Intervista a Nadia Tereszkiewicz, protagonista di Rosalie: "sogno di lavorare con Alice Rohrwacher, sto imparando l'italiano per lei"
Una delle più quotate attrici francesi, reduce dal successo del bellissimo Rosalie ora nelle sale italiane, è una fan di Alice Rohrwacher. Tanto da imparare l'Italiano per lei.
Nadia Tereszkiewicz è più che un nome in ascesa del cinema francese. Non ha ancora 30 anni e ha già lavorato con un numero impressionante di registi di grido della scena francese, da Robin Campillo a François Ozon, dopo essere stata lanciata dal film autobiografico di Valeria Bruni Tedeschi orever Young - Les Amandiers, dove interpretava la regista da giovane.
Ascolta Il podcast di Rosalie con l'intervista a Nadia Tereszkiewicz
Bionda, occhi azzurri, un passato da danzatrice classica che le dona un'innata grazia nei movimenti, Nadia Tereszkiewicz non ha paura di sfidare la sua immagine un po' angelicata con ruoli compressi, che sfidano il modo tradizionale di raccontare le donne al cinema. Un esempio perfetto è Rosalie, la protagonista titolare del suo ultimo film, ora nelle sale con Wanted Cinema.
La giovane protagonista del film va in sposa a un uomo che conosce a malapena, un reduce di guerra che gestisce una locanda poco frequentata. Lei gli nasconde un segreto: per una condizione genetica di cui soffre dalla nascita, ha una fitta peluria sulla schiena e sulle gambe e le cresce la barba sul volto. Cresciuta con un padre che vorrebbe a tutti i costi nascondere questo lato della sua persona, Rosalie trova la forza di accettarsi e di creare da zero un rapporto con l'uomo complesso che si trova di fianco.
La fede della protagonista, la sua forza nel fare scelte anticonvenzionali, la sua lealtà verso chi ama: Nadia Tereszkiewicz ha molto in comune con il personaggio. Ci siamo fatti raccontare da lei questa sfida e le sue future prove, che la porteranno ad esordire in un film italiano. Con la speranza di poter lavorare presto con una regista, italiana, che ammira moltissimo.
Parliamo un po’ di Rosalie, il film con cui sei nelle sale in questi giorni. Come sei venuta a conoscenza di questo progetto così particolare e cosa ti ha convinta ad accettare la parte?
Dietro questo film c’è una storia curiosa. Pensa che non vedevo la regista Stéphanie Di Giusto da sei anni prima di cominciare a lavorare su questo film. È stata lei a riconoscermi, nel pieno della pandemia, mentre tra l’altro indossavo la mascherina che mi copriva metà del viso. Mi ha visto salire una scala e mi ha fermato, chiedendomi se volevo fare un'audizione. Io le ho detto di sì e dopo il provino mi ha chiesto se mi andava bene interpretare una donna con la barba. Io ho risposto di sì.
Della storia di Rosalie mi è piaciuto moltissimo come, nonostante sia ambientata nel 1870, la sua protagonista sia una donna coraggiosa che sfida le convenzioni. La cui storia mi ha profondamente emozionato sin dalla lettura del copione. Ne sono rimasta molto commossa.
Mi sono commossa un po’ anche io vedendo il film, sai? Soprattutto quando lei si fa scattare delle foto promozionali per attirare i clienti al locale del marito e pian piano si scopre di più. Si vuole sentire libera, sexy, un po’ come quanti su Instagram pubblicano una foto in cui si sento belli, magari un po’ provocante.
Sì, ho trovato fantastico come nel corso della storia lei trovasse il coraggio di essere sé stessa e come la barba fosse un elemento che Rosalie realizza di voler incorporare nella sua identità. Lei comincia a sentirsi bene quando non deve più preoccuparsi di incipriarsi e di nascondere il suo “problema”, ma è libera di mostrarsi per come è e ne va fiera.
Anche la storia d’amore tra la protagonista del film e il marito non è banale, anzi. Si ritrova in un matrimonio ricco di segreti e non detti e, nonostante sia giovane e lontana dalla sua famiglia, alla fine è lei che fa funzionare la relazione, la fa diventare più profonda superando le sue paure e quelle del marito.
Io penso che Rosalie e il marito Abel, interpretato Benoît Magimel, siano due personaggi così distanti, distrutti da esperienze passate. Lei però ha una posività di fondo, una fede che le fa credere non solo in Dio, ma anche nell’amore. Rosalie crede nella possibilità di essere amata, mentre lui non crede più in niente. Nonostante quello che le succede, lei come donna non è mai vittima e anche nelle sue azioni più piccole c’è sempre il tentativo di dimostrare amore. All’inizio non è facile, incontra un’enorme resistenza da parte di Abel.
Quello che mi ha rapita di questa storia d’amore è come a un certo punto loro non riescano a resistere al desiderio. Noi viviamo in una società che tende a raccontare solo un certo tipo di donne come desiderabili. Credo che ci sia davvero bisogno di una sensualità nuova, un erotismo diverso, legato a una bellezza slegata dai tanti codici che abbiamo. Ci può aiutare anche avere film con facce differenti, lontane dal tipo di bellezza che viene sempre chiesto alle donne. Spesso vediamo solo un certo tipo di apparenza esteriore.
Ho letto che tu e Benoît Magimel avete avuto un approccio un po’ particolare al film e alle scene d’intimità che vediamo in Rosalie.
È vero. Abbiamo deciso di non vederci prima del film di confrontarci, né ci siamo parlati durante le riprese tra una scena e l’altra. È stata un’esperienza molto forte. Posso dire al contempo di non conoscerlo e di aver condiviso con lui dei momenti intimi. Questo approccio mi ha permesso di relazionarmi a lui come persona senza rompere un certo tipo di mistero, continuando a non capire tutto di lui. Credo che questo approccio abbia influito molto sulla recitazione, perché abbiamo usato i nostri sentimenti che stavamo provando nel ritrarre lo smarrimento dei personaggi.
Rosalie è un film diretto da una regista. Anni fa, in occasione dei César, avevi lamentato come pellicole dirette da donne fossero rimaste fuori dalle nomination. Per te un film diretto da una regista in qualche modo ha la priorità quando ti ritrovi a scegliere che progetto accettare?
Sono contenta di far parte di una generazione di attrici che possono relazionarsi non solo con più registe, ma anche con più produttrici. Di certo, rispetto al passato, ci sono più film che nascono dallo sguardo femminile.
Tuttavia non posso lamentarmi, anche perché ho avuto in carriera la possibilità di interpretare ruoli davvero incredibili che sono stati scritti da uomini: penso ai film che ho girato con Robin Campillo, François Ozon, Thomas Vincent… i loro ruoli mi hanno cambiato la vita. Sono però contentissima che Stéphanie abbia potuto fare il suo film, che sia riuscita a produrlo, perché Rosalie è un film quasi avanguardistico su una donna davvero forte. È importante che vengano prodotti film potenti sulle donne diretti da donne, ma la vera uguaglianza è che ci siano film potenti e basta, non importa chi li scrive.
Per me, come attrice, è cruciale il ruolo, la visione. A me serve che sia un ruolo complesso, magari anche capace di disturbare un certo status quo su come raccontiamo i rapporti tra uomini e donne. Quando trovo un ruolo così, dico sempre sì. Il problema è che per molto tempo ruoli così non se ne trovavano proprio.
Nel film vediamo Rosalie pregare ogni sera e attraversare anche una crisi di fede. Tu hai spesso ricordato nelle interviste di essere credente, di confessione luterana. Per te è un valore aggiunto interpretare questo lato di te su grande schermo?
A me piacciono molto i personaggi che credono, mi piacciono le persone che credono. Non per forza nella religione, eh. Che tu creda negli alberi, nell’universo…è un modo saggio, un modo giusto per affrontare la paura umana verso il futuro ignoto, verso quello che succederà.
Non sento però il bisogno di portare questa parte di me in un ruolo, o quantomeno di cercarlo. Rosalie crede fermantemente nella sua santa protettrice, la vediamo pregare in molte scene. Mi è piaciuto come lei confidi in qualcosa di più grande: mi piace tantissimo questo suo lato.
Stiamo facendo questa intervista al telefono, in italiano, perché tu parli davvero tante lingue e tutte molto bene. Tuttavia per ora ti abbiamo visto prevalentemente in film francesi. Ti piacerebbe sfruttare questa tua abilità per lavorare in produzioni europee di altri paesi?
Al momento sto girando un western in Italia con i registi di “Re Granchio”, Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis,
Ah, “Re Granchio”? Sì, è davvero un gran film.
Vero? È un progetto molto eccitante, perché è una cosa nuova, che non ho mai fatto. Ho accettato il ruolo perché ho amato il loro precedente film. È ambientato nel 1870, più o meno come Rosalie. Sono sul set con un attore italiano di cui non posso ancora rivelare il nome, ma credimi, è incredibile. Sono troppo contenta di lavorare con lui…e con i cavalli. Ogni giorno vado a cavallo, pensa.
Sapevi già andare a cavallo?
No pensa! Non avevo mai toccato un cavallo in vita mia prima di arrivare sul set, per me è davvero una novità. Adesso ho cominciato ad andare al galoppo (ride).
Dopo essere sbarcata in Italia, se arrivasse la chiamata di Hollywood…come te la cavi con l’inglese?
Dipende sempre dal progetto. Non è uno stimolo in sé e per sé, io sono molto, molto appassionata di cinema nord Europeo: film danesi, finlandesi, norvegesi…quello è il tipo di cinema da cui sono attratta.
Mi fai qualche nome di registi nord europei che ti piacciono?
Adoro Juho Kuosmanen e il suo Scompartimento n. 6 - In viaggio con il destino. Joaquim Trier, Thomas Vinterberg…adoro il loro film. Invece in Italia adoro Alice Rohrwacher: è la mia regista preferita al mondo, sto imparando l’Italiano nella speranza di poter lavorare con lei, adoro il suo lavoro.
Caspita.
Sì, dillo pure, mettici una buona parola per me (ride). Tutto il cinema di Alice davvero mi tocca il cuore, c’è dentro tutto quello che amo: la sacralità e le cose concrete, di avere fantasia e follia nella vita, la poesia, l’umorismo, il parlare di chi non c’è più. Se devo scegliere tra Alice e Hollywood, prendo Alice subito, la scelgo mille volte.
Ultima domanda, sempre su un’icona italiana. Ma come ci sei finita in un video musicale di Ornella Vanoni?
Come hai fatto a scoprirlo? Sono un po’ imbarazzata, anche se adoro Ornella.
La conosci?
No, è che la regista del videoclip, pensa, è la mia migliore amica. Si chiama Marta Bevacqua, abbiamo lavorato su tantissimi set insieme. L’ho incontrata a 17 anni, è stata la prima italiana con cui ho lavorato, abbiamo fatto una marea di foto e video insieme. Lei è partita dal niente, è arrivata a Parigi senza sapere una parola di francese11 anni fa. Pian piano è cresciuta, ora fa le copertina per le riviste, gira video…lei è stato tra le prime a farmi lavorare e ora, se posso, le ricambio sempre il favore. Farò sempre in modo di essere disponibile per lei. Adoro lavorare con Marta, siamo in sintonia. Non le avevo nemmeno chiesto per chi fosse il video, lei mi ha chiamato e io le ho detto subito sì. Poi ho scoperto che era il videoclip per una canzone di Ornella.