The Last Guardian

Da qualche settimana è possibile acquistare The Last Guardian: An Extraordinary Story, un volume edito dalla Future Press che racconta del lungo viaggio compiuto da Fumito Ueda e dal suo team per rendere possibile la sua ultima fatica.

Il tomo (interamente in lingua inglese), oltre a rappresentare una pregevole raccolta di artworks e concept, contiene interviste e informazioni inedite dietro lo sviluppo di The Last Guardian che gettano nuova luce sul nebuloso periodo di silenzio pre-E3 2015, anno del suo ritorno. Le testimonianze del volume sono raccolte da Ryan Payton (Assistant producer per MGS4 Guns of the Patriots e Creative Director di Halo 4) che ha giocato insieme al team di genDESIGN fino ai titoli di coda, facendo le domande più disparate.

Letto tutto d’un fiato, abbiamo deciso di riportare qui su Gamesurf alcune delle informazioni più interessanti.

9 anni di ostinazione

Chiarificatori sono i passaggi legati ai tempi di sviluppo. Quanto é durato? E che ne é stato del progetto dopo il suo annuncio? Il volume permette di ricreare una parziale cronologia.

Quando il videogioco viene annunciato nel 2009 il titolo è già in una fase critica della sua gestazione: le ambizioni di Ueda sono troppo grandi, miracoli d’esecuzione come Shadow of the Colossus capitano di rado nella vita, così il lavoro fatto fino a quel momento subisce una battuta d’arresto. In lavorazione dal 2007, su Playstation 3 struttura e bontà del level design sono già definiti, così come i puzzle e AI funzionanti, ma i limiti tecnologici del tempo non permettono di raggiungere la stabilità su schermo auspicata.

Fumito Ueda sceglie di non scendere a compromessi e invece di sacrificare elementi preziosi della sua idea preferisce attendere che le tecnologie raggiungano la maturità necessaria. Nel 2011 lascia formalmente JAPANStudio ma rimane contrattualmente vincolato a Sony per il completamento del gioco: Ueda si occuperà della direzione creativa mentre JAPANStudio, proprietario delle tecnologie appositamente sviluppate per la creazione di The Last Guardian, sarà responsabile della parte esecutiva.

Il passaggio da PS3 a PS4 è decisivo per dare forma ad elementi di gioco altrimenti irrealizzabili, ma comporta un enorme lavoro di rielaborazione del progetto e di ridefinizione del workflow dovuto all’arrivo di genDESIGN, studio indipendente fondato dallo stesso Ueda nel 2014. Gran parte dell’engine è stato rifatto da capo, con il processo iniziato nei primi del 2012 e terminato agli inizi del 2015. Da quel momento in poi, il lavoro su level design e interazioni riprende fino all’uscita di The Last Guardian nel dicembre del 2016.

Durante questo lunghissimo lasso di tempo le persone coinvolte nel progetto passano da un iniziale gruppo di 10 persone a un nucleo stabile di 20, fino a balzare a un massimo di 90 persone (tester inclusi) verso la chiusura del progetto, 100 se contiamo anche il team di genDESIGN. Il tempo, per assurdo, sembrerà non bastare mai. Le cinematiche saranno inserite solo nel 2014, il bambino che presta la voce al protagonista cresce e non è più adatto al ruolo, viene riorganizzata un’audizione dove la voce viene selezionata tra 20 nuovi candidati, Ueda inserirà solo all’ultimo uno degli elementi più suggestivi del gioco: la scena finale interattiva, dove il protagonista dà l’ultimo comando a Trico, non è prevista nel concept (così come negli storyboard), ma è un lampo di genio che Ueda insiste per avere nel prodotto finale. Rappresenterà il suo motivo di orgoglio più grande, definendola “la mia parte del gioco preferita”.

Design sottrattivo, terza iterazione

Con di fronte alcune delle menti più brillanti dell’industria videoludica orientale, Payton ha avuto modo di approfondire uno degli aspetti più caratteristici della firma di Ueda e del suo team: il loro modo di fare videogiochi. La scuola del Design Sottrattivo, di cui genDESIGN è uno dei principali esponenti, prevede la creazione di mondi di gioco incentrati sull’essenzialità: con un piglio che ricorda molto il concetto michelangiolesco de “l’arte di saper levare”, Ueda e il suo team creano storie spogliate di ogni sovrastruttura superflua. Portano alla luce il cuore della loro idea e investono tutta la loro attenzione sulla densità d’informazione, viene cioè elevata la qualità degli elementi per compensare la semplificazione, così che tutti quei tratti che conferiscono carattere, sia visivamente che narrativamente, concorrano a rendere il risultato finale credibile, solido.

The Last Guardian è figlio dello stesso processo creativo. Non ha avuto uno sviluppo lineare, le sue parti sono state messe insieme dopo una produzione simultanea, sempre supervisionata da Ueda, autore di quasi tutti gli sketch, della maggior parte dei render per i test e di numerose porzioni di level design. E’ stato chiesto a Ueda se TLG ha avuto un approccio più economico fin dall’inizio rispetto alle produzioni passate e se ci sono meno “residui” rispetto a quanto siamo stati abituati coi giochi precedenti. Ueda ha affermato che sebbene non se ne sia parlato pubblicamente come in passato (si riferisce ai colossi scartati di cui abbiamo testimonianza attraverso l’artbook di Shadow of the Colossus) c’è molto materiale di level design non utilizzato.

La creazione di The Last Guardian ha spinto genDESIGN oltre i suoi limiti e doversi confrontare con la necessità di rendere il prodotto fruibile a un pubblico più vasto è stata una novità per Ueda, fino a quel momento rimasto relativamente lontano dalle dinamiche di marketing. Ha partecipato a tutti i test effettuati e se un giocatore rimaneva bloccato o non capiva qualcosa aveva sempre la precedenza. L’obiettivo era di annullare il conflitto tra intento autoriale e le esigenze del giocatore, in modo da correggere gli elementi necessari per aiutarlo a fruire del titolo nel miglior modo possibile. Seppur non esente da compromessi (si vedano i pop-up di suggerimento, molto distanti dalla filosofia del game designer autore di ICO) TLG conserva inalterata la sua essenza ed è testimonianza di un’esperienza servita a dimostrare le capacità del team di fronte a sfide simili, capacità delle quali sicuramente gioveranno le opere future.

Uno sguardo all’universo Ueda

Inedite le righe dedicate a lore e universo narrativo. Uno dei punti più interessanti riguarda l collocazione di TLG rispetto al resto della “trilogia”. Sappiamo che ICO racconta eventi successivi a SOTC. The Last Guardian dove si inserirsce? Ueda, criptico come sempre, propone un’inaspettata spiegazione: collegato da alcuni rimandi iconografici coi precedenti titoli, TLG parrebbe collocarsi su un piano dimensionale parallelo a SOTC. Il punto di incontro è la vasca presente nella Mirror room (la stanza in cui troviamo il misterioso sarcofago e nella quale recuperiamo lo scudo/specchio) pressoché identica a quella presente nel Sacrario del Culto in Shadow of the Colossus. Ueda fa infatti notare che la vasca è essa stessa una sorta di specchio “(...) la vasca è una cosa simile allo specchio, e la parte inferiore dello specchio potrebbe essere collegata al mondo dall'altro lato della vasca. Un altro mondo potrebbe esistere dall'altra parte,(...) forse è il mondo di Shadow of the colossus.”

Proseguendo troviamo alcuni approfondimenti sulle vicissitudini che legano il bambino a Trico. Ad esempio, Ueda spiega che il villaggio non sembra preparato agli attacchi dei Trico perché i rapimenti sono un evento molto raro. Nella vita di una persona, essa può assistere al massimo a due rapimenti. Quello del bambino della storia di TLG è l’unico di quella generazione. Vengono poi avvalorate, anche se non esplicitamente confermate, le intuizioni dei fan che hanno visto dei tratti sci-fi nelle architetture della torre e un parallelismo con un cratere da impatto nella struttura del Nido. Ci sono infine curiosità riguardo le influenze stilistiche che hanno portato alle scelte di design del titolo. Ueda e il resto del team spiegano che hanno attinto dalla cultura giapponese cercando il giusto mix tra riferimenti reali ed elementi di fantasia.

Alcuni particolari di questo aspetto si sono persi nel passaggio di traduzione all’inglese, per esempio la valle che ospita il Nido è chiamata dagli abitanti Ukaiya. Il termine nasce da un gioco di parole: ukai, che in giapponese significa cormorano pescatore e l’ideogramma per scrivere “valle” che può essere pronunciato anche “ya”. Dunque valle dei cormorani pescatore. Il nome rimanda a una pratica nipponica che prevede l’utilizzo di questi uccelli marini per pescare. Ai cormorani viene applicato un collare metallico che gli impedisce di inghiottire il pesce, che viene immediatamente rigurgitato dopo la cattura nelle ceste dei pescatori. Un chiaro parallelismo con i rapimenti dei prescelti ad opera dei Trico che riportano le persone rapite al Signore della Valle.