1500 giorni con le tigri: Mark Linfield e Vanessa Berlowitz raccontano come hanno realizzato il documentario Tiger

Tiger racconta la difficile sfida di una tigre indiana che cresce sola 4 cuccioli: i registi del documentario raccontano quanto sia complesso seguire questi animali in natura.

di Elisa Giudici

Le tigri sono tra gli animali più difficili al mondo da riprendere in natura: parola di Mark Linfield e Vanessa Berlowitz, documentaristi di lunga esperienza. La loro ultima opera, il documentario Tiger, è un film che raccoglie immagini davvero toccanti delle sfide che i più grandi felini del Pianeta affrontano ogni giorno per crescere la propria prole e sopravvivere in una giungla sempre all’erta per segnalare l’arrivo del predatore e vanificare i suoi tentativi di caccia.

Per chi è a caccia di storie riguardanti le tigri, la prima virtù è la pazienza. Sono serviti ben 1500 giorni di lavoro nella giungla indiana per catturare la storia di Amber, la tigre con quattro cuccioli che ogni giorno si divide tra necessità di cacciare per sfamarli e farli crescere e il pericolo di lasciarli da soli nella tana, vulnerabili agli attacchi di altri predatori.

Tiger racconta una storia che da subito cattura a livello emotivo. Le sfide di Amber, una tigre che si destreggia tra la prole, la necessità di procacciarsi il cibo e le attenzioni insistenti del maschio della specie che ha fatto suo il territorio, sono profondamente umane.

Raccontare questi animali però richiede un livello di esperienza, pazienza e tecnologia che in pochi possono vantare. Anche con tutto il supporto finanziario, tecnico e logistico possibile, “capita di rimanere per settimane senza vedere un singolo manto arancione a striscie nere”.

La mia prima domanda riguarda, ovviamente, le tigri. Come è stato lavorare con questi animali rispetto alle vostre precedenti esperienze? Avete già avuto a che fare con elefanti, scimpanzé…in cosa sono diverse le tigri?

Mark Linfield - La risposta breve è: è molto difficile lavorare con questi animali, anche rispetto altre specie con cui abbiamo già avuto a che fare. Sono animali molto sfuggenti. La nostra fortuna è stata quella di poter lavorare con alcuni esperti di tigri residenti in India che ci hanno facilitato enormemente il lavoro. Sono persone incredibili. Ogni tanto ti guardano, indicano un punto e dicono “Là, ecco la tigre!” e tu guardi, guardi e nonostante loro te la stiano indicando è difficile scorgerla.

Ad aiutarci è stata anche la tecnologia. Dieci anni fa non avremmo avuto i mezzi che invece in questo documentario ci hanno consentito di ricavare immagini uniche. Con le cineprese e la tecnologia di oggi è stato possibile riprendere le tigri in primo piano pur rimanendo molto distanti da loro. Oggi si possono ottenere immagini molto belle anche in movimento, mantenendo la ripresa stabile in ogni situazione.

Vanessa Berlowitz - Nonostante il nostro team incredibile e nonostante tutta questa tecnologia, ci sono stati momenti in cui non abbiamo visto una tigre per settimane. Quando poi riappariva, riuscivamo a vederla per qualche fugace momento. Per questo Tiger ha richiesto di lavorare sul campo per più di 1500 giorni, aspettando pazientemente le occasioni giuste.

Essendo così imprevedibile come lavoro, cosa pensate sia essenziale per girare un documentario come Tiger? Cosa permette di essere pronti a catturare le immagini nel giorno in cui succede qualcosa di davvero importante?

Mark Linfield - Ne parliamo spesso con il nostro direttore della fotografia, con cui collaboriamo da prima di “Planet Heart”.  L’importante è l’attitudine: bisogna sempre essere al 100%, entusiasti, carichi, pronti a cogliere al volo l’occasione di girare qualcosa di speciale.

Il difficile è non farsi abbattere quando sono passate due settimane e non si è vista nemmeno una tigre. Bisogna però continuare a stare sul campo, a guardarsi intorno, rimanendo concentrati.

Come spettatori siamo subito legati alla tigre protagonista, Amber, una madre single con quattro tigrotti da crescere in un ambiente ostile. Noi la conosciamo tramite il prodotto finito, c’è già un racconto. Mi chiedo: anche per voi che vivete la storia di questi animali in presa diretta, senza sapere cosa succederà, si sviluppa un legame affettivo, un fare il tifo per i protagonisti della storia?

Vanessa Berlowitz - Credo che sia inevitabile, specie considerando quanto tempo passiamo insieme a questi animali. Io per esempio mi sono sentita davvero legata a Amber, da madre a madre. Ti si stringe il cuore vedendo questa madre che è costretta ad andare a cacciare per sfamare i suoi piccoli ben sapendo che, quando si allontana, sono in estremo pericolo. Basta un pitone, basta l’arrivo di una tigre di sesso maschile adulta e tutto potrebbe essere finito. Ogni volta che vedevo Amber ricongiungersi ai suoi cuccioli non potevo che provare un senso di sollievo.

Una scena che mi ha colpito moltissimo del documentario è quella in cui le rane “colonizzano” la schiena della tigre. Sapevate già di questo rapporto curioso tra le due specie o filmarlo è stato un colpo di fortuna?

Mark Linfield - No, non ne sapevamo nulla. Non abbiamo trovato, prima o dopo, alcun riferimento a questo comportamento nemmeno nella letteratura scientifica sulle tigri. Il dorso della tigre è la piattaforma di caccia perfetta per le rane: possono rimpinzarsi di mosche rimanendo al sicuro, perché la tigre non è interessata a mangiarle e non riuscirebbe comunque ad afferarle sulla sua schiena. Inoltre altri predatori che potrebbero voler attaccare le rane si tengono alla larga, perché la tigre è pericolosa. È geniale.

Tiger di Mark Linfield e Vanessa Berlowitz è disponibile su Disney+.