La Cina sta cominciando a fare la voce grossa anche sui videogiochi

I videogiochi cinesi stanno approdando sui mercati europeo e statunitense. Scopriamo motivi e ragioni per ciò sta accadendo

La Cina sta cominciando a fare la voce grossa anche sui videogiochi

In una delle ultime puntate di Just Play, il nostro podcast dedicato al mondo dei videogiochi, abbiamo analizzato il report di NewZoo sullo stato di salute dell’industria videoludica nel 2023; e tra i tanti dati che abbiamo spulciato ne è venuto fuori un quadro dove il mondo asiatico domina e traina il settore a livello globale.

In Asia si concentra il 52% dei gamers a livello globale ed è sempre l’Asia a registrare i guadagni maggiori, pari al 46% del fatturato mondiale. Per non parlare poi della lista delle aziende leader per guadagni, dove 3 tra le prime 5 aziende sono localizzate in Asia con la cinese Tencent al primo posto; che da sola fattura più di Sony e Apple - seconda e terza della lista - messe insieme.

Ed è in Asia che si trova quella che è la seconda potenza economica mondiale e che per troppi anni si è chiusa in un auto-isolazionismo forzato, riducendo al minimo le relazioni attive e passive  con il mondo esterno; eppure negli ultimi anni qualcosa sembra stia cambiando; esattamente come per tanti altri settori, la Cina ha deciso di fare la voce grossa anche nel mercato dei videogiochi.

La Cina sta cominciando a fare la voce grossa anche sui videogiochi

La storia dei videogiochi in Cina

Per tantissimi anni, la Cina ha avuto un doppio rapporto con i videogiochi; con il governo di Pechino che ha sempre accusato i videogiochi di avere un’influenza negativa sulla popolazione, accusandoli anche di distrarre i giovani dai loro studi, e dall’altro lato vi è il popolo cinese che sembra avere una forte passione per le console. 

Ciò ha portato il PCC a dover trovare nel corso degli anni una soluzione che mettesse d’accordo tutte le parti. Così tra gli anni 70 e 80, la Cina permise alle persone di giocare, ma al contempo le console straniere erano tassate al 130% e ogni gioco doveva rispettare una serie di parametri per approdare nel paese.

I giocatori furono invece spinti verso le console nazionali, come ad esempio lo Xiaobawang, che fu venduto negli anni 90 come sistema d’apprendimento ma ben presto fu soggetto a una serie di modifiche che gli permettevano di leggere le cassette del NES. 

La Cina sta cominciando a fare la voce grossa anche sui videogiochi

L’utilizzo di versioni “Shanzai” - prodotti contraffatti in Cina fedeli ai giochi originali ma adattati per il mercato locale - è andato avanti fino ai primi 2000, quando il partito comunista ha attuato una prima offensiva verso le console, vietando quelle estere fino al 2015, e censurando i contenuti dei videogiochi. Tale mossa ha letteralmente distrutto il mercato console nel paese, spianando la strada ai giochi su PC.

Nel 2002 in Cina vi erano più di 100.000 internet cafè e questi erano diventati il luogo di ritrovo di milioni di appassionati che facevano file lunghissime per giocare ai vari Starcraft e World Of Warcraft.

Tuttavia, la Cina di inizio millennio non era la potenza mondiale di oggi e i prezzi dei giochi per PC erano accessibili a pochissime persone; ecco quindi che le software house cinesi cominciarono a sviluppare una serie di giochi online gratuiti che monetizzassero attraverso gli acquisti in game.

Per fermare la cosa, il governo cinese attuò una nuova ondata di limitazioni andando a introdurre controlli anti-dipendenza che richiedevano l’accesso ai giochi tramite un documento d’identità e cancellassero la valuta dei vari giochi una volta superate le 3 ore di gioco consecutive.

L’esplosione dei giochi mobile

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I maggiori controlli su console e PC poco hanno potuto dinanzi al proliferare degli smartphone e dei conseguenti giochi mobile. 
La Cina è la vera terra di produzione degli smartphone e ciò permette al popolo cinese di acquistare prodotti potenti a prezzi accessibili, di conseguenza gli smartphone sono, pian piano, diventati la piattaforma principale dei giocatori cinesi.

Nel 2010 l’industria dei videogiochi valeva 4.9 miliardi di dollari in Cina, nel 2020 il valore dell’industria nel paese è salito a 43.1 miliardi, con il mobile che si prende più del 66% della torta.

Tale crescita smisurata nel corso degli anni ha portato le aziende di videogiochi cinesi a introdurre una serie di autolimitazioni con l’obiettivo di evitare la mano pesante del governo.
Una delle prime è stato il gigante Tencent che ha introdotto delle misure anti-dipendenza nel titolo mobile Honor of Kings. 

La nuova strategia di Pechino contro il mobile

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Tuttavia, nel 2018 il partito comunista ha deciso di entrare a gamba tesa anche sul mercato mobile introducendo regole maggiormente repressive per l’industria e paletti più rigorosi per l’approvazione di nuovi titoli.

Ciò ha dato vita al primo crollo dell’industria nel paese, quando il Ministero dell’Istruzione ha richiesto una serie di restrizioni temporali ai giocatori, causando un calo del 5% del valore di mercato di Tencent. 

La mano pesante del governo cinese non si è fermata lì e a fine 2019, Pechino ha annunciato nuove restrizioni che hanno limitato il tempo di gioco giornaliero per i minorenni a 90 minuti durante i giorni feriali e 3 ore durante il week end.
A ciò si sono poi aggiunte comunicazioni dirette alle aziende con vere e proprie indicazioni riguardo la creazione dei titoli: evitare giochi che sfidavano la moralità, permettessero ai giocatori di commettere azioni “cattive”, avessero un approccio revisionista della storia o che apparivano più giapponesi che cinesi.

I risultati soddisfacenti per Pechino, hanno spinto il governo a introdurre ultimamente nuove limitazioni volte a frenare le spese in game; mossa che ha bruciato più di 80 miliardi di dollari di valore di mercato per le due big del paese: Tencent e NetEase.

L’apertura sui mercati stranieri

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Questa lunga spiegazione è fondamentale per comprendere come improvvisamente il mercato occidentale ha visto sbucare una serie di prodotti sviluppati in Cina e perché le varie aziende cinesi stanno acquisendo un numero sempre maggiore di studi di sviluppo europei e statunitensi.

Le decisioni sempre più stringenti e meno prevedibili del governo cinese, hanno spinto le grandi aziende di videogiochi cinesi a guardare oltre i confini, con il duplice obiettivo di risanare i conti ed cercare mercati meno stringenti.

Il 2023 ha visto Tencent portare avanti 12 progetti di investimento e acquisizione; con l’acquisizione di azioni di Triternion - Mordhau - e la collaborazione con Sony per l'acquisto del 30% di FromSoftware, a ciò vanno aggiunti due nuovi studi di sviluppo aperti in California. Lightspeed LA per lo sviluppo di giochi tripla A e Uncapped Games che si focalizzerà su strategici per PC.
Come se non bastasse, Tencent ha anche spostato una serie di divisioni interne a Singapore, dove le regole sui videogiochi sono molto meno stringenti.

Nel frattempo Tencent ha chiuso un accordo da quasi 28 milioni di dollari con Perfect World per la distribuzione del suo gioco “Tower of Fantasy” sui mercati esteri.

Sulla stessa scia si muove Netease che tra il 2022 e il 2023 ha acquisito decine di studi di sviluppo e ha aumentato il numero dei propri studi internazionali arrivando a contarne 3 in Giappone, 2 negli Stati Uniti e 1 in Canada.
Diversamente da Tencent che punta alla distribuzione dei suoi titoli e alla partecipazione in grandi studi di sviluppo, NetEase punta all’acquisizione dei diritti di grandi marchi; infatti dopo aver ottenuto i diritti di Harry Potter e Il Signore degli Anelli, sta ora lavorando per avere i diritti di Marvel e DC Comics.

Più che grandi studi, NetEase punta sul knowledge delle persone, infatti tra i “nuovi acquisti” del gigante cinese possiamo annoverare nomi come Jack Emmert (Neverwinter, DC Universe Online), Toshihiro Nagoshi (Responsabile Creativo di SEGA fino al 2021), Sean Crooks (Watch Dogs), Ryutaro Ichimura (Dragon Quest), Greg Street (League Of Legends) e tante altre persone che hanno lanciato qualche giochino sul mercato.

Scommesse e tendenze

La Cina sta cominciando a fare la voce grossa anche sui videogiochi

Alla globale, e predominante, presenza cinese nel mondo dei videogiochi vanno ad aggiungersi una serie di fattori che aiutano a comprendere perché la Cina stia diventando ormai un attore da osservare con attenzione per l’industria videoludica.

La Cina rappresenta l’epicentro del settore degli e-sports, dominandolo negli ultimi 10 anni. La Cina è leader a livello globale sia per numero di partecipanti agli e-sports che per entrate generate. Tencent possiede Riot Games e ha partecipazioni in altri sviluppatori di titoli di punta del mondo e-sports.

L’arrivo di tantissimi titoli PC su mobile ha poi allargato ampiamente la platea di persone che hanno cominciato a giocare, prima amatorialmente e poi a livello professionistico, ai vari Honor of Kings, League Of legends, PUGB ecc.

Altro scommessa su cui la Cina sembra ben più preparata rispetto all’occidente è quella relativa al cloud gaming. Mentre in Europa e Stati Uniti il dibattito su questa tematica è salito alla ribalta in seguito all’acquisizione di Activision-Blizzard da parte di Microsoft, in Cina il cloud gaming è già realtà da un bel po’ di tempo. 
Su questo sorpasso tecnologico sicuramente ha influito la tradizionale propensione del popolo cinese al gioco online e da mobile, che ha portato gli operatori nazionali a puntare sin da subito su questa tecnologia.

Quale futuro all’orizzonte

La Cina sta cominciando a fare la voce grossa anche sui videogiochi

Il mercato dei videogiochi cinesi sembra aver dato il via a una fase 2.0, dove si è affievolita l’attenzione al mercato interno - o per meglio dire, si è stabilizzata attorno ai settori già rodati e funzionanti -  e si è innalzata quella verso il mercato estero; avviando un percorso che va su due binari paralleli: la commercializzazione dei prodotti mobile autoctoni e lo sviluppo di titoli per console.

I videogiochi rappresentano anche un impulso per il soft power cinese. Mentre gli spazi sul piano dell’animazione e della musica sono chiusi da Giappone e Corea del Sud, il mercato dei videogiochi ha aperto uno spiraglio alla Cina.
L’ascesa dei videogiochi cinesi è anche da attribuire alle maggiori disponibilità economiche di cui dispongono gli sviluppatori; i quali guadagnano nel mercato interno e investono nel mercato esterno.

Il videogioco funge quindi anche da strumento per raccontare la società e la storia cinese; ecco perché tanti dei giochi prodotti nel paese rimandano a momenti storici o della mitologia del vecchio impero celeste. 
Così, esattamente come un Enotria nasce con l’idea di raccontare la storia delle maschere italiane, un Wukong punta a raccontare la mitologia cinese e magari attirare l’interesse dei giocatori verso questa.

Per capire la dimensione della presenza cinese nei videogiochi, potete semplicemente guardare chi è il proprietario, o azionista, delle software house che hanno sviluppato i vari giochi che avete a casa; resterete sicuramente sorpresi