Brady Corbet voleva che The Brutalist sembrasse girato negli anni ‘50: ecco come ci è riusciuto

Guardando The Brutalist si ha l’impressione di vedere una pellicola del lontano passato: il regista Brady Corbet voleva esattamente questo.

di Elisa Giudici

The Brutalist è il racconto di un’odissea personale e familiare. Al centro della vicenda c’è Adrien Brody nei panni di un architetto della corrente brutalista, di passaporto ungherese e di fede ebraica che sopravvive all’Olocausto e, tra molte dicoltà, si trasferisce a fine anni ‘40 con moglie e nipote negli Stati Uniti, ricominciando da zero. Il film di Brady Corbet è una dura critica all’ideale del sogno americano, che tradisce il protagonista László Tóth, arrivato negli Stati Uniti per sfuggire a un’Europa che per lui è un capitolo chiuso. Il vecchio continente e il Reich l’hanno quasi ucciso, l’America sembra tendergli una mano, pur facendolo ricominciare da zero e dal basso. In realtà invece si ritroverà in una società altrettanto insidiosa, razzista e respingente.

The Brutalist, il podcast


Forte di 10 nomination agli Oscar 2025, il film è stato spesso definito “monumentale” e ha impressionato critica e pubblico proprio per la scala con cui si muove e la forza e la bellezza delle sue immagini. A un primo impatto infatti è difficile immaginare che sia un titolo dal budget modestissimo: il film è costato appena 10 milioni di euro, messi insieme con fatica dal regista, che per molti anni è stato l’unico a credere nel progetto. Un sacrificio enorme e una pazienza infinita: Brady Corbet ha speso 7 anni a preparare il film e 22 mesi a girarlo e montarlo. Un lavoro di preparazione minuzioso, volto a proprio dare questo senso di grandiosità, guardando ai fasti del cinema passato.

Perché The Brutalist è stato girato in Ungheria

La prima impressione, vedendo The Brutalist, è proprio quella di vedere un classicone dimenticato degli anni ‘50 e ‘60:è l’aspetto stesso del film (dai colori ai movimenti di cinepresa) a separarlo nettamente da quasi tutto quello che vediamo oggi in sala. Questa prima, spiazzante impressione è stata fortemente voluta e cercata dal suo sceneggiatore e regista, con una serie di scelte tecniche che, tra l’altro, gli hanno parecchio complicato la vita sul set.

Dopo anni di pianificazione e molte avverse fortune (prima la guerra in Ucraina poi il COVID hanno fermato la produzione del film) Corbet decide di girare in Ungheria. Innanzitutto perché è la terra natale del protagonista, interpretato da Adrien Brody (la cui famiglia ha tra l’altro origini ungheresi). Inoltre l’Ungheria è una nazione con una forte cultura cinematografica e un approccio molto tradizionalista alle riprese, dove ancora si gira tantissimo in pellicola, su supporto fisico, preferendolo al digitale. Corbet questo film l’ha fortemente voluto girare su pellicola: è questo il primo aspetto che dona a The Brutalist quel fascino retrò, grazie alla grana della pellicola, alle imperfezioni visibili in più punti e ovviamente alla resa dei colori vivida e calda, brillante.

Cos’è il VistaVision e perché ha cambiato l’aspetto di The Brutalist

Corbet inoltre ha scelto un formato d’impessione della pellicola molto popolare tra gli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti, quello con cui Alfred Hitchcock girò La donna che visse due volte e Intrigo internazionale. Formato poi caduto in disuso proprio negli anni in cui si conclude The Brutalist. Questo formato ad alta risoluzione e panoramico si chiama VistaVision e ha una particolarità che ha un fortissimo impatto sull’immagine finale.

A differenza della classica cinepresa che imprime la pellicola a 35 millimetri verticalmente, le cineprese VistaVision fanno scorrere orizzontalmente la pellicola. Questo significa che la superficie del singolo fotogramma, impressa orizzontalmente, è maggiore. Ne esce un’immagine panoramica che passa da un rapporto a 1:35:1 a un 1:66:1.

Il risultato è un’immagine con una profondità di campo visivo maggiore, ma al contempo una capacità di dettaglio notevole. Per un film sull’architettura significa contenere nell’inquadratura l’edificio in costruzione dalle fondamenta al cielo e al contempo riuscire a vedere la grana del cemento, le sfumature del marmo. Oppure avere sequenze in cui i protagonisti si muovono tra elementi architettonici contenuti in tutta la loro grandiosità su schermo, riuscendo comunque a leggere gli sguardi e le espressioni degli attori.

Questa decisione tecnica però ha comportato notevoli grattacapi sul set per il suo regista e la troupe. Innanzittutto perché al giorno d’oggi si fatica a trovare la pellicola per girare i film, dato che la produzione del supporto fisico per scarsità di domanda e crisi delle aziende produttrici è quasi azzerata. Con il VistaVision però il vero problema sono le cineprese. Ne esistono pochissime, quindi i registi si passano le poche sopravvissute: una volta finito The Brutalist, quella usata da Corbet è stata subito spedita a Paul Thomas Anderson, per girare il suo nuovo film The Battle of Baktan Cross.

A contribuire a dare al film questa vibrazione fuori dal tempo, austera e monumentale c’è anche la colonna sonora. Che, contrariamente a quanto succede di solito, è stata composta, registrata e completata ancor prima di girare e montare il film.

La OST di The Brutalist è di stampo sperimentale ed è firmata dal compositore britannico Daniel Blumberg. È stata realizzata molto prima di girare il film e utilizzata spesso sul set. Corbet infatti - proprio come faceva Sergio Leone - la faceva suonare a tutto volume sul set mentre si girava, in modo che influenzasse il ritmo dei movimenti dei protagonisti.