell’industria cinematografica, con una netta prevalenza di membri statunitensi che gravitano attorno a Hollywood.
Vale quindi la pena analizzare questa scelta, chiedersi perché sia stata fatta, cosa ci racconta e soprattutto se sia meritata.
Oppenheimer è senza dubbio uno dei migliori film del 2023
Partiamo dall’ultima domanda, che è la più facile a cui rispondere: sì, Oppenheimer è uno dei grandi film dell’anno,una vittoria contro cui è razionalmente difficile argomentare. Il 2023 è stata un’annata di cinema di ottima qualità a Hollywood e dintorni, ma anche in Europa. Un’ottima annata riassunta bene dagli Oscar in fase di nomination: le scelte dell’Academy sono state molto lungimiranti. Si può sostenere che Oppenheimer non sia il miglior film degli ultimi 12 mesi, certo, ma la sua qualità è così alta, il suo apporto cinematografico è così solido che non presta il fianco ad alcun tipo di critica rispetto alla sua qualità, il che fa di questo film già un’ottima scelta.
Oppenheimer è un film vincente in modi che piacciono non solo agli artisti di Hollywood, ma anche all’intera industria del cinema statunitense. Erano molti anni che un campione di botteghino degli incassi nazionali e internazionali non vinceva questa statuetta. Oppenheimer è un film riuscitissimo anche in senso commerciale, attestando tra l’altro l’ottimo lavoro che Universal sta facendo a livello di produzione, come studio che porta al cinema film con ambizioni e budget differenti, cedendo raramente alle mode del momento ma con una linea industriale definita, solida, forte. Warner Bros non sta passando un bel momento invece e il fatto che Nolan abbia centrato questo obiettivo dopo aver terminato una lunga collaborazione con lo studio, dopo essersi sentito tradito per come il precedente Tenet è stato distribuito in sala e in streaming, dovrebbe indurre a molte riflessioni interne.
Per la salute stessa degli Oscar intesi come premio di riferimento per il mondo del cinema invece la vittoria di un film così popolare è un toccasana. Dopo anni in cui hanno prevalso pellicole indie, meno note o proprio di nicchia, questa vittoria fa sentire parte del discorso relativo agli Oscar un gran numero di spettatori casuali, che possono quindi commentare la mattina dopo la cerimonia, perché l’hanno visto al cinema.
L’aspetto più gratificante di Oppenheimer è che è un film estremamente popolare e mainstream senza però essere un film che fa concessioni verso il basso, che rinuncia alla sua autorialità e alla sua complessità per attirare il pubblico in sala. Uno dei grandissimi meriti di Christopher Nolan, che davvero gli è valso quelle due importanti statuette, è di essere stato in grado di convincere il pubblico che bisognava andare in sala, anche a fronte di un film lungo tre ore e pieno di dialoghi sulla fisica quantistica, complesse valutazioni scientifiche, politiche, burocratiche.
Nolan torna a tener fede al suo impatto col pubblico
Non è da tutti, anzi: negli anni l’unicità di Nolan regista e creatore si è espressa proprio nella capacità di tener vivo una sorta di patto con il pubblico, presentatosi sempre in sala sulla base di un rapporto di fiducia. I biglietti staccati e gli incassi generati hanno consentito a Nolan di puntare sempre più di alto, di convincere gli studios a finanziare blockbuster molto dispendiosi e tutt’altro che sicuri.
Tenet in questo senso ha rappresentato un’impasse, un inciampo dovuto sicuramente alla difficoltà di rinnovare quel patto in piena pandemia, ma anche a un film che partendo da un’enorme complessità deviava fino a essere convoluto. La mancanza di fiducia di Warner e la disponibilità di Universal a rimanere accanto a Nolan hanno fatto il resto.
È interessante però notare con che film Nolan abbia raggiunto questo traguardo. Sebbene nella narrazione mediatica Oppenheimer sia un film “difficile”, scomponendone i vari elementi si nota come sia uno dei film più tradizionali ed elementari mai girati da Nolan. Innanzitutto baratta la scienza con la fantascienza, genere notoriamente inviso all’Academy. Le linee temporali non sono presentate in ordine cronologico ma sono infinitamente più immediate dei loop e delle ellissi che caratterizzano il tardo cinema noliano. Oppenheimer non è il suo primo film storico ambientato in ambito bellico, ma è molto più tradizionale e Oscar-friendly di quanto tentato da Dunkirk.
Innanzitutto Dunkirk racconta una storia di miseria ed eroismo inglese, un evento storico visto dalla prospettiva britannica, anche se contiguo al coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale sullo scenario europeo. Oppenheimer invece è un film intrinsecamente americano per ambientazione, per mentalità, per indagine psicologica, con tanto di bandiera a stella e strisce che sventola a El Alamo. Entrambi i film raccontano dei momenti chiave del conflitto, ma anche la mentalità e l’animo degli Alleati sulle due sponde dell’Atlantico. Oppenheimer dunque è più statunitense (il che non guasta, anzi), ma anche più tradizionale come approccio. A differenza di un film collettivo e abbastanza spersonalizzato come Dunkirk - una pellicola episodica, fatta di folle, facce poco distinguibili tra loro, soldati semplici nel fango - Oppenheimer è il trionfo dell’individualismo statunitense.
Come il più tradizionale dei biopic racconta un’ascesa e una caduta e mette al centro un uomo geniale e, sia per pregi sia per difetti, eccezionale. Nolan utilizza questa grammatica basilare del film biografico per ricavarne un racconto molto complesso, ma quel senso di familiarità con una struttura concettuale vista e assimilata decine di volte rimane rimane. Intorno al protagonista c’è poi una società statunitense i cui lati negativi sono incarnati da burocrazia e strutture governative, mentre il meglio è caratterizzato dai rapporti professionali e umani, dalla libertà contrapposta all’oppressione di nazismo e comunismo, al melting pot culturale che diventa combustibile creativo per la risoluzione dei problemi matematici, fisici e logistici relativi alla bomba H.
Sfortunatamente anche il contesto storico attuale ha reso improvvisamente meno polveroso lo scenario bellico del film, ricordandoci che viviamo ancora nell’epoca iniziata da Oppenheimer e dalla sua messa a punto dell’atomica. Sul versante storico Nolan è tornato ancora una volta ad esercitare quel suo proverbiale perfezionismo, traslato in una ricostruzione 1:1 dei set dal vero, nel suono quasi sempre catturato in presa diretta, nel monumentale lavoro di quanti intorno a lui hanno trovato soluzioni creative per ritrarre la bomba partendo da immagini catturate dal vero senza doverne sganciare una.
Oppenheimer è lo stato dell’arte cinematografica raggiunta da un gruppo di lavoro
Il fatto che Oppenheimer abbia vinto 7 Oscar raccolta anche un altro fatto: Nolan ha saputo fare la differenza anche per la sua squadra, circondandosi di professionisti eccellenti e portando anche loro alla vittoria. Questo è particolarmente evidente nelle carriere di Cillian Murphy e di Robert Downey Jr.: il primo è un interprete figlio del vivaio nolaniano che ha sfruttato al meglio la grande occasione che il regista e amico gli ha proposto. Il secondo ha scelto il film di Nolan per lanciare il messaggio che una nuova fase della sua carriera post Marvel era iniziata, una in cui voleva essere preso sul serio.
Lo stesso discorso si può fare per il giovane compositore Ludwig Göransson o per il direttore della fotografia Hoyte van Hoytema. Se Oppenheimer ha conquistato la statuetta come miglior film è anche perché Universal ha fornito a Nolan il budget necessario per circondarsi dei professionisti che preferiva, mettendoli nelle condizioni di lavorare al meglio e fare un lavoro così memorabile da arrivare anche loro al traguardo della statuetta.
Oppenheimer dunque è un film di altissima qualità e per certi versi molto meno indigesto per i gusti dell’Academy rispetto a un’opera fantascientifica. Tuttavia è anche una pellicola che vede un’evoluzione e una progressione nella storia filmica di Nolan.
Uno dei punti deboli del suo cinema, per esempio, è sempre stata la scarsa incisività dei personaggi femminili, unita a un approccio algido, razionale. Pur non essendo centrali nel racconto, i personaggi di Emily Blunt e Florence Pugh sono molto più assertivi della donna tipo dei film di Nolan. Complice l’evidenza storica,
Nolan si è qui lanciato nell’esplorazione dell’intimità contraddittoria del suo protagonista, con alcuni nudi e una scena espliciita molto dibattuta, da alcuni contestata. Personalmente invece trovo che Oppenheimer sia così incisivo anche perché Nolan qui sperimenta spesso in territori che il suo cinema in precedenza aveva disertato. Si prende dei rischi e quasi tutti pagano.