The L Word: Generation Q. La recensione dei primi due episodi in italiano
Le lesbiche più famose della TV ritornano dopo 11 anni
Probabilmente la maggior parte di voi non conosce The L Word, ma per la comunità LGBT è una serie che ha fatto la storia. Un cult di obbligatoria visione per ogni donna queer che si rispetti ed una piacevole immersione nel mondo rainbow per tutti gli altri. Era il lontano 2004 quando The L Word sfondava a calci le porte degli americani ed entrava di prepotenza nelle loro case, attraverso la loro televisione. Non si trattava di un accenno timido all’omosessualità femminile, non si trattava di un piccolo cameo o dell’ennesima tragica morte della lesbica di turno… Era un’intera serie televisiva creata da donne gay per altre donne (probabilmente gay, o bisessuali, o inconsapevoli di esserlo). Parlava senza peli sulla lingua, senza censure, senza indorare alcuna pillola. The L Word ha toccato e approfondito tutti quegli argomenti che, all’epoca, venivano bisbigliati in gran segreto tra i banchi di scuola, o malapena accennati al cinema ed in tv. Coming out, outing, bisessualità, inseminazione artificiale, discriminazioni… Negli anni poi la serie ha incluso e abbracciato tutta la comunità LGBT parlando di transessualità, drag queen e drag king, AIDS e molto altro, ritagliandosi uno spazio enorme nel cuore dei suoi telespettatori.

Proprio come fece Queer As Folk (UK e USA) pochi anni prima, The L Word ebbe il coraggio di strappare via il velo dal mondo omosessuale femminile e raccontare tante, tantissime storie in cui ogni donna avrebbe potuto rispecchiarsi. Riassumendo in termini pratici, stiamo parlando di visibilità. Come la miniserie Hollywood ha sottolineato in questi giorni, questo è uno dei grandi oneri (ed onori) del fare cinema, del fare televisione. Dare voce a tutte le sfaccettature dell’essere umano, fare in modo che, da qualche parte nel mondo, qualcuno possa dire: “ehi, ma… allora non sono sola/o! Ci sono altre persone come me e sono felici, stanno bene, sono amate… Forse allora c’è speranza.” Speranza. Vi sembrerà una parola grossa associata ad una serie tv che parla di lesbiche e della loro vita sessuale, ma vi possiamo assicurare che per una persona discriminata dalla società in cui vive e persino dalla sua stessa famiglia… è qualcosa di grosso.
A partire dall’11 Maggio, Sky Atlantic trasmetterà due episodi ogni Lunedì alle ore 21:15 e saranno disponibili anche On Demand e in streaming su NOW TV. Noi, che abbiamo già visto tutte le 8 puntate di Generation Q, siamo qui per parlarvi dei pro e dei – purtroppo – tanti contro ritrovati in questa dramedy a tema LGBT. Ovviamente senza spoiler!
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This is the way that we live
The L Word ritorna dopo 11 anni con una nuova stagione ed un nuovo sottotitolo: “Generation Q”. Negli ultimi tempi la comunità LGBT, grazie alle lotte e agli attivisti di tutto il mondo, ha fatto passi da gigante sul fronte diritti e accettazione, perciò questa serie parlerà ad una nuova generazione queer che si trova a vivere in un presente decisamente meno discriminatorio, anche se la strada da percorrere è ancora lunga ed irta di ostacoli. Ma cosa è The L Word? Si potrebbe quasi definirla una serie di nicchia, perché parla principalmente ad uno specifico target di persone e, diciamoci la verità, qualitativamente parlando (almeno all’inizio) non si trattava di tv di alto livello. Ma ora le cose sono cambiate e Generation Q si pone la sfida di parlare ad una fetta di pubblico molto più ampia. È riuscita nel suo intento? A parer nostro sì, ma c’è molto di cui parlare prima di definirla un’ottima serie.
A Bette (Jennifer Beals), Alice (Leisha Ailey) e Shane (Kate Moennig) le tre protagoniste storiche che abbiamo amato di più si aggiungono quattro nuovi volti: Finley (Jaqueline Toboni vista in Grimm e Easy) è l’anima della festa e ha una situazione familiare misteriosa e problematica alle spalle; Dani (Arienne Mandi) gran lavoratrice e pianificatrice, è la ragazza di Sophie (Rosanni Zayas) insieme stanno pensando di sposarsi e mettere su famiglia; Micah (Leo Sheng) è il coinquilino di Dani e Sophie, un inguaribile romantico ed un amico fedele.
Ma cosa è successo alle nostre tre beniamine in questi 11 anni? Bette è la prima donna lesbica candidata sindaco di Los Angeles, la figlia Angelica ha ormai 16 anni e le dà qualche grattacapo, mentre l’ex moglie Tina sembra essere ormai un lontano ricordo; Alice, da brava gossip queen, ora ha un talk-show tutto suo e convive con Nat (Stephanie Allyne, moglie della comica Tig Notaro) e i suoi due bambini; Shane invece, dopo aver venduto i suoi saloni di coiffeuse, torna a Los Angeles senza uno scopo apparente se non fuggire dalla misteriosa… moglie! Ebbene sì, la rubacuori più famosa di West Hollywood ora ha un anello al dito ma le cose non sembrano andare a gonfie vele (non che ci aspettassimo diversamente da lei). Le vite di questi sette personaggi andranno ad intrecciarsi in una serie di drammi amorosi e situazioni rocambolesche, il tutto mentre Bette Porter cerca di rendere Los Angeles un posto migliore per tutte le minoranze che la abitano. Un tipo di impegno politico che abbiamo particolarmente apprezzato, considerando l’attuale situazione americana.
Lesbian Drama? Sì, grazie ma almeno un po’ di coerenza…
Rivederle tutte e tre sul piccolo schermo è un colpo al cuore per chi con The L Word ha imparato ad accettarsi e a conoscere un mondo fino a quel momento completamente sconosciuto. La chimica tra le attrici non è cambiata né diminuita negli anni ed è palpabile in ogni scena. La loro presenza, purtroppo, è quasi l’unico motivo per cui ci sentiamo di non cestinare completamente questa prima stagione di Generation Q. Forse ci siamo approcciati al prodotto con aspettative troppo alte, forse ci si aspettava che dopo 11 anni di attesa ciò che sarebbe scaturito dalla mente di Ilene Chaiken, sceneggiatrice e produttrice della serie, sarebbe stato qualcosa di decisamente migliore. Eppure, ciò che non ci convince in questi nuovi personaggi è proprio la loro caratterizzazione, uno spessore disegnato e ricercato che però non viene mai raggiunto (almeno in questi 8 episodi). L’unica a salvarsi e a mostrare un po’ di coerenza in tutta la serie è Finley, sebbene inizialmente i suoi atteggiamenti ed il suo modo di porsi possano risultare difficili da digerire.
La parola chiave è proprio la coerenza, che non abbiamo assolutamente ritrovato nei nuovi personaggi della serie. Storyline confuse, abbozzate e troppo superficiali persino per The L Word. Insomma, non abbiamo ritrovato quasi nulla della serie del passato, a parte Bette, Alice e Shane ovviamente, che tengono in piedi l’intera baracca. Generation Q ha le stesse caratteristiche delle prime 6 stagioni di The L Word: ha grinta, ti racconta le cose come stanno, ti mostra il sesso e le relazioni tra donne come non le avevi mai viste eppure questi nuovi volti non riescono ad ingranare, a fare presa nei nostri cuori, perché – per la maggior parte delle volte - non riusciamo a trovare un filo logico nei loro comportamenti e non riusciamo ad immedesimarci nelle loro azioni. Forse hanno bisogno di più tempo per raccontarsi, forse sono solo stati scritti male, chissà… La serie ha comunque avuto molto successo ed è già stata rinnovata per una seconda stagione. Nonostante la delusione per Sophie, Dani e Micah, Generation Q merita di essere vista (anche se ovviamente l’ideale sarebbe di iniziare dalla sua antenata andata in onda dal 2004 al 2009) e noi non vediamo l’ora di mettere gli occhi sui nuovi episodi previsti per il prossimo inverno (CoVid permettendo).
