Speciale I know This Much is True

Una superba prova attoriale di Mark Ruffalo

Quella che HBO ci propone con “I Know This Much is True” è una vera storia fatta di violenza e di dolore. Tratta dal romanzo del 1998 “Il giorno e la notte” di Wally Lamb, in sei puntate dalla durata media di 60 minuti (la programmazione è prevista per quest'estate su Sky e NOW TV), la mini-serie inserisce il suo pubblico nel flusso di pensieri di Dominic Birdsey. Lui e il fratello gemello Thomas sono identici nell’aspetto, ma diversi nel carattere come il giorno e la notte. Il filo che li accomuna, soprattutto durante la fase di crescita fino alla fine dell’adolescenza, è costituito da violenza e dolore. Le loro diversità, infatti, si notano proprio in reazione a ciò che hanno provato, mescolato con la propria naturale indole. Thomas ha, così, vissuto una vita turbolenta fatta di ospedali psichiatrici e di continue visite; mentre Dominic è stato più sereno, più taciturno e introverso. È quasi come se Dominic avesse cercato di annullare la sua presenza per poter cercare di sopperire alla preponderanza che Thomas riversava con il suo umore o con il suo modo di reagire.

La narrazione dei fatti viene appunto sostenuta da Dominic perché, dopo aver compreso quanto avesse tenuto dentro di se tutto il dolore, adesso è il momento di accettarlo e di lasciarlo andare. Per troppo tempo si è lasciato vivere dagli eventi, rispondendo con un muro nei confronti di chiunque lo circondasse. Per troppo tempo ha lasciato che il dolore prevalesse su di lui annichilendosi e annullandosi nel ricordo del passato. Un’ancora che deve lasciar andare per potere imparare a vivere nel presente ora che ha 40 anni, ora che ha perso ogni legame con quel passato. 

“I Know This is True” non potrebbe essere il titolo migliore per una mini-serie così potente nella sua drammaturgia da risultare vera e forte per chiunque la guardi. Un crescendo, un percorso, che porta verso una catarsi non facile, non immediata, ma possibile. Una storia di parallelismi che si muove tra la sofferenza e la credenza, una religione che prende non solo il volto di un Dio, ma anche un volto magico e malefico. Dominic, venendo persino a contatto con il passato vissuto da suo nonno, inizia a vedere dei parallelismi con la propria stessa vita; arrivando a pensare che quel dolore possa essere frutto di una maledizione ce si tramanda quasi geneticamente, ma la realtà è ben altra. La sua storia, per quanto tragica e piena di coincidenze può essere affine a quella di tantissimi altri uomini, ma appunto viene ingigantita dalla presa salda con la quale l’uomo vi si attacca. 

L’HBO conferma, ancora una volta, la capacità di portare avanti delle grandi storie e di rendere iconiche le sue scene. Le scelte che sono state prese a livello di realizzazione del prodotto risultano accattivanti e intricanti al punto da appassionare lo spettatore. Dall’inglese, così come avrebbero fatto per altre serie, si passa al dialetto, siculo per giunta quando la narrazione non appartiene più a Dominic. Una scelta che obbligherà il pubblico d’oltre oceano a leggere i sottotitoli. La cosa particolare è che il dialetto è persino ben lontano da quello che si sente nelle fiction italiane, ma è più “stretto”, più vissuto, più realtà e antico. Gli attori che fanno parte del cast, infatti, sono italiani, specificatamente del sud quindi sono persino stati attenti a rappresentare correttamente quella storia che molto spesso viene dimenticata. Una storia di emigrazione e di valori ormai, fortunatamente, passati, ma che hanno costituito il sogno americano. Cosa che è stata fatta anche nei confronti dei nativi americani.

Mark Ruffalo, così come gli attori che lo accompagnano nella vicenda, è davvero splendido in questo doppio ruolo così dannato. Nonostante il protagonista sia Dominic con tutta la sua rabbia, nella follia di Thomas si vede il talento recitativo di Ruffalo; egli porta sul piccolo schermo due caratteri completamente opposti, restituendo due facce della stessa medaglia.