Essere Don’t Nod: una rilettura della produzione dello studio francese attraverso le sue tematiche ricorrenti

Da Remember Me a Banishers, dal ruolo della memoria all’importanza della rappresentazione

di Claudio Magistrelli

Tra sociologi, storici e antropologi negli ultimi anni si sta facendo largo una teoria secondo la quale la Storia non sia affatto finita, come sostenuto dalla celebre tesi dell’economista Fukuyama, ma abbia invece preso a correre a un ritmo vertiginoso, affastellando avvenimenti senza precedenti e cambiamenti talmente repentini che noi umani, come specie, fatichiamo ad adeguarci. Detto in altri termini: il mondo cambia così in fretta, che non riusciamo a starci dietro. Ne volete un esempio?

Riguardandolo oggi, il premio come Game for Impact assegnato a Life is Strange di Don't Nod (all’epoca ancora Dontnod)  durante i The Game Awards del 2015 può risultare bizzarro: si tratta di un’avventura che ha al centro due ragazzine adolescenti, bianche, di estrazione borghese, senza alcun particolare riferimento a caratteristiche queer. Eppure, proprio l’effetto di rottura generato da Life is Strange, e giustamente riconosciuto all’epoca dai TGA, mostra il segno di quanto sia cambiato nell’industria del videogioco l’approccio a tematiche più mature e complesse, e almeno parte del merito per aver tracciato la via deve essere riconosciuto al lavoro compiuto dallo studio francese. Se oggi nei videogiochi si può parlare di rappresentazione, sessualità o discriminazione, uno dei primi mattoncini è stato posato proprio da Life is Strange e dal suo setting così hipster e instagrammabile. 


Strana la vita, eh?

Osservato col senno di poi, Life is Strange fu un azzardo sotto numerosi punti di vista: un’avventura grafica con protagonista una donna, per di più ragazzina, in cui al giocatore è richiesto quasi unicamente di prendere decisioni su temi complicati come le relazioni, la solitudine, il bullismo e il suicidio. In sostanza, un simulatore di adolescenza, per di più pubblicato in forma episodica. Un dettaglio  quest’ultimo, probabilmente non casuale, rileggendo oggi un’intervista rilasciata nel 2016 dal co-fondatore e CEO Oskar Guilbert in cui  cita come fonti di ispirazione il cinema proposto dal Sundance Festival e la rivoluzione televisiva messa in scena da HBO tra gli ‘80 e i ‘90.

D’altro canto, Don't Nod con Life is Strange non avrebbe potuto permettersi il lusso di affidarsi al caso dopo il semi fallimento di Remember Me, titolo d’esordio indispensabile per analizzare la traiettoria dei giochi Don't Nod. Finanziato inizialmente da Sony, Remember Me è stato una delle numerose vittime dei tagli dell’ultima decade, salvato in corsa da Capcom che tuttavia pretese una serie di modifiche a personaggi, situazioni e meccaniche tale da allontanare fatalmente il prodotto finale dall’idea del team di sviluppo. Eppure, nonostante l’opera di taglia e cuci, i temi tipici della produzione Don't Nod sono già evidenti anche in Remember Me: la memoria e il ruolo dei ricordi nella formazione tanto della nostra individualità, quanto della “realtà” che (ci) raccontiamo e tramandiamo. Tutti temi che in qualche modo filtrano anche attraverso Life is Strange, nell’uso della fotografia ad esempio, ma che troveranno quello che probabilmente è il loro pieno compimento solo qualche anno più tardi, in Tell Me Why. 

Prima, però, bisogna passare da Vampyr, altro gioco gioco che dimostra come in mano a Don’t Not anche tematiche stra-abusate nel videogiochi possano offrire spunti interessanti e non banali grazie al taglio più adulto e maturo attraverso cui vengono trattate. Il trattamento riservato ai vampiri dallo studio francese riporta questo classico mostro della letteratura alla sua natura di creatura tormentata, in cui ragione e istinto si confrontano in un duello all’ultimo sangue. Ancora una volta, non è un caso che il gioco dovesse inizialmente essere ambientato in USA durante gli anni ‘50, per poi invece essere riscritto nell'Europa di inizio ‘900, un periodo di scoperte scientifiche, epidemie, guerre e rivolte popolari in cui l’umanità si è trovata a confrontarsi con la morte di dio. Il protagonista è un uomo di scienza, contagiato dal vampirismo e condannato a sopravvivere nell’oscurità risucchiando il fluido vitale altrui. Annunciato nel 2015 e pubblicato ad agosto 2018, Vampyr presenta un protagonista dilaniato dal conflitto tra razionalità e superstizione, immerso in una società in cui cambiamenti sociali sempre più rapidi e una tremenda epidemia hanno abbattuto tutti precedenti punti di riferimento. Ricorda nulla?


Ti ricordi? Andavamo a passeggiare nei ricordi

Quello che, quanto meno a parer nostro, rappresenta però il punto d’arrivo della riflessione sulla nostra società portata avanti in controluce da Don’t Nod all’interno della sua produzione è Tell Me Why, titolo in cui confluiscono e si fondono tanto le riflessioni sul ruolo della memoria quanto quelle su rappresentazione e identità. I protagonisti sono una coppia di gemelli i cui ricordi di eventi chiave non coincidono lasciando nelle mani del giocatore la ricerca di quella che vorrà definire come la “verità” degli eventi. Arriva dunque a compimento il lungo ragionamento sul ruolo della memoria e dei ricordi nella costruzione della società, che marca una netta distanza tra verità e ricordo, laddove quest’ultimo è sempre figlio di un conflitto e di una contrattazione per la definizione dei confini, tracciati abitualmente dalla parte vincitrice. Ed è vero tanto nel micro delle nostre vite quotidiane e quanto nel macro della prospettiva dell’evoluzione umana: la memoria è un inganno, ma non ci resta altro su cui costruire un futuro. 

Tell Me Why però è anche il primo gioco con un protagonista transgender controllato dal giocatore, disegnato e scritto con la consulenza di GLAAD, Gay and Lesbian Association Against Defamation; più in generale l’intero gioco è stato realizzato con il supporto e le linee guida di diversi enti che si occupano della tutela di minoranze con l’obiettivo di garantire ai personaggi una rappresentazione autentica e non offensiva, lontana da luoghi comuni e preconcetti offensivi. Seguendo la traiettoria tracciata da Don’t Nod attraverso i propri giochi si può dunque trovare una coerenza tematica e una crescente consapevolezza del mondo reale non così comuni nell’ambiente. Certo la produzione dello studio francese non è esente da difetti, come una certa ripetitività del whodunit ambientato nella cittadina, tuttavia di certo risulta interessante per come consente la lettura di discorso trasversale in costante divenire, forse giusto sfiorato dal recente Banishers: Ghosts of New Eden, ma destinato a proseguire nel prossimo Life is Strange Double Exposure