L'ondata di licenziamenti che sta colpendo l'industria videoludica

Un’ondata di licenziamenti che sembra essere partita nelle Big Tech, con le decine di migliaia di licenziamenti di Google, Facebook, Twitter, per arrivare ufficialmente al’industria videoludica. 

Qualche giorno fa Telltale ha annunciato di aver dato il via a una seria di licenziamenti a causa delle correnti condizioni del mercato videoludico, aggiungendosi alla lista dei numerosi studi di sviluppo che dall’inizio dell’anno hanno lasciato a casa i loro dipendenti.

Lista cui già figurano nomi come Ascendant Studio, Beamdog, Crystal Dynamics, Roblox, Blizzard, Epic Games, Team17, Naughty Dog, Twitch and Keywords e altre ancora, le quali hanno licenziato per motivazioni diverse centinaia di dipendenti: dai 10 di Hearthstone ai più di 800 lavoratori di Epic Games.


Un’ondata di licenziamenti che sembra essere partita nelle Big Tech, con le decine di migliaia di licenziamenti di Google, Facebook, Twitter, per arrivare ufficialmente al’industria videoludica. 
Tuttavia, diversamente dai licenziamenti delle Big Tech, che avevano tra loro un minimo comune denominatore, i layoff legati all’industria videoludica sembrano avere motivazioni diverse.

Per esempio, Naughty Dog ha deciso di non rinnovare il contratto di 25 dipendenti a tempo determinato appartenenti al dipartimento Quality.
Crystal Dynamics e Beamdog hanno giustificato i licenziamenti come parte di una riorganizzazione interna delle aziende, che ha portato anche alla chiusura di studi come Violition, creatori del primo Saint Row.
Altre aziende, come Keywords, invece hanno comunicato che i licenziamenti sono stati la conseguenza del mancato rinnovo dei contratti con le case di sviluppo.

Nonostante le varie aziende diano motivazioni diverse, è impossibile non notare che alla base vi sia un profondo problema che sta colpendo l’industria videoludica; che va ben oltre i semplici risultati economici.

Un esempio ne è Sega che nel Maggio di quest’anno ha mandato a casa 121 dipendenti additando la causa a fattori esterni.
Scusa che non sembra reggere se si considera che i licenziamenti sono avvenuti poche settimane dopo che la stessa Sega ha acquistato la casa di sviluppo Rovio, creatori di Angry Birds, per 775 milioni di dollari; cifra che dimostra come i conti di Sega non siano in malora.

Il caso Sega porta a una costatazione obbligatoria: Il mercato dei videogiochi non è così disastrato da giustificare un’ondata di licenziamenti di tali dimensioni.
Nel 2022 la spesa per i videogiochi nel mercato statunitense è calata del 5%, in Europa del 7%. Sembrano numeri drammatici, ma c’è una ragione: La pandemia da Covid 19.

Parlare di calo nelle vendite è quindi un parolone; bisognerebbe parlare più di impennata non programmata causata dalla pandemia.
Durante il lockdown il mercato videoludico ha visto arrivare un gran numero di vecchi e nuovi giocatori, i quali invece che comprare nuove console e nuovi titoli, si sono gettati sul mercato dell’usato o sui giochi degli anni passati.
Stessa cosa è accaduta per le console. In Europa le vendite delle nuove console è crollata del 25%, con un rialzo per quelle appartenenti alla generazione passata, con PlayStation 4 che ha vissuto una nuova giovinezza e rinnovato supporto.

Più che additare le colpe alla pandemia, bisognerebbe guardare al modo in cui questa è stata gestita dalle case di sviluppo.
I vari lockdown hanno spinto milioni di persone verso i videogiochi - console, PC, online e mobile - e ciò ha portato molte aziende a programmare sul breve periodo puntando a una crescita rapida e profitto veloce; il tutto creando un vero e proprio clima di FOMO generale che ha portato ad acquisizioni non necessarie, espansioni non programmate e investimenti folli.

I risultati di tali azioni si sono visti sul medio periodo.
La presenza di tanti team di sviluppo minori, una maggiore offerta in fatto di videogiochi e un abbandono di quella fetta di giocatori che si è fiondata sui videogiochi solo per passare il tempo del lockdown hanno creato una serie di problematiche che l’industria, fatta per lo più da giovani operatori, non sembra essere in grado di fronteggiare.

Come tanti altri settori anche quello videoludico ha cicli di espansione e recessione; basti pensare che prima della pandemia vi era una vera e propria caccia ai talenti, con posizioni di alto livello vacanti che hanno portato tante Big del settore a risolvere la cosa con l’acquisizione di Software House minori.

Durante la pandemia questa scelta è stata ripagata dalla presenza di tanti giocatori e investitori; entrambi però sono venuti meno nel post-lockdown.
Dopo il fallimento dei tanti progetti legati al Metaverso - realtà che è stata accelerata durante la pandemia e che non si è mostrata all’altezza delle aspettative - gli investitori sono stati molto più cauti nell’elargire denaro.
I consumatori, dall’altro lato, stanno giocando meno e comprano meno videogiochi, affidandosi a franchise e case di sviluppo che danno una maggiore garanzia in termini di qualità; tanto che giochi come The Callisto Protocol che fino a qualche anno fa sarebbe stato accolto come un buon gioco, oggi viene additato come un fallimento.

Viene da sé che questo insieme di fattori ha spinto gli operatori del settore a una serie di “ricalibrazioni”.
I costi di sviluppo di un videogioco sono sempre più alti e il fallimento di un progetto può ora portare al fallimento di interi team di sviluppo. 
Ecco quindi che interi progetti vengono rimandati per arrivare sul mercato nel miglior modo possibile; ed evitare errori come quello di Cyberpunk 2077. 

Alcune aziende hanno avviato progetti seguendo i consigli e le lamentele dei propri fan anche a discapito della qualità, così come Ubisoft ha fatto con Assassin’s Creed Mirage, mentre altre si sono mostrate decise a seguire i propri passi andando incontro a fallimenti inaspettati, come quello che Square Enix sta affrontando con Final Fantasy XVI.
Altre aziende, invece, hanno deciso di dare una svolta totale al loro core business: questo è il caso di Konami che dopo un lungo periodo di silenzio è tornata a lavorare sui titoli per console, rimettendo mano ai suoi franchise storici come Silent Hill e Metal Gear Solid.


Eppure, secondo gli analisti di Amiqus, tali “ricalibrazioni” non metteranno fine ai licenziamenti. Vi sono ancora team che mostrano numeri troppo grossi per quanto riguarda i dipendenti che potranno decidere di dare il via a nuove ondate di licenziamenti nel 2024.

Insomma, sembra che l’ondata di licenziamenti partita dalle Big Tech e ora arrivata sul mercato videoludico sia solo agli inizi. 
Ecco perché il futuro di tanti team di sviluppo e progetti dipenderà dalle uscite natalizie; con i  risultati che ci diranno che strada devono prendere le software house nella creazione dei propri videogiochi.

Nel caos generale causato dai tantissimi licenziamenti, ci piacerebbe vedere qualcosa di simile a quanto accaduto nel 2014 in casa Nintedo, quando la casa giapponese era in serie difficoltà a causa delle vendite di Wii U non in linea rispetto alle aspettative di Nintendo. 
Invece di licenziare i propri dipendenti, il CEO e Presidente Satoru Iwata decise di attuare una riduzione degli stipendi dei propri dipendenti e spostò il focus dell’azienda sulla creazione di una console che riuscisse a risollevare le sorti dell’azienda: da quella decisione nacque Nintendo Switch.