Il livello di difficoltà dei giochi si sta alzando. E i giocatori ne sono felici
Negli ultimi anni i videogiochi stanno diventando sempre più complicati e i giocatori ne sono veramente contenti
Nati secondo alcuni con OXO nel 1952, secondo altri con Pong nel 1972, i videogiochi sono uno dei medium d’intrattenimento più giovani di cui disponiamo e anche quelli che nel corso del tempo hanno visto una curva evolutiva più precoce rispetto ad altri medium come la cinematografia o la musica.
Nati in scantinati per mano di giovani smanettoni o ingegneri informatici, i videogiochi hanno vissuto una serie di trasformazioni che vanno dalle migliorie grafiche, tecniche fino all’aggiunta di comandi più articolati e non per ultimo il livello di difficoltà.
- I videogiochi di una volta erano belli tosti
- Checkpoints, autosalvataggi e tante cose nuove
- La nascita dei Soulslike
- La difficoltà come feature
I videogiochi di una volta erano belli tosti
È opinione comune che i videogiochi erano una volta molto più complicati rispetto a oggi; ed è vero.
Il motivo è molto semplice: i primi videogiochi non erano pensati per le console casalinghe, bensì per i cabinati nelle varie sale giochi. Rendere un gioco complesso significava incentivare il giocatore a buttare più monete nel cabinato, di conseguenza maggiore era il livello di complessità, maggiori erano gli introiti generati.
A ciò, si accompagnava il livello di sfida tra i vari frequentatori dei cabinati. Eguagliare o superare il record stabilito da qualcuno, magari rimasto in cima per settimane se non mesi, significava scrivere una piccola pagina di storia.
Con l’arrivo delle prime console casalinghe le cose non sono poi cambiate tantissimo. I videogiochi continuavano a essere complicati. Questo perché essenzialmente i primi videogiochi per console non erano altro che delle trasposizioni di quei cabinati che tante monete avevano fatto spendere ai ragazzi qualche anno prima.
Ma questa non era l’unica motivazione. All’epoca delle prima console casalinghe, le software house non erano delle realtà strutturate; vi erano una serie di persone con un interesse comune - i videogiochi - che puntavano a creare qualcosa; di conseguenza le competenze e l’esperienza erano piuttosto limitate e la creatività non abbondava.
Inoltre, da non dimenticare è che in prezzi dei videogiochi non erano per nulla abbordabili e il poco spazio a disposizione non permetteva di creare giochi dai contenuti ampi, di conseguenza bisognava far sì che la spesa avesse un riscontro positivo in termini di tempo speso a giocare.
Checkpoints, autosalvataggi e tante cose nuove
Nel giro di pochi anni la situazione è cambiata in maniera repentina.
L’uscita di nuove console, e nuovi formati di archiviazione, e la strutturazione delle software house ha fatto sì che tanti di quei paletti che minavano la qualità di un titolo venissero meno.
Il comparto grafico è andato man mano migliorando, i programmatori sono diventati più esperti e la platea di giocatori si è allargata.
Inoltre, i videogiochi sono diventati un vero e proprio esercizio di stile e le varie software house hanno cominciato a usare i propri titoli come modo per mostrare di cosa sono capaci e per cercare di superare le vette raggiunte da altri sviluppatori, il tutto senza dimenticare che per mostrare al meglio l’opera creata, è obbligatorio far sì che il giocatore raggiunga la fine di questa.
Così, mentre la curva della qualità saliva, quella della difficoltà calava.
Alle due azioni connesse alla pressione di due tasti si sono sostituiti inventari più ampi, armi complesse, stratagemmi che mettessero alla prova l’astuzia dei giocatori e tanto altro ancora.
Prendendo la mia serie preferita come esempio, Metal Gear Solid, si nota come mentre nel titolo per PSX Snake, una volta scoperto, poteva solo rincorrere i nemici con la sua SOCOM o il suo FA-MAS, in Phantom Pain, Venom Snake può nascondersi, cercare coperture, creare diversivi e tante altre strategie per passare inosservato.
Non è il gioco a essere diventato più semplice, ma le opportunità di azione a essersi moltiplicate.
Alle migliorie tecniche e il calo di difficoltà del gameplay si è aggiunta una maggiore attenzione allo storytelling. Se prima la trama in un videogioco si limitava a “ci sono dei nemici, sparagli”, i videogiochi hanno cominciato a raccontare storie sempre più articolate, che necessitano di sequel per essere comprese e quindi di giocatori che finiscano il primo capitolo per acquistare il secondo e così via.
La nascita dei Soulslike
Ci siamo così trovati, salvo rarissime eccezioni a lamentarci come tanti anziani che si stava meglio quanto si stava peggio; che Contra fosse un capolavoro, a venerare un The Witness e guardare allo scontro Dante contro Virgil di Devil may Cry 3 come uno scoglio insormontabile.
Almeno fino a quando Hidetaka Miyazaki nel 2009 non ha sconvolto tutti con Demon’s Souls, gioco pubblicato tenendo segreto al mondo intero il suo livello di difficoltà.
Chiaramente, vi sono stati dei titoli che presentavano un elevato livello di sfida prima del filone creato da From Software, eppure questi si limitavano a qualche spezzone o modalità di gioco specifica, come la God Mode di God Of War.
From Software ha invece preso quelle evoluzioni elencate poco fa e le ha ribaltate.
A una narrativa discorsiva e raccontata da scene di intermezzo si è andata a sostituire una storia raccontata da lettere e documenti sparsi in giro per il gioco.
Gli inventari infiniti e le combinazioni di tasti sono stati soppiantati da 3 oggetti rapidi e 3 azioni - attacco semplice, attacco pesante e schivata o parata.
L’accompagnare il giocatore per mano verso la fine del gioco ha lasciato spazio a un continuo muro nei confronti del giocatore di turno, il quale deve impegnarsi sempre di più se vuole superarlo.
L’impatto di From Software sull’industria videoludica è stato tale da creare un vero e proprio nuovo genere, quello dei Soulslike, e ritagliarsi una crescente fetta di mercato che ha spinto sempre più case di sviluppo a intraprendere la strada della crescente difficoltà.
Il mercato ha visto così l’arrivo di titoli come Nioh, The Surge, Code Vein, Wo Long, Thymesia, Ashen, Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin, Steelrising e per ultimo Lies of P; tutti con l’obiettivo comune di ricalcare il percorso indicato dai vari Dark Souls, Bloodborne e Sekiro e tutti con l’intenzione di aggiungere un loro tocco personale al genere nascente.
Quando parliamo di un “nuovo rinascimento” della difficoltà nei videogiochi, non dobbiamo infatti cadere nell’errore di pensare che le software house si siano limitate a dotare di maggiore salute e potenza i nemici.
La difficoltà come feature
Alcuni titoli hanno fatto del design del gioco una loro forza, come nel caso di Cuphead, altri, invece, come The Evil Within, hanno puntato sull’assenza di risorse, altri ancora hanno costruito il focus del titolo sulla linea d’apprendimento, come nel caso di Sifu e alcuni hanno costruito la propria difficoltà sui comandi, come Flappy Bird.
4 giochi elencati che non appartengono al genere dei Soulslike, ma che hanno comunque l’obiettivo di alimentare la voglia di sfida dei giocatori, donando loro quelli che sociologicamente parlando si chiamano “feedback formativi” e puntando sull’effetto “Spada nella Roccia”.
Tutti vogliono provare a superare quel livello, nessuno ci riesce all’inizio, ma chi ci riesce entra nella leggenda.
Inoltre, l’innalzamento della difficoltà di giochi appartenenti ad altri generi ha fatto sì che la platea di giocatori in cerca di sfide maggiori si allargasse sempre di più.
La sconfitta non è più un momento demoralizzante, bensì una feature del gioco.
Esempio perfetto di ciò è SIFU, il quale tramite elementi di design ben piazzati riesce a rendere perfettamente l’idea della sconfitta come momento di crescita.
Ogni volta che il nostro personaggio viene sconfitto, ritorna con qualche ruga e capello bianco in più e delle nuove abilità con cui affrontare il livello appena fallito.
Andare a creare sfide talvolta proibitive è però un “lusso” che non tutte le software house possono permettersi; forse l’esempio più eclatante è quello di Lies Of P, arrivato sul mercato con un livello di difficoltà altissimo per poi essere ritoccato con l’obiettivo di renderlo più accessibile, lasciandolo comunque bello complicato.
Succede così che sono i giocatori stessi ad alzare il livello di difficoltà creando sfide mai pensate dagli sviluppatori.
Nel caso di Lies Of P, ad esempio, i giocatori di incalliti hanno deciso di rinunciare al supporto dello spettro negli scontri con i boss.
Ma andando più indietro nel tempo possiamo trovare la run di Resident Evil 2 usando unicamente il coltello, la Chuck Norris challenge in Oblivion o la Cold run in Dark Souls.
Insomma, dopo un periodo di relativa facilità, i videogiochi stanno vivendo una nuova fase evolutiva, legata tanto alle decisioni di alcuni operatori del settore quanto alle preferenze di un pubblico più maturo e voglioso di sfide.
La strada per le software house è stata indicata, resta ora agli sviluppatori trovare il modo di implementare sfidde maggiori senza andare a demoralizzare chi invece vede nei videogiochi un semplice modo per rilassarsi.