Stadia

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Pochi giorni fa, durante la nuova edizione Game Developer Conference, Google ha finalmente fatto la sua prima mossa nel grande mercato del gaming, scendendo in campo con STADIA, una piattaforma di streaming che promette di ridurre al minimo il gap tra chi gioca, chi guarda giocare e chi sviluppa, ovvero le tre realtà principali che alimentano l’industria videoludica. Concettualmente l’offerta di Google si presenta entusiasmante, con il potenziale di destabilizzare sensibilmente i giochi di potere delle major che determinano l’andamento di questa fetta colossale dell’intrattenimento. Contemporaneamente, sono molteplici i quesiti che sorgono di fronte a questa nuova visione del videogiocare, così avveniristica da dover riformulare molti dei pronostici per il prossimo futuro. Vediamo dunque di trarre le prime considerazioni a fronte di questo clamoroso annuncio.

Regole di ingaggio annullate

Sulla carta STADIA è un progetto che con un salto solo supera e distanzia di molto il dibattito sul futuro del gaming. La nuova piattaforma mette in un angolo in un sol colpo le diatribe sul fisico, le console war a base di esclusive e la corsa continua agli armamenti hardware.

Il perché è presto detto: STADIA sarà una piattaforma streaming dove non è previsto l’acquisto di un hardware specifico per fruire dell’esperienza di gioco, basterà accedere a un qualsiasi device già in nostra dotazione. La magia di questo nuovo progetto risiede nel fatto che, forte della capillarità delle sedi Google in tutto il mondo, STADIA si appoggerà ai Data Center in giro per il pianeta per offrire un servizio di streaming performante. L’elemento meccanico della formula, la console vera e propria con le sue specifiche hardware, è estromesso dall’equazione che determina le decisioni di acquisto dell’utenza perché in mano a Google e integrata con i Data Center. Quindi basterà accedere semplicemente al servizio dalla propria smart tv e con un click sfruttare la potenza di calcolo e di trasmissione messi a disposizione da STADIA. Quanto è pronto il mondo per una tale accelerazione è ancora presto per dirlo, sarà curioso verificare quale delle soluzioni si rivelerà di successo tra la transizione con cautela delle grandi case come Sony e la spinta in avanti promossa da Google.

Intuire il trend

Con una finestra di lancio fissata entro il 2019 e le specifiche hardware dichiarate durante la conferenza Google ci dà un primo assaggio concreto di Next Gen. La sua GPU AMD da 10.7 teraFLOPS, ad esempio, fissa da ieri uno standard che la concorrenza dovrà quantomeno eguagliare se nel lungo termine non vorrà perdere terreno. L’uscita prevista per quest’anno in gran parte del mondo dà inoltre un nuovo sapore ai rumor sulle prossime console e sottolinea un’insolita urgenza. Quanto siamo vicini agli annunci effettivi? Da ieri, con STADIA, l’orologio ha mandato avanti le lancette di diversi minuti. L’unico bastione che ancora regge e sul quale tutti i concorrenti sembrano aver tacitamente acconsentito a mantenere massima riservatezza sono i prezzi, nodo fondamentale che dà un’immediata comprensione della situazione globale della qualità dell’offerta. Vista la finestra di lancio di pochi mesi è logico pensare che Google dica nuovamente la sua per prima, magari all’E3, magari sfruttando lo spazio offerto dall’assenza di Sony.

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Blocco creativo

L’omnicomprensivo titolo di questo paragrafo intende blocco come collettivo e blocco come crisi, due facce della stessa medaglia a fronte dell’offerta che Google propone per lo sviluppo. STADIA con la sua soluzione hardware “liquida” offre agli sviluppatori un allettante scenario: costruire un intero progetto su una piattaforma flessibile e non sulle specifiche di una singolo hardware, con il conseguente vantaggio di rivolgersi a un target più ampio non più basato sull’acquisto di quella determinata console. Dal punto di vista creativo e di distribuzione non c’è alcuna ragione per non migrare verso un’alternativa simile. Qualora questo scenario si avverasse si verrebbe a creare un importante accentramento dell’offerta creativa e il rischio di monopolio è tutt’altro che impossibile. La concorrenza d’altro canto ha dalla sua valori di esperienza maturata nel settore che offrono una certa stabilità, e le varie Sony e Microsoft punteranno ancora di più sui First Party, opzione tuttavia sostenibile soltanto fino a un certo punto. Google per il momento si allinea chiudendo la sua conferenza con l’arrivo sul palco della brillante Jade Raymond, veterana producer co-creatrice della celeberrima saga di Assassin’s Creed e ora a capo dello studio STADIA Game and Entertainment. Questo First Party svilupperà titoli proprietari e darà supporto alle realtà minori che si avvicineranno alla piattaforma Google. Non solo, tra gli assi nella manica a disposizione di STADIA tools di sviluppo basati sul deep learning che faciliteranno l’espressione creativa.

Monetizzare il futuro

In un mercato dove non vendi una console, dove non vendi la copia fisica di un titolo ma un abbonamento, quali sono le vie per massimizzare il profitto? La risposta la stiamo già sperimentando in questi anni con sistemi di microtransazioni che fatturano miliardi di dollari. Viene dunque semplice immaginare un futuro prossimo in cui questo espediente potrebbe essere largamente utilizzato con la conseguente necessità di tutelare il videogioco come opera a fronte di una progressiva trasformazione in videogioco come servizio. Occorre inoltre osservare con attenzione la ridistribuzione della ricchezza a seguito di una vendita: al momento le dinamiche dietro un abbonamento non sono del tutto chiare e il pensiero che le realtà indie possano relazionarsi ad esempio con logiche di pagamento calcolate in base al “tempo di gioco” sui loro titoli potrebbe rappresentare un inconveniente per un intero ecosistema. Saranno da tenere in considerazione infine le nuove dinamiche di profilazione dei target che verranno a svilupparsi: in un ambiente integrato come quello proposto da Google l’acquisizione di informazioni sulle esperienze di gioco sarà totale, attendiamo di valutarne il gradimento generale. Stesso discorso per i creatori di contenuti, dove il loro tasso di conversione verrà sicuramente rivalutato.

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Restare connessi

L’esperienza di gioco del futuro è always online dura e pura. In uno scenario dove diamo per scontato la presenza di internet nelle nostre vite è altresì vero che non possiamo non tener conto delle infrastrutture e dei servizi sui quali poggia la nostra esperienza col web. Nelle scorse ore diverse figure, anche di alto livello, hanno manifestato perplessità riguardo all’opportunità di beneficiare al meglio di questo nuovo modo di intendere il videogiocare.

Raf Grassetti, Art Director del Gioco dell’Anno God of War, da Los Angeles dice che alle porte del 2020 ancora non può beneficiare di una linea decente. Google rassicura tutti dicendo che la velocità minima consigliata per beneficiare del 4k è di 25 Mbps, una velocità relativamente modesta che tuttavia pone il dubbio cruciale su tutti i problemi derivati dalla dipendenza completa e diretta da una connessione, tra i principali fattori l’input lag, la latenza dei comandi che vanificherebbe dal primo istante le condizioni per un’esperienza di gioco godibile. Perplessità a parte rendere un gioco accessibile da qualsiasi device già in nostro possesso non è poca cosa. Muoversi con disinvoltura da una smart tv, a un tablet e poi al pc senza soluzione di continuità è rivoluzionario. Come lo è passarsi tra amici esperienze di gioco attraverso un semplice link, integrato con la nostra esperienza quotidiana col web come un qualsiasi video da mostrare, articolo del quale suggerire la lettura, oggetto da acquistare su uno store. Il Google Assistant poi, promette di non farci allontanare un istante dalla nostra sessione, tutto a beneficio di una comodità senza precedenti. Niente più hacking e cheating infine, forse uno degli aspetti migliori di questo futuro videoludico iperconnesso.

Collezionare ricordi

Ma alla luce di tutte queste novità, di tutte queste implicazioni, noi siamo davvero pronti a far dipendere la nostra passione esclusivamente dalla nostra linea internet? Uno degli aspetti collaterali a questo nuovo modo di pensare il videogioco sarà infatti rinunciare al possesso delle cose a favore del permesso di accedervi. Cambierà il nostro modo di intendere la proprietà, il nostro modo di collezionare e il modo di costruire i ricordi intorno agli oggetti videoludici. Che dire del grado di preservazione dei contenuti. Quanto dura una licenza? Quanto valore si dà ai titoli più datati e quali sono le garanzie di un accesso perpetuo ai contenuti già riscattati? Difficilmente avremo una risposta soddisfacente nell’immediato. Il dubbio resta quindi legittimo davanti a un futuro che avanza inesorabile e dedica grande attenzione alla comodità e alla praticità ma che sembra non tener conto fino in fondo dei limiti fisici che lo rallentano. Molto del futuro del gaming passerà da qui, dal garantire un supporto adeguato al cambiamento. Resta tutto in discussione, in attesa di nuovi dettagli e delle prossime mosse degli attori di questa grande partita a scacchi che è l’industria videoludica.

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