L'industria dei videogiochi in Europa cresce, ma ci sono ancora tante sfide
I videogiochi sviluppati in Europa vincono e convincono, ma le sfide sono ancora tantissime
Il 2023 è stato un anno che ci ha regalato tantissime soddisfazioni sul piano videoludico, permettendoci di giocare sia a ottime produzioni ad altissimo budget quanto a giochi prodotti da team indipendenti.
Nel guardare ai titoli di maggior successo dell’anno passato una cosa che salta all’occhio è la presenza di tanti videogiochi sviluppati in Europa; basti pensare al Game Of The Year Baldur’s Gate 3, sviluppato dalla software house belga Larian Studios, o Alan Wake 2 dei finlandesi di Remedy.
La presenza europea non è individuabile solo nei tripla A, ma anche in settori maggiormente di nicchia, come gli indie - Viewfinder sviluppato dagli svedesi di Thunderful o Dredge dei britannici di Team 17 - o il mondo VR con Horizon Call Of The Mountain degli olandesi di Guerrilla Games.
Insomma, sembra che negli ultimi tempi l’Europa stia riuscendo a dire la sua in un mercato che sin dalla sua nascita ha visto il bipolarismo di Stati uniti e Giappone, tuttavia la faccenda è ben più ampia e per comprenderla appieno bisogna andare oltre i semplici videogiochi pubblicati e analizzare altre facce della cosa; come l’economia che gira intorno all’industria videoludica, i metodi di finanziamento e anche l’impatto geopolitico che i videogiochi hanno.
Un settore guidato da nuove economie
Sin dagli anni ‘80, la Francia è stata, con Infrogames e Ubisoft, l’avanguardia europea sul piano dei videogiochi e solo dai primi anni 2000 che abbiamo visto un ingresso di altri paesi sul mercato, soprattutto paesi scandinavi e la Polonia.
Ad oggi, in quasi tutti i paesi europei si trovano software house in grado di sviluppare videogiochi, eppure quando si guarda ai grandi numeri, è l’asso Francia-Germania-Polonia che rappresenta il principale motore dell’industria nell’Unione Europea, con i paesi del centro est Europa che stanno pian piano mettendo la freccia per il sorpasso; basti pensare ai vari Watch Dogs e la serie FIFA sviluppati in Romania, le serie Eurotruck e Kingdom Come Deliverance prodotte in Cechia o i vari The Witcher, Dying Light e This War Of Mine provenienti dalla Polonia.
L’aggressione russa in Ucraina ha spinto tanti talenti ucraini a spostarsi verso i paesi del centro-est europa, andando così ad accrescere il livello di know-how di questi paesi.
La crescita del settore videoludico fa poi sì che nei paesi sopracitati si vadano a creare posti di lavoro altamente specializzati e con salari alti, in grado di attirare anche talenti da altri paesi europei, creando così un circolo vizioso che porta a nuovi investimenti, nuovi studi, nuovi giochi e così via.
Il videogioco come stendardo della cultura europea nel mondo
Negli anni abbiamo imparato a conoscere parte della cultura giapponese e statunitense attraverso i videogiochi. Pensiamo a come i vari GTA Vice City e San Andreas ci hanno fatto conoscere meglio la Miami e la Los Angeles degli anni 80 e 90, mentre i vari Persona o Like a Dragon ci hanno catapultato nella società giapponese, per non parlare di Red Dead Redemption 2 e Ghost of Tsushima che hanno portato i giocatori in epoche ben diverse da quelle attuali.
Ecco, quelli elencati sono modi in cui i videogiochi sono diventati veri e propri sponsor delle culture dei paesi di appartenenza e hanno accresciuto la voglia di tantissime persone nel mondo di interessarsi e avvicinarsi a tali culture.
È questo un chiaro esempio di come i videogiochi siano diventati nel tempo dei veri e propri strumenti di quello che Joseph Nye chiamava soft power - ovvero la capacità degli stati di influenzare culturalmente e politicamente altri paesi attraverso strumenti non offensivi bensì culturali e popolari.
In un mondo che vede, economicamente e politicamente, il nuovo bipolarismo di Stati Uniti e Cina, i videogiochi possono rappresentare una arma in più nelle mani dell’Unione Europea per affermare i propri valori e la cultura dei propri paesi membri.
Pensiamo a The Witcher, videogioco basato sui romanzi dello scrittore polacco Andrzej Sapkowksi, oppure a come la serie di Assassin’s Creed sia riuscita a portare i giocatori a rivivere il periodo della Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Industriale nel Regno Unito e il Rinascimento Italiano, o per ultimo Enotria che punta a raccontare il folklore legato alle maschere del nostro paese.
Insomma i videogiochi hanno l’enorme potenziale di farsi portavoce nel mondo dei valori e della storia appartenenti all’Unione Europea, tuttavia, nonostante tale potenziale, il settore dei videogiochi non gode ancora dell’adeguata attenzione da parte delle istituzioni pubbliche, che ancora oggi non si mostrano in grado di mettere in atto un sistema di regole e leggi che favorisca lo sviluppo del settore videoludico nei confini europei.
Il poco sostegno dei paesi europei e dell’Unione Europea
Alla luce di una crescente importanza dell’industria videoludica nell’ecosistema europeo, L’Unione Europea ha avviato dei programmi di sostegno allo sviluppo di videogiochi made in UE - come il Piano Horizon Europe e una parte del programma Creative Europe - ma si parla di cifre, perché alla fine di soldi dobbiamo parlare - veramente esigue; briciole se paragonate a quanto fanno Stati Uniti, Cina, Giappone ed Emirati Arabi.
I due piani sopra elencati hanno stanziato poco più di 6 milioni di euro per il supporto del settore a livello europeo; una cifra che ha portato tantissimi esperti del settore a criticare le azioni dell’Unione Europea, anche alla luce dei movimenti delle singole aziende, come ad esempio l’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft per 69 miliardi di dollari che mostra come nel resto del mondo l’industria viaggi su binari totalmente diversi.
I singoli stati hanno avviato delle azioni individuali, ma come al solito, ciò ha fatto sì che il settore si sviluppasse di più in alcune aree del continente mentre altre restano indietro.
Per questo motivo, più volte L’EGDF, l’organizzazione che rappresenta più di 2500 studi di sviluppo europei, ha più volte sottolineato come l’assenza di politiche unitarie esponga gli studi europei alla mercé di investitori stranieri che disponendo di una maggiore forza economica possono acquisire studi e know how, come ad esempio accaduto con Mojang creatore di Minecraft che è stato acquisito da Microsoft.
Le sfide del settore videoludico in Europa
È chiaro, quindi, che nonostante gli ottimi risultati ottenuti dai videogiochi prodotti in Europa, il vecchio continente non sia ancora in grado di competere con regioni storiche come Stati Uniti e Giappone, e allo stesso tempo rischia di essere superata anche dalle aree emergenti come Cina ed Emirati Arabi.
Come detto, una delle principali sfide che gli studi europei devono fronteggiare è quella dell’approvvigionamento di finanziamenti.
Negli ultimi 10 anni il settore videoludico europeo è cresciuto soprattutto grazie agli investimenti privati extra-europei, tra cui molte società cinesi che hanno investito in software house piccole, medie e grandi, pensiamo al gigante cinese Tencent che possiede pacchetti di azioni di tantissimi grandi attori europei come Ubisoft, Techland, Epic Games, Don’t Nod, Remedy e tanti altri.
A oggi gli investimenti cinesi si stanno spostando sul mercato interno con la conseguenza che la crescita del settore in Europa sta subendo una battuta d’arresto.
Insomma si va a creare un sistema dove le software house osono costrette a vedere l’entrata in società di aziende cinesi e arabe oppure sono destinate a dover frenare i propri lavori.
Ciò sottolinea anche come l’Europa si presenti a questa sfida in maniera impreparata non solo più piano economico, ma anche tecnologico.
I grandi attori del momento, i GAFAM - Google, Apple, Facebook, Amazon, Meta - non sono europei e non esiste alcuna console di gioco made in Europe; di conseguenza il vecchio continente è totalmente in balia degli attori che muovono le redini del mercato.
Eppur si muove
Eppure qualcosa si muove.
Le istituzioni europee sembrano aver capito di non poter competere con Cina e Stati Uniti sul piano finanziario e hanno quindi deciso di cambiare gioco, focalizzandosi su altre tematiche.
Nel 2016, l’UE ha messo a 3.6 milioni di euro a disposizione dei team di sviluppo con l’obiettivo di sviluppare un gioco narrativo che incorporasse una serie di innovazioni tecnologiche e rappresentasse la diversità e il patrimonio culturale del vecchio continente.
Inoltre, va sottolineato come i singoli stati stiano ampliando la fetta di PIL dedicata allo sviluppo dell'industria videoludica e come le singole aziende stiano sempre più collaborando tra loro con il duplice obbiettivo di ridurre i costi di produzione e di mantenere il know how in Europa.
Chiaro, questo è solo un piccolo passo in quella che si prospetta essere una enorme sfida nel futuro e a meno che l’Unione Europea non cambi il suo atteggiamento nei confronti dell’industria, il game over potrebbe arrivare ancor prima di iniziare a giocare sul serio