Detroit Become Human

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David De Gruttola (per tutti David Cage) nasce a Mulhouse nel 1969. Un anno dopo quel ’68 che scosse il mondo politico, sportivo e sociale. Quello stesso anno in cui i Beatles si esibirono a Londra su tetto dell’Apple; nella villa di Roman Polanski si consuma il massacro del mandante Charles Manson e al cinema esce Easy Rider.

Un ’69 che che regalò emozioni meno violente del turbolento ’68, ma non per questo meno significative, ma al contrario ancora oggi ricordate; e per un game designer che ha scelto le emozioni come veicolo principale di comunicazione, la nascita in un periodo storico così carico di sentimenti quali: amore, rabbia, violenza e ricerca di identità,  non è stata sicuramente un caso.

Trailer di lancio

The Emotions Man

Prima di diventare game designer Cage è stato un musicista professionista. Nel 1993 fonda la Totem Interactive, società che si occupa di produzioni musicali. Il suo lavoro lo porta ad occuparsi di svariate musiche all’interno del mondo dei videogiochi, ed è proprio il contatto con questo media che gli cambia in maniera indelebile la vita.

Nel 1997 fonda Quantic Dream e, insieme al co-amministratore delegato Guillaume de Foundaumiére, sviluppa cinque giochi: Omikron: The Nomad Soul (1999), Fahrenheit (2005), Heavy Rain (2010), Beyond: Due Anime (2013) e l’ormai imminente Detroit: Become Human.

C’è un minimo comune denominatore che lega questi titoli, anzi, più di uno in realtà. Ed il paradosso è che si tratta di elementi che vanno in forte contrasto con quelli che sono i capisaldi del movimento moderno videludico, sempre più incentrato su esperienze online condivise, furiosi scontri online ed esports.

Cage punta tutto sull’esperienza single player, la valorizza rendendola un suo marchio di fabbrica e incastonandola all’interno di un genere - quello dell’interactive drama - che con positiva ossessione spinge sempre più in là, capitolo dopo capitolo, in cerca di una storia in grado di avere un reale impatto sul giocatore e su quelle che sono le emozioni che lo governano.

Il gameplay che muove i suoi titoli non è finalizzato alla dimostrazione di bravura, al padroneggiare un particolare combat system o a sparare con riflessi felini a quello che appare su schermo. Le azioni che i giocatori si trovano a fare con il pad servono unicamente per portare il giocatore all’interno della scena che si sta raccontando; simulando con lo stick la raccolta di un oggetto o l’apertura di una porta, Cage punta a creare una connessione tra il giocatore e il protagonista digitale, trasformando a sua volta in protagonista il giocatore stesso.

Ma facendo un passo indietro, ed escludendo da questa equazione (anche se solo parzialmente) il primissimo Omikron, gli elementi che caratterizzano le produzioni di Quantic Dream sono piuttosto evidenti: trama marcata, gameplay piuttosto limitato, riprese cinematografiche, evoluzione degli eventi su più personaggi, ma soprattutto decisioni da prendere che modificano l’iter narrativo.

Elementi ricchi di ambizione che hanno portato Cage non solo a cercare con ossessione l’equilibrio perfetto tra loro, ma che hanno portato Quantic Dream a vivere momenti positivi, alternati ad altri meno buoni vista la difficoltà dell’obiettivo che si sono imposti.

Comunicare nelle complicazioni

Le prime avvisaglie le avevamo avute con Fahrenheit. 700mila copie vendute, svariati premi vinti. Eppure, nella storia di Lucas, si intravedo già tutte le difficoltà che Cage si sarebbe trovato ad affrontare nei suoi successivi giochi. L’unione di una trama complessa e che si modifica in base alle scelte fatte, banalizza alcuni momenti, li rende a tratti forzati, lasciando buchi che sono facili da cogliere da parte del giocatore (escludendo da questo discorso la deriva paranormale, che non molti hanno digerito).

Problema che si riscontra anche in quello che, ad oggi, è il miglior gioco sviluppato da Quantic Dream: Heavy Rain. Il titolo uscito nel 2010 portò Cage a calpestare il terreno del noir e del thriller classico. Nei panni principalmente di Ethan Mars ci si trovava a superare alcune prove da parte di un serial killer (chiamato il killer degli origami) per salvare il figlio Shaun; ma come da tradizione anche in questo caso ci si trovava ad utilizzare altri personaggi, con storie che si intrecciavano tra loro in base alle scelte fatte.

Rispetto al precedente titolo per PS2, qui troviamo non solo una presenza più marcata di bivi e scelte all’interno della storia (con ben 17 differenti finali alternativi), ma soprattutto i primi accenni di quella voglia da parte di Cage di spingersi oltre, con scelte piuttosto importanti messe nelle mani e nella coscienza del giocatore.

Nonostante una critica unanime nel promuovere il gioco e oltre 4milioni di copie vendute tra PS3 e remastered PS4, Cage dentro di se, molto probabilmente, non era completamente soddisfatto. Analizzando con gli occhi di oggi il titolo, ed escludendo i conclamati buchi narrativi, c’era un grande problema legato a Heavy Rain: un finale univoco.

Cage ha sempre cercato di evitar tutto questo. Voleva realmente mettere nelle mani dei giocatori uno strumento per raccontare qualcosa, trasmettendo un messaggio che fosse malleabile in base alle scelte, e che riuscisse a raccontar la personale storia di ogni singolo utente.

Storia che si ripete in Beyond: Due Anime, forse il titolo più controverso di quelli sviluppati da Quantic Dream. Nel gioco si vivono 17 anni di una ragazzina (Jodie Holmes) che deve convivere con un’entità extra corporea di nome Aiden. Nel ruolo dei protagonisti ci sono attori famosi del calibro di Ellen Page e William Dafoe, e attraverso l’ennesima narrazione ramificata il gioco punta a far riflettere su una cosa molto importante: cosa c’è dopo la morte?

Nonostante la delicatezza dell’argomento,  e un discreto numero di vendite, Beyond è il primo titolo  a convincere realmente la stampa specializzata. Ad esso è impuntata soprattutto una qualità della narrazione piuttosto inefficace, con momenti noiosi e in cui non si ha la sensazione di portare avanti una storia realmente interattiva.

Ed è esattamente in questo momento della nostra storia che Cage viene messo in dubbio. Nonostante l’endorsment di un personaggio molto importante all’interno del nostro settore come Warren Spector, che in Cage vede “ uno dei migliori narratori nella storia dei videogiochi”, alcuni iniziano a dubitare sulla formula dei titoli di Quantic Dream, sulla qualità stessa dei plot di Cage, e sulla reale percezione di una storia da “costruire”.

Quantic Dream deve reagire. Non si scompone, e a distanza di qualche anno (dopo una demo tecnica chiamata Kara) annuncia Detroit: Become Human. Il resto è storia recente, con l’arrivo del titolo ormai imminente sulle nostre console, un tema intrigante come quella delle macchine (androidi) che possono provare emozioni e una nuova sfida per Cage e il suo team.

Sarà riuscito quel ragazzo sognatore ad unire finalmente l’esperienza visiva e narrativa all’interno di un gioco?

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