Da Star Wars agli anime, cosa ha ispirato The Creator? Gareth Edwards svela i segreti del film
Gli anime, E.T. e ovviamente Star Wars: Gareth Edwards racconta come è nato The Creator e cosa lo abbia ispirato nella realizzazione del film.
Appena finito di lavorare a Star Wars: Rogue One, il regista Gareth Edwards aveva bisogno di una pausa ed è andato con la sua ragazza a trovare i suoi genitori in Iowa. Un viaggio di 4 giorni, dall’altra parte degli Stati Uniti, per “resettare il cervello dall’ultimo progetto”.
Edwards non si aspettava di avere nuove idee per un altro film così preso, ma mentre attraversava la campagna con l’erba alta nei campi ha visto una fabbrica con un logo giapponese e gli è venuto in mente che dentro avrebbe potuto esserci persino un robot. Magari uno costruito proprio in quella fabbrica, che quando ne uscirà vedrà i campi, l’erba e il cielo per la prima volta.
“Ho pensato che questo fosse un buon momento da raccontare in un film, anche se non avevo idea di che tipo di pellicola potesse essere.” Così nasce The Creator: da una singola scena di scoperta del mondo, ideata e poi accantonata da Edwards. Un’idea persistente, che è continuata a tornargli alla mente, sia durante il viaggio, sia successivamente, finché ha cominciato a scrivere un film a riguardo, insieme a Chris Weitz.
Eppure l’idea è nata in quel viaggio in macchina, da quel fabbricato vito in Iowa, fuori dal finestrino: “quando siamo arrivati a casa dei genitori della mia ragazza, avevo già le basi di tutto il film: una circostanza molto, molto rara.”
Del resto della lavorazione di questa pellicola fantascientifica, tra le più affascinanti del 2023, Edwards ha parlato ampiamente durante la conferenza stampa ufficiale di presentazione del film alla stampa internazionale. Ecco cosa ha rivelato
Gareth Edwards racconta il dietro le quinte di The Creator
Quando hai pensato di fare un film sull’intelligenza artificiale? Adesso se ne parla davvero ovunque, ma la produzione deve essere cominciata ben prima dell’arrivo di Chat GPT & co…
Gareth Edwards - Ho iniziato a scrivere il film nel 2018, quando abbiamo cominciato a dubitare che avremo visto nella nostra vita quel futuro tutto macchine volanti che la fantascienza ci ha raccontato per tanti decenni. Penso che ogni cambiamento tecnologico epocale che abbiamo vissuto nell’ultimo secolo - l’elettricità, i computer, Internet - ha cambiato profondamente la società e l’industria, ma solo dopo un periodo di scossoni iniziali e progressivo assestamento. Chi oggi non è contento di avere l’elettricità, i computer o Internet? Penso che l’intelligenza artificiale ci farà passare alcuni anni complicati ma sul lungo periodo i lati positivi saranno più rilevanti dei negativi e ci abitueremo. Ovviamente spero di non dover mai attraversare un momento con AI schiavizzate, come vediamo nel film.
Ci sono dei passaggi di The Creator che sono stati fondativi nella scrittura del film?
Gareth Edwards - Quello che trovo affascinante nei film è che spesso le scene più impattanti sulla sceneggiatura non sono così rilevanti rispetto al resto, sono la musica e gli aspetti visivi a renderle tali, spesso non hanno nemmeno dialoghi.
Per questo non penso che le sceneggiature siano fondanti rispetto ai film, anzi, creo delle sorte di bibbie visive e playlist per dare un’idea della vibrazione, dell’atmosfera della mia storia ai collaboratori.
I paesaggi di The Creator sono incredibili dal punto di vista visivo, eppure il film è stato girato quasi come una pellicola indipendente, vero?
Gareth Edwards - Sì, perché abbiamo lavorato al contrario. Una volta capito come volevamo fosse a livello visivo il mondo di The Creator, non ci siamo chiusi in uno studio tentando di ricostruirlo e spendendo milioni di dollari. Siamo andati in giro per il mondo, cercando le location giuste e riducendo equipaggiamento e troupe ai minimi termini.
Abbiamo scelto otto nazioni: abbiamo girato sui vulcani dell'Indonesia, nei templi buddisti dell'Himalaya, tra le rovine della Cambogia, nei villaggi galleggianti asiatici. Non avevamo effetti speciali durante le riprese. Il budget dedicato l’abbiamo dato tutto alla Industrial Light and Magic e altri fornitori. A quel punto abbiamo montato le scene, abbiamo richiamato i nostri artisti e, insieme agli esperti degli effetti speciali, abbiamo pennellato tutte le componenti aggiuntive un fotogramma dopo l’altro. Non vorrei mai tornare a girare come prima, è un metodo molto più veloce, agile.
Una scena l’abbiamo girata in tre: io, John David Washington e un produttore, in una località sperduta sul Himalaya. Non c’era nemmeno un fonico. Tutto l’equipaggiamento è stato portato a piedi, noi siamo arrivati in elicottero, a 10mila piedi. Abbiamo lavorato per 4 giorni, affrontando anche un certo malessere per la grande altitudine. A pensarci ora è surreale.
Le comparse che vedete nei film, nelle scene dei templi, sono tutti abitanti della zona che hanno accettato di aiutarci con le riprese e comparire in The Creator.
Il mondo futuristico in cui è ambientato The Creator è vasto e ricco di spunti. Ti piacerebbe espanderlo con altre pellicole o l’hai pensato come un film autoconclusivo?
Gareth Edwards - Quando ho un po’ di tempo libero, io e la mia fidanzata litighiamo sempre su cosa vedere. A lei piacciono le serie, io voglio sempre vedere dei film e lei mi ha chiesto: “perché preferisci le pellicole alle serie in streaming?”. Ci ho pensato su e credo la risposta stia nel finale: di una storia a me interessa soprattutto la conclusione. Quando scrivo una storia io parto sempre dal finale e lavoro a ritroso fino a creare tutta la storia. The Creator è pensato come una storia autoconclusiva, per quanto io ami il mondo in cui è ambientata e gli spunti che offre. È facile immaginarsi che qualcuno dagli studios venga a picchiettarti la spalla chiedendoti come realizzare dei sequel o degli spin-off ma al momento non c’è nulla di tutto questo sulla mia agenda, ho lavorato concentrandomi totalmente sul raccontare questa storia.
Quali film hanno influenzato la tua carriera e il progetto di The Creator?
Gareth Edwards - Uno dei film che ha avuto più impatto su di me sin da bambino è E.T. di Steven Spielberg. Da quando l’ho visto da piccolo, ho sempre voluto fare qualcosa che avesse a che fare con alieni e astronavi. Mi ha ridotto alle lacrime la storia di Alfie e Joshua: credo sia quello lo scopo per chi fa film. Tentare di girare qualcosa che abbia un impatto emotivo sulle persone. Non sta a me dirlo, ma almeno nel mio caso questa storia mi ha commosso molto, come fece E.T. all’epoca.
The Creator è una storia sull’empatia; quella che Joshua prova nei confronti di Alfie.
Gareth Edwards - Tante persone immaginano la linea narrativa dei film come una retta, mentre a me piace immaginarla come un cerchio, una sorta di orologio. I personaggi partono dall’inizio dal film con una prospettiva che poi cambia, a 90, 180, 360 gradi. Lo scopo è far vedere ai personaggi e allo spettatore diverse prospettive sulla stessa realtà.
Alle volte sui set ti rendi conto che chi interpreta il cattivo della storia si considera il buono ingiustamente accusato delle atrocità commesse. Ecco, volevano dare una visione complessa delle AI che all’inizio della storia sono il nemico.
Come mai hai deciso di ambientare The Creator in Asia?
Gareth Edwards - Ho provato varie ambientazioni per questa storia ma alla fine ho capito che avrebbe funzionato al meglio nel sud est asiatico. Ho messo nel film i ricordi di certe mie vacanze da bambino in quelle zone, mettendo in pratica la lezione che ho imparato tempo fa da George Lucas e Star Wars. Nelle grandi metropoli asiatiche con Hong Kong, Tokyo e Bangkok al fianco dei grattacieli, in una vietta laterale, c’è sempre un tempietto. In un film ambientato nel futuro, ho fatto come Star Wars: ho attinto alla spiritualità, alle vestigia di un passato lontano, creando anche un contrasto visivo interessante.
Nel film ci sono scene che abbiamo girato nella realtà, sostituendo le persone con robot. Girando per la Thailandia si vedono contadini a bordo di vecchie moto che trasportano la loro frutta al mercato. Ne ho ripreso uno che portava un casco di banane enorme da qualche parte, l’ho trasformato in un robot e l’ho inserito in una breve scena del film: l’ho trovato un contrasto affascinante: dove andrà il robot con le banane? Perché le trasporta? Non lo sappiamo, ma è comunque interessante vederlo in The Creator.
Come hai scelto Madeleine Yuna Voyles per il ruolo della piccola Alfie, la simulant protagonista?
Gareth Edwards - A posteriori posso dire che sceglierla, tutto sommato, è stato piuttosto semplice. Il casting ha preso in considerazione centinaia di ragazzini da tutto il mondo, di tante etnie differenti. A me ne sono stati mostrati un centinaio circa e dai loro video abbiamo ricavato con un po’ di difficoltà una top ten. Lei era tra i 10 finalisti, perché la sua performance da subito era molto forte e credibile.
Il ruolo nascondeva un’altra difficoltà: avremmo girato nella giungla thailandese per settimane, una situazione non semplice per qualcuno di così giovane. Avevo bisogno di un interprete con una famiglia alle spalle che fosse in pieno accordo e la supportasse. Abbiamo incontrato i 10 finalisti del provino agli Universal Studios negli Stati Uniti. Sono un parco tematico, l’abbiamo scelto perché l’atmosfera fosse rilassata. Madeleine è stata la prima a venire provinata e da subito mi ha smosso qualcosa, ero commosso alla fine della scena. Mi sembrava incredibile, pensavo che la madre che le avesse insegnato qualche trucco per, non so, conquistarmi. Sono diventato un po’ paranoico e ho inventato una scena al volo, chiedendole d’improvvisare. Madeleine è stata ancora più brava e ho capito che era la mia Alfie.
Com’è stato lavorare con John David Washington?
Gareth Edwards - In film come The Creator se non hai l’intesa giusta con l’interprete può risultare una storia in cui l’eroe è invincibile, senza crepe o fragilità. Il protagonista Joshua non è una persona in un buon momento, non sta bene. JD era d’accordo con me sulla necessità di esplorare questo lato doloroso e molto umano di Joshua. JD cercava di isolarsi tra una ripresa e l’altra per rimanere in personaggio ma Madeleine andava sempre a parlargli di questo o quel giocattolo che le piace e tra i due si è creata una sorta di connessione ancor prima che girassimo le scene in cui i rispettivi personaggi trovano un punto d’incontro. Erano inseparabili. Ho spostato di proposito alcune delle scene finali del film negli ultimi giorni di lavorazione in modo che la loro performance fosse ancora più intensa.
Che indicazioni hai dato a Hans Zimmer per creare la colonna sonora?
Gareth Edwards - Più che altro gli ho tolto qualcosa. È consuetudine oggi creare una sorta di patchwork di soundtrack già esistenti da attaccare provvisoriamente alle scene, in modo da mostrare al compositore il film con un qualche tipo di colonna sonora e chiedergli di creare una musica che sostituisca quella presente, cioè chiedendogli di imitare qualcosa che esiste già. Io non volevo che Hans copiasse dei suoi lavori precedenti, volevo che sentendo la musica non si riuscisse a indovinare che c’era dietro lui.
Volevo che Bach e Mozart fossero d’ispirazione per le scene ambientate in Occidente e ci fossero delle tracce strumentali d’ispirazione asiatica che pian piano si ripropongono in Oriente, fino a diventare familiari per il compositore.
Hai spiegato di aver usato delle cineprese insolitamente leggere per girare The Creator. Ci racconti qualcosa a riguardo?
Gareth Edwards - La mia speranza è che questo tipo di equipaggiamento diventi uno standard della nostra industria. Non credo che nessun operatore di cinepresa ami andare in giro con un aggeggio pesante come un sacco di mattoni in spalla. Proprio quando stavamo per avviare la produzione le cose nel mondo delle cineprese si sono fatte interessanti. Ricordo di aver girato su pellicola con cineprese che avevano una sensibilità alla luce di 100, 200 ISO, fino a 800 ISO nel caso si girasse in ambienti chiusi. Oggi abbiamo a disposizione cineprese di 12000 ISO all’aperto. Significa poter girare al chiaro di luna senza che tutto risulti buio.
Combinando questa tecnologia con le luci LED, che sono molto leggere e luminose, velocizza tantissimo il lavoro sul set. Abbiamo attaccato delle luci a un palo, così come si fa per i microfoni, muovendole con gli interpreti sul set, dando loro assoluta libertà di movimento in ogni direzione. Potevamo girare per mezz’ora e più senza quelle tediose pause di 10, 20 minuti per risistemare luci enormi e poco maneggevoli.
Il design dei veicoli, delle armi e dei robot è affascinante. Come avete creato l’aspetto della tecnologia nel 2065 raccontato in The Creator?
Gareth Edwards - Il merito va tutto a chi ha collaborato con me che ha seguito una direzione precisa: quella dell’estetica degli anime ambientati nel futuro, a tema fantascientifico. Prendiamo il carro armato che si vede a fine film: è realizzato tenendo a me, appunto, le forme del carro armato classico ma aggiungendo una serie di spazi vuoti, di negativi. L’idea di base era realizzare qualcosa di cui in un futuro Bandai, che è una delle aziende leader in Giappone di modellistica, potesse realizzare un kit per il pubblico, per ricostruire il veicolo in miniatura. Forse sono rimasto influenzato dai modellini di Star Wars: li amavo molto da piccolo e invidiavo un mio amico che li possedeva tutti, mentre a me ne mancavano parecchi.