Splinter Cell: Double Agent

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Quando ancora Sam era in camerino per il make-up e si stava preparando a passare dall'altra parte, senza passare da Casablanca, Gamesurf si è infiltrato (ma sarà un maschietto o una femminuccia?Boh) negli studi meneghini di Ubisoft per carpire informazioni ed esperienze di gioco sulla quarta generazione di Splinter Cell. Obiettivo? Il multiplayer, quello più sugoso, quello che fa schiumare di goduria i nostri organi videoludici. Da spie un po' fantozziane e un po' newbie c'hanno beccato subito, neanche il tempo di disinserire la telecamera ad infrarossi davanti alla porta d'ingresso. Pazienza. I solerti mercenari di Ubisoft c'hanno condotto nella cella d'isolamento e lì...


RIFARSI UNA VITA
Uno, due, tre... Sam Fisher rischia di patire l'inflazione da supereroe con una fortuna sfacciata. E così ecco una salutare doccia di sfiga che costringe il mastrolindo dei giochi stealth a fare il salto della quaglia. Passare dalla parte opposta, nella dark side of the moon dove pullula il crimine e ci sono solo cattivi, non è soltanto stracciare il vecchio copione. Non si tratta di sostituire i fondali, e le facce non diventano solo più brutte. Entra un scena un nuovo, invisibile giocatore: la scelta. La sopravvivenza personale, che si fondeva nei primi tre capitoli con il successo della strategia di gioco, adesso si rovescia: seguire l'istinto di sopravvivenza costringe a tradire la missione. Naturalmente la via dei buoni resti la via maestra, ma le sue porte non sono più un passaggio obbligato.

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DOUBLE LIFE
Ecco perché la pappardella sul nuovo significato acquisito dal gioco in singolo si distende anche sul multiplayer. Rispetto a Chaos Theory il rapporto spie-mercenari è molto più equilibrato. Prima le certezze. Uno in più: da due contro due lo scontro diventa tre contro tre. Sempre spie contro mercenari, sempre visuale in terza per i primi e in soggettiva per i secondi. Adesso le novità. Aggiornamenti nell'arsenale, possibilità di accelerazione, di effettuare salti, compresa l'impiego di un drone-spia. Se l'asso nella manica della spia è il silenzio e l'incapacità del mercenario di rilevare suoni, questa volta il mercenario dispone di un visore per individuare i movimenti ravvicinati della spia. Sprovvista dello shocker-gun, la spia può disabilitare "hackerare" ogni dispositivo e sono dotate di un'agilità ancora più accentuata attivando mosse speciali premendo un solo pulsante sul controller. Infine anche alla spia è concessa la chance di uccidere in modo stealth il mercenario, ma a mani nude. Purtroppo Ubisoft ha preparato il necrologio per il multiplayer cooperativo che tanto "chaos" aveva creato tra i giocatori. Ma non ci sarà comunque tempo per versare lacrime di fronte ad un notevole arricchimento delle modalità competitive.

Mentre i mercenari di Ubisoft ci sbattono fuori, l'osservazione di cui gli occhi e la mente si sono impregnati è la simultanea compresenza in Double Agent di approcci al gioco così differenti.
La scelta tra mercenari e spie non è questione di squadra. E' un fatto di mentalità. Mettendo le mani sul multiplayer questa sensazione è immediata e parte dai polpastrelli per salire su fino al cervello trasmettendo la realtà di una spia in aspro contrasto con quella di un mercenario. La gestione degli spazi è decisiva per le spie, così come un'efficace conoscenza dell'ambiente, dei suoi vincoli e delle sue opportunità. Oltre allo spazio, è il tempo la variabile fondamentale per il multiplayer: ma c'è un abissale fuso orario tra il tempo "binario" dei mercenari, sorveglianza e inseguimento, e quello più sincopato delle spie, in cui si sovrappone il movimento stealth, l'utilizzo dei congegni elettronici, l'elaborazione di una strategia. Dubbio amletico prima della nanna: e se anche le spie e i mercenari non fossero fronti compatti, ma includessero al loro interno un doppiogiochista, un altro "double agent" online?

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