Dragon Quest VIII: L'Odissea del Re Maledetto

di Antonio Norfo
Correva l'anno 1986 e sul Family Computer di Nintendo approdava il primo, epocale Dragon Quest (in Nord America, fino ad oggi, noto diversamente come Dragon Warrior).
Yuji Horii, coadiuvato dai pentagrammi di Koichi Sugiyama e dall'estro di Akira Toriyama, dava inizio ad una vera e propria istituzione, forse senza nemmeno rendersene conto (come accadrà di lì a poco al trio Squaresoft -ora ai vertici di MistWalker- composto da Sakaguchi, Amano e Uematsu: padri fondatori di Final Fantasy). Non solo egli dava vita ad una saga che arricchirà e non poco le casse dell'azienda (l'allora Enix), ma gettava le basi per l'interpretazione nipponica del gioco di ruolo.


Vent'anni dopo la nascita di un mito, in Europa, ci troviamo a parlare de "L'Odissea del Re Maledetto", un'opera invero a tutto tondo, capace di primeggiare in molti degli aspetti che plasmano un videogioco.
Capace, soprattutto, di offrire un singolare viaggio di fantasia.
E' questa pertanto una Fiaba interattiva, che si radica e trova linfa vitale in un mondo vasto, colorato, ricco di vedute, di passaggi e di dettagli.
E le fiabe, signore e signori, non sono solamente per i più giovani né, all'altro estremo, per pochi adulti: sono semplicemente destinate ad un pubblico potenzialmente vastissimo (del quale è semplice far parte, a patto che alle fiabe si voglia prestar attenzione).
La bellezza delle lande ha fatto sì, al pari del Cel Shading e del Character/Monster Design, che l'iconografia classica della serie fosse rinnovata ed al contempo preservata. A ben vedere, l'ottavo Dragon Quest è quasi ovunque nostalgico ed al tempo stesso innovatore, il che è una delle sue armi vincenti.
Le composizioni musicali sono anch'esse da encomiare (merito della "Tokyio Metropolitan Symphony Orchestra" e di chi l'ha diretta: Sugiyama); e parimenti appare riuscita la scelta di accompagnare le discrete voci inglesi (testo a schermo in italiano) con degli effetti sonori dalla matrice volutamente retrò.

Forze motrici del gioco sono senz'altro la qualità e la quantità dell'esplorazione (fortunatamente non si troverà quel level design "formato corridoio" cui molti videogiochi odierni vorrebbero abituarci).
Qui ci sono vallate, cascate, laghi e boschi da visitare per il solo gusto di farlo.
E ancora: segreti da svelare, sotto-quest da intraprendere, mostri cui dare la caccia ed ampi spazi da percorrere fra una tappa e l'altra della trama.
Il sistema di combattimento, dal canto suo, è semplice da apprendere e padroneggiare, essendo esso debitore dei canoni del genere (statico, fondato sulla navigazione dei menu, non privo di venature tattiche si pensi al comando "Psyche Up").
Valga comunque l'avviso che i nemici non sono sempre pezzi di pane e che gli scontri random accompagneranno con una certa frequenza le varie scampagnate.
Oltre ai borghi abitati, comunque, si troveranno allocati qua e là sia postazioni di salvataggio -i luoghi di culto-, sia locande dove riposare e rifocillare così HP ed MP (senza dimenticare che tramite la magia Zoom è possibile tele-trasportarsi nelle località precedentemente visitate).


Difficile adesso non entrare nel dettaglio, specie per quanto concerne le peculiarità proprie di ciascun componente del party (è possibile impartire ordini all'intero quartetto, oppure suggerire la CPU sui comportamenti di tre dei quattro).
Cosicché il coraggio, l'uso di lance e boomerang sono, fra le altre cose, tutte prerogative dell'Eroe, mentre per la maga Jessica è normale sfruttare quando le parrà opportuno il suo indiscusso sex appeal.
Il carisma di Angelo (unico a poter usare arco e frecce) e l'umanità di Yangus (che si fregia di falci, mazze ed asce) chiudono poi il cerchio (questo giusto per citare parte dell'arsenale e parte delle caratteristiche dei Nostri: non mancheranno certo spade, bastoni magici, pugnali e via discorrendo).
Personaggio non combattente, ma vitale nell'economia del gioco, è inoltre sua maestà Trode.
"Ora" dalla pelle verde e simile ad un ranocchio antropomorfo, "un tempo" signore di un reame, "sempre e comunque" padre di Medea (tramutata anch'ella controvoglia da un perfido giullare, Dhoulmagus, il cui mefistofelico incantesimo ha colpito tutti, quasi tutti, gli abitanti di Trodain).
Il sovrano in questione ci accompagnerà perlopiù negli spazi aperti, prodigo di consigli e specialmente di comicità e sarà peraltro artefice dell'Alchemy Pot, prezioso oggetto del quale trovate, in questa pagina, un'apposita immagine con didascalia.

L'esperienza complessiva, in ultima istanza, è di quelle da non perdere se non per manifesto ed incurabile odio nei confronti del genere ludico che, davvero, grazie al lavoro dei Level 5 capitanati da Akihiro Hino, raggiunge uno dei suoi picchi più alti di sempre.
Final Fantasy XII permettendo, uscito proprio in questi giorni nel paese del Sol Levante, è questo allora lo Zenith generazionale del J-RPG (quello assoluto continua ad essere, ai nostri occhi, Final Fantasy VI).
Affermarlo, ora come ora, non è compito difficoltoso, perché c'è stata un'ammirevole meticolosità da parte dei programmatori nell'edificare le meraviglie del mondo ospitante e perché, fattore non ultimo in importanza, le scelte fatte dai "narratori" non intralciano affatto quelle che poi contano, le scelte cioè di noi giocatori.